FINANZA ISLAMICA
UN MODELLO DIVERSO DI ECONOMIA
COME MEDICINA ALLA CRISI DELLA
FINANZA IN OCCIDENTE?
(a cura di Claudio Prandini)
INTRODUZIONE
Cos'è la finanza islamica e quali
sono le sue regole
Nata negli anni
Settanta del secolo scorso in Medio Oriente, la finanza islamica segue la
Sharia, la legge islamica, che fissa in materia di finanza tre principi
capitali: il divieto di chiedere interessi (riba), considerati una forma di
usura; la condivisione dei rischi e dei profitti tra creditore e debitore e,
infine, l'obbligo di appoggiare tutte le transazioni finanziarie su di un attivo
reale, e ciò in teoria esclude il ricorso a prodotti derivati.
Secondo i precetti del Corano, il denaro non può quindi stare fermo e generare
altro denaro. Per crescere deve essere investito in attività concrete e
produttive (come ad esempio gli immobili).
Le banche islamiche si distinguono così in modo sostanziale dalle banche
occidentali. Ad esempio, piuttosto che concedere un mutuo a una persona che
vuole comprare una casa, riscuotendo in cambio un interesse sul prestito, la
banca acquista direttamente la casa e poi la concede in affitto al cliente, che
si impegnerà a versare la cifra corrispondente in più rate mensili, pagando una
commissione sul servizio ottenuto. Quando avrà pagato tutte le rate, il cliente
diventerà il proprietario della casa.
Da quando sono nate, le banche islamiche sono cresciute a un tasso annuo del 15
per cento, e il loro giro d'affari attuale è pari all'1 per cento del mercato
finanziario globale. Le stime disponibili parlano di risorse pari a circa 750
miliardi di dollari, ma secondo le previsioni alla fine del 2015 queste potranno
arrivare fino a 2.800 miliardi. Anche i Sukuk, le obbligazioni islamiche, hanno
conosciuto un grande sviluppo. Basti pensare che solo nel 2007 le emissioni di
titoli conformi alle leggi coraniche hanno superato i 30 miliardi di dollari.
La finanza islamica - 1
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SISTEMA ISLAMICO:
UNA SOLUZIONE POSSIBILE ALLA CRISI FINANZIARIA?
Crisi
di fiducia, panico nella borsa a livello internazionale…il mondo sta vivendo i
limiti e i danni del capitalismo ad oltranza dopo aver visto capitolare il
sistema comunista. Dunque quale reale alternativa potremmo adottare oltre a
questi due modelli? Non sarà forse il tempo di ritornare sui fondamenti delle
leggi economiche? Porre l’uomo al centro degli interessi, piuttosto che denaro e
profitto senza sforzi? Oggi l’artificiosità del sistema capitalista ci mette di
fronte ad una realtà che già da tempo è stata denunciata e vietata dal modello
economico islamico.
Quali sono i criteri più importanti del sistema islamico? Una serie di divieti e
imposizioni: no a “riba” (interesse, usura), no a “gharar” e a “maysir”
(incertezza e speculazione), e ancora no a “haram” (settore illecito come il
gioco, l’alcool, la pornografia e il tabacco), l’obbligo di condividere profitti
e perdite, e infine l’etica, ovvero stanziare i fondi per settori socialmente
utili.
Questi principi semplici e naturali sono garanzie che impediscono crisi di tipo
subprime (prestiti concessi a soggetti che non possono accedere alle leggi di
mercato, che si rivelano rischiosi tanto per i creditori quanto per i
debitori)…l’interesse con usura, vietato ufficialmente dall’Islam, infatti,
potrebbe incrementare la crisi andando a destabilizzare un sistema che rifiuta
di lavorare con e per il denaro.
Alcuni pensano che adottare come modello economico quello suggerito dal mondo
islamico, non sia possibile, visto che i progressi e la follia materialistica in
cui viviamo non possono ammettere principi datati a 14 secoli fa. Allah ci
impone tassi di interesse a zero in tutti gli scambi finanziari al fine di
incitare il partnetariato e la condivisione di rischi e benefici. Basta guardare
i riflessi immediati che la banca centrale europea e americana stanno adottando
in campo gestionario durante la corrente crisi e in quelle del passato:
diminuire i tassi d’interesse. Diminuire, tendere sempre più vicino allo zero
per rilanciare l’economia, dare più fiducia al risparmiatore e al mercato
finanziario così da favorire i crediti presso le banche.
I musulmani, convinti e rispettosi dei principi islamici, non hanno nessun
dubbio circa i benefici del divieto dell’usura, perché se Allah ne ha vietato
l’uso è proprio in virtù delle sue supreme conoscenze, superiori a chiunque
altro in merito alle sue creature. Quante altre crisi di questo genere dovremmo
subire prima che ci si renda conto dell’evidenza delle parole di Allah nel
Corano? A cos’altro ci invita il modello islamico se non a mettere al servizio
dell’uomo il denaro, e non viceversa? Il quadro normativo e operativo del
modello islamico permette a tutti di lavorare in uno spirito di
imprenditorialità, condividendo i rischi e i benefici. Questa disposizione
consente una prudenza misurata e intelligente che evita la reazione a catena in
caso di crisi e slittamento economico.
Incredibile, ma vero, quanta cupidigia tirano fuori i big della finanza, quelli
che decidono le sorti della borsa senza subirne le conseguenze. Le loro scelte e
azioni sbagliate sono corrette dai risparmi dei contribuenti attraverso gli
Stati che rilanciano miliardi d’euro e di dollari sul mercato per evitare il
crollo delle azioni. I liberali chiedono il salvataggio degli Stati che
nazionalizzano le banche in fallimento, a prescindere dalla tendenza politica di
dominio. Chissà se Karl Marx si starà ribaltando nella sua tomba?
Abbiamo smarrito il senso del lavoro, della fatica, e della ricompensa a tanto
sudore. Oggi il marketing si presenta talmente aggressivo che spinge sempre di
più a chiedere e concedere crediti al consumo. La corruzione del
super-capitalismo e del neoliberalismo dovrebbe interpellarci e permetterci di
rimettere in discussione le nostre scelte riguardo la società e il modello
economico. I fondamenti del modello economico suggerito dall’Islam si basano
prima di tutto sulla responsabilità delle azioni e degli impegni dell’uomo
davanti ad Allah. Ogni musulmano deve tenere a mente che anche il minimo
centesimo guadagnato, investito o risparmiato, comporta delle conseguenze di cui
si è obbligati a render conto. L’Islam incoraggia lo sviluppo economico e
l’arricchimento personale a condizione che l’individuo rispetti una certa etica
morale, ovvero quella di non ledere il prossimo nella propria ascesa sociale e
materiale. Il fine del modello economico islamico permette di mantenere e
salvaguardare il mezzo della gestione dei flussi finanziari come un semplice
mezzo, permettendo il trasferimento dei beni e delle ricchezze al servizio della
condizione umana.
La perversione di questo capitalismo, nella quale ci troviamo, è la prova che
l’occidente o piuttosto il modello occidentale ha perso la sua credibilità nel
panorama internazionale. È giunto il momento in cui gli economisti di ogni
tendenza, e soprattutto i musulmani, facciano conoscere la propria alternativa,
basata su leggi e principi del sistema islamico. Il fine dell’uomo secondo la
religione islamica e di ottenere la Grazia, la soddisfazione e la Misericordia
di Allah in questa vita. L’economia non deve essere altro che un mezzo per
raggiungere questo scopo, vista la connaturata predisposizione alla ricerca del
benessere e dello sviluppo
Oggi si crea il vuoto tra la gente per provocare una dipendenza al consumo.
Questa economia meccanica basata sullo studio comportamentale e societario
incita e spinge gli individui al super-consumo. Guardate la follia dei grandi
supermercati per un determinato prodotto, l’incredibile diversità che ci
propongono. Hanno pensato davvero a tutto per spingerci al consumo assurdo e
idiota: il prodotto secondo il genere, la categoria sociale, la stagione, la
moda…
Nell’Islam si gode del privilegio di essere coscienti di quanto pericoloso possa
essere giocare con i limiti indicati da Allah nel Corano, e le conseguenze che
questo comporta. L’Islam richiede dei valori morali ed etici nei meccanismi
dell’economia e dello sviluppo sociale.
Un segno del cambiamento di mentalità è ravvisabile nelle parole del giornalista
economista Beaufils Vincent, direttore redazionale di Challenges: “…in periodo
di piena crisi finanziaria che arresta gli indici in crescita, bisogna rileggere
ed interrogare il Corano, piuttosto che i libri pontifici. Perché se solo i
nostri bancari, avidi di rendere redditizi i propri fondi, avessero rispettato
anche solo minimamente la sharia, non ci troveremmo a questo punto. Non bisogna
vedere la finanza islamica come un esercizio di baratto medievale. I Paesi del
golfo ci hanno già dimostrato quanto la loro mentalità può facilmente adattarsi
ai dettami del XXI secolo. I loro banchieri non transigono solamente su un
fattore sacro: il denaro non deve produrre dell’altro denaro. La traduzione in
fatti di questo impegno è semplice: i crediti devono essere concessi per
attività ben identificate. Vietati i prodotti tossici, dimenticati l’ ABS (Asset-backed
security, strumento finanziario, obbligazione negoziabile o trasferibile emessa
a fronte di operazioni di cartolarizzazione garantito dagli attivi sottostanti)
e il CDO ( obbligazione che ha come garanzia un debito) . In altre parole, il
denaro può essere utilizzato solo per finanziare l’economia reale. Non ci sono,
quindi, azzardi: se le banche del Golfo sono uscite indenni dalla crisi dei
subprime, è perché di fatto non ci sono proprio mai entrate. Il rispetto di
questo principio del Corano è ugualmente vantaggioso anche nella relazione che
ciascuno intrattiene con il denaro, che sia di un’impresa o di un singolo: le
persone morali non hanno così il diritto ad indebitarsi aldilà della loro
capitalizzazione di borsa, in pratica non soffriranno mai per il
super-indebitamento. Ecco delle regole che non potranno mai nuocere, anche se si
basano su un testo del VII secolo..” Fonte Edito 11/09/08 Le pape ou le Coran
http://www.challenges.fr/ .
Si tratta di un’importante testimonianza di un esperto che onora la giustizia e
la verità del Corano in merito all’economia e alla dimensione sociale. Purtroppo
tutti i paesi musulmani sono ben lontani dal rispetto della Sharia Islamica. Una
parte di musulmani e soprattutto la classe media e borghese hanno ceduto al
richiamo del capitalismo e dell’ultra-liberalismo, incrementando il prestito con
l’usura. Non hanno saputo organizzarsi e svilupparsi, seguendo l’ esempio di
compatrioti in Inghilterra che, in due generazioni, hanno fatto emergere banche
islamiche, capaci di rispondere ai loro bisogni e nel frattempo rispettose della
Sharia. In Francia e altrove si lasciano tentare dalla facilità senza misurarne
realmente le conseguenze dirette. Bisogna conoscere una semplice regola, ogni
credito usuraio concesso incoraggia il sistema esistente e ritarda in questo
modo l’emergenza del sistema islamico in linea con la Sharia. Il coraggio, la
determinazione e il successo degli imprenditori musulmani è tale che tutte le
grandi banche, nazionali ed internazionali, e gli stati stessi chiedono ai
musulmani dei loro Paesi di impegnarsi in studi volti allo sviluppo e alla
produzione di un’alternativa conforme all’etica islamica. Si parla di un mercato
potenziale, valutato per 700 miliardi di euro. La sicurezza offerta dal modello
islamico è così evidente che persino le società non-islamiche preferiscono e già
lavorano con le banche musulmane d’Inghilterra. Ciò che sembrava utopistico e
medievale, da qualche tempo sta diventando per alcuni una realtà inevitabile,
confermata e sostenuta dai migliori conoscitori del mondo finanziario da sempre
profani.
La finanza islamica in Italia
Un mercato appetibile che ammonta a un miliardo e mezzo di persone. Un mondo di prodotti da una cultura diversa dalla nostra. Ma che potrebbe aprirsi anche a risparmiatori non musulmani
I circa 1,5 miliardi di musulmani del
pianeta rappresentano un mercato appetibile non solo per le banche islamiche ma
anche per le grandi case di investimento internazionali come le inglesi Hsbc e
Barclays, l’americana Citigroup, la tedesca Deutsche Bank e la francese Bnp
Paribas. In Inghilterra inoltre ci sono delle banche islamiche come
I prodotti di finanza islamica più conosciuti sono i Conti di risparmio Al
Wadiah, depositi che prevedono al posto di un tasso di interesse fisso legato al
fattore temporale un premio in relazione all’andamento dei profitti totali della
banca, il Murabaha che può sostituire alcune forme di prestito ed è utile per
gli acquisti di beni mobili (auto, elettrodomestici, altre spese per la
famiglia), il Qard al-Hasan prestito che non richiede il pagamento di interessi
né altra maggiorazione, i Fondi per lo Zakat, sorta di ridistribuzione del
capitale che oggi viene effettuata dai musulmani verso conoscenti meno fortunati
e bisognosi,
In Italia non esistono esempi di strumenti di finanza islamica ma solo prodotti
bancari occidentali “mascherati” per soddisfare i principi islamici creati per
gli immigrati di fede musulmana.
All’inizio del 2008 il portavoce dell’Union of Arab Banks Adnan Yousif ha
incontrato una parte dell’Asset bancario italiano per proporre fondi di
investimento islamici anche ai non musulmani. Questa operazione verrebbe gestita
dalla European Islamic Investiment Bank che ha la sua sede principale a Londra.
In precedenza, in Italia l’unico prodotto islamico che è stato autorizzato è
quello targato Bnp Paribas, l’Islamic Equilties Optimiser, si tratta di un fondo
che pur seguendo le regole della Shariah è composto da titoli di società
internazionali con un elevato dividend yeld, però dopo più di un anno ha chiuso
perché non ha attirato abbastanza investitori.
Il mercato italiano oramai è diventato molto appetibile per gli investitori
arabi. I fondi sovrani libici della Central Bank of Lybia, Lybian Investiment
Authority e Lybian Foreign Bank salgono al 4,23% del capitale di UniCredit e
sono diventati il secondo azionista dietro
A Parigi si studia la finanza islamica
È trascorso appena un anno da quella
dichiarazione, da taluni a suo tempo criticata: «La finanza islamica presenta
vari vantaggi, soprattutto perché condanna la speculazione». Sì, parola di
Christine Lagarde, ministro dell'Economia francese, che nel Paese laico per
eccellenza, allergico a ogni imposizione da parte di una religione, qualsiasi
essa sia, cercò di sdoganare la finanza «compatibile con la sharia», come la
chiamano gli esperti. È trascorso appena un anno. E di acqua ne è passata tanta
sotto i ponti.
Lo scorso gennaio la scuola di management di Strasburgo (Ism) ha introdotto il
primo diploma universitario di finanza islamica in Francia. In febbraio lo Stato
ha autorizzato due primi prodotti finanziari di questo tipo, che al pari degli
altri cercano di evitare che il fedele incassi direttamente il «riba», gli
interessi o il lucro, detto prosaicamente: si tratta del murabaha (contratto fra
la banca e il cliente per la vendita di beni il cui prezzo finale è comprensivo
di un margine di profitto per l'istituto di credito) e il sukuk, tipo
particolare di obbligazioni. Non solo: anche all'università Paris Dauphine, la
più prestigiosa nella capitale per gli studi economici, decollerà in novembre un
master sul tema.
Si tratta di un corso di un anno (master 2, da frequentare dopo quattro anni di
studi successivi alla maturità) e riguarderà «principi e pratiche della finanza
islamica». «Esiste una domanda forte da parte delle istituzioni finanziarie non
islamiche che vogliono formare i loro collaboratori perché sappiano gestire al
meglio i clienti musulmani», ha dichiarato ieri al quotidiano Libération Elyès
Jouini, direttore dell'Institut Finance Dauphine (Ifd), dove si svolgerà il
master. E che già sta predisponendo aule e computer per i futuri allievi.
Questi, oltre a seguire corsi di finanza tradizionale, ne avranno di specifici
sul diritto degli appalti pubblici nei Paesi islamici, sui contratti di diritto
musulmano, sulle tecniche di management compatibili con le pratiche religiose
dell'islam, sulla ripartizione dei maggiori capitali islamici nel mondo. Una
cosa è certa: se anche Dauphine ha creato cattedre di queste materie, vuol dire
che a Parigi la finanza islamica è stata davvero sdoganata.
Intanto, i 35 studenti ammessi al corso iniziato in gennaio all'Ism di
Strasburgo testimoniano l'interesse del mondo dell'impresa e delle banche per
questi nuovi strumenti. «Sui 35 ammessi, almeno una trentina sono stati inviati
da studi di avvocati e da istituzioni finanziarie. Non provengono solo dalla
Francia, ma pure dal Belgio, dal Lussemburgo, dalla Germania, dalla Svizzera»,
ricorda Ibrahim Cekici, coordinatore del corso. Sarà la crisi a spingere le
banche a diversificare il proprio portafogli di clienti? È uno dei fattori,
senza considerare che a Parigi negli ultimi anni tanti intermediari si sono
ritrovati a gestire clienti superdanarosi del Golfo (vedi la famiglia del
sultano del Qatar, amicissima di Sarkozy), alle prese con l'acquisto di palazzi
interi nel centro della città, da realizzare rispettando gli schemi della
finanza islamica. Che, però, interessa anche la nuova borghesia emergente
dell'immigrazione araba in Francia. Clienti molto più piccoli. Ma non da
sottovalutare.
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La crisi dei subprime favorirà