SALVIAMO IL PARMIGIANO REGGIANO

DAI MANGIMI GENETICAMENTE MODIFICATI

 

DALLA SCIENZA UNA CERTEZZA: TEORIA SUL DNA SBAGLIATA.

OGM SEMPRE PIÙ A RISCHIO PER LA SALUTE.

 

(A cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

PREMESSA

 

Con questo dossier non vogliamo danneggiare nessuno, tanto meno i produttori del latte attraverso cui si produce il famoso formaggio emiliano. Conosciamo bene le loro fatiche e i loro problemi, ma appunto per questo, aderendo alla campagna di Greenpeace sul Parmigiano-Reggiano, vogliamo preservare e valorizzare la genuinità e l'alta professionalità di tutti coloro che operano in questo settore, dalla stalla alla commercializzazione del prodotto.

 

Il problema degli Ogm nei mangimi zootecnici non è un problema inventato se è vero che fu lo stesso presidente Andrea Bonati, del Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano, che due anni fa ammise che  «Per i mangimi non vale la prescrizione sull'origine delle materie prime, e quindi, poiché le aziende sono costrette a procurarsi soia dai paesi extra Cee, utilizzano anche soia e mais transgenici» (vedere qui).

 

Due anni dopo (nel giugno 2007) e sotto la pressione della campagna di Greenpeace, il nuovo presidente Giuseppe Alai, dice che  «Il Parmigiano-Reggiano non contiene alcuna traccia di Ogm, e per quanto possiamo apprezzare gli obiettivi ai quali mira l’azione di Greenpeace, non possiamo che stigmatizzare i modi in cui l’organizzazione si è mossa, alimentando dubbi e possibili allarmismi su fatti non comprovati che possono gravemente danneggiare tutti i produttori di Parmigiano-Reggiano». (vedere qui)

 

Queste due dichiarazioni contrapposte, fatte da due presidenti del Consorzio nel giro di appena due anni, possono dare adito a qualche dubbio. Chi dice la verità? La soia arriva ancora dai paesi extra Cee o no? Nei mangimi per le vacche da latte si utilizzano o no soia e mais transgenici? Risulta infatti alquanto inverosimile che in soli due anni, nell'ambito della Cee, si sia raggiunto la piena autonomia e disponibilità sia di soia che di mais non Ogm...

Altra domanda: secondo la citata dichiarazione di Andrea Bonati, ex presidente del Consorzio Parmiggiano-Reggiano, che «Per i mangimi non vale la prescrizione sull'origine delle materie prime... » e che quindi è possibile che soia e mais Ogm arrivino nei mangimi per le vacche da latte... Bene. Questo buco legislativo esiste ancora o no (vedere qui)?

A tutte queste domande vorremmo che fosse il Consorzio stesso a dare delle risposte. Come vorremmo ancora sapere, dallo stesso Consorzio,  se si stanno adottando politiche di tolleranza zero verso gli Ogm oppure no?

 

Lo ripetiamo: non vogliamo danneggiare nessuno, ma soltanto avere chiarezza e verità sulla questione. È troppo ciò che chiediamo? A rigor del vero dobbiamo anche dire che ci sono aziende e caseifici che certificano come "Ogm Free" il loro Parmigiano-Reggiano... Dunque, produrre Parmigiano-Reggiano senza Ogm è possibile. Il punto è allora di fare in modo che questa Campagna di Greenpeace spinga il Consorzio ad un maggior impegno in tal senso. Tutto qui... Del resto. questo è uno dei compiti di una sana stampa libera in un paese democratico: il chiedere chiarezza là dove sembra esservi qualche dubbio o zona grigia (vedi le dichiarazioni contrapposte dei presidenti del Consorzio).

 

Bisogna che la gente sappia ciò che la scienza va scoprendo e cioè che «L’ingegneria genetica è basata su una teoria superata. Ossia sulla credenza, elaborata nel 1973, che ogni gene riproduce un singolo tratto, una singola proteina. Sbagliato è dunque il corollario: che si possa trasferire un certo tratto o proteina trasferendo un singolo gene da una specie all’altra. I geni non sono portatori di una sola funzione. La quadriennale ricerca dell’US National Human Genome Research Institute ha provato oltre ogni dubbio che i geni del DNA agiscono «in reti in cui l’effetto di ogni gene è deciso dall’azione reciproca su questo gene di molti altri», in modo olistico non ancora ben compreso.
Il brevetto dei geni è una frode. Frode basata sul mito che ogni gene codifica una proteina o un tratto.
Su questi brevetti si basa un’industria da 74 miliardi di dollari. Senza questi brevetti, questa industria non sopravviverebbe. La bio-ingegneria è radicalmente imprevedibile negli effetti, e perciò non sicura per la salute. La scoperta che i geni operano in reti che decidono il comportamento dei geni devasta le precedenti "valutazioni del rischio".
L’uso di sementi o cibi geneticamente modificati, fieramente imposti da entità multinazionali come la Monsanto, è dunque rischioso fino a quando la nuova teoria non consentirà una valutazione del rischio sulle nuove basi...»
(vedere l'articolo di M. Blondet di seguito).

 

 

 

 

Catena del DNA

 

 

 

 

 

PRELUDIO SCIENTIFICO

 

 

DNA: teoria sbagliata,

ma buona per il business

Maurizio Blondet - 26/07/2007

Sta crollando la teoria centrale sulla natura del DNA.
Quella da cui si è sviluppata la biotecnologia, su cui si basano la cosiddetta «mappatura del menoma», l’industria del «geneticamente modificato» e le promesse di mirabolanti farmaci e il connesso giro d’affari: 73,5 miliardi di dollari nel mondo.
Di che si tratta?
Della teoria elaborata dai primi biologi tra il 1965 e il 1973, quando scoprirono che il gene che produce l’insulina nell’uomo ha un gene corrispondente nel maiale, che produce pure insulina (per maiali).
Ciò ha dato vita a quello che si chiama «il dogma centrale della biologia molecolare»: la convinzione che - nella lunghissima catena del DNA - ogni singolo gene contiene le informazioni per produrre una singola proteina.
In tal modo, la catena del DNA viene concepita come «una collanina» di perle, in cui ogni perla (gene) ha una funzione specifica, ben determinabile, con chiari confini tra un gene e l’altro.
Di qui la conseguenza: l’idea che si possa innestare il gene insulinico del maiale nell’uomo e fargli produrre insulina per diabetici, senza effetti collaterali sconosciuti.
Oppure: inserire un gene del fegato umano nel riso, il gene di un batterio nella patata e così via, ottenendo risultati prevedibili… e commerciabili.
Adesso però, scienziati senza scopo di lucro hanno scoperto ciò che da tempo si sospettava: il genoma umano non è «una nitida collezione di geni indipendenti», né ogni sequenza di DNA è collegata ad una singola funzione. (1)
Al contrario, i geni operano stabilendo fra loro una complicatissima «rete», si influenzano a vicenda e spesso sovrappongono le loro funzioni con altri geni, in un processo «intelligente», dinamico e delicato nel controllo del processo cellulare, che coinvolge persino la meccanica quantistica.
Né il DNA né alcuno dei suoi geni sono «micro-oggetti» che possono essere separati e manipolati con effetti certi e prevedibili, ma un «tutto» che agisce in modo misterioso e ancora poco compreso.

A questa conclusione è giunto, dopo 4 anni di sperimentazioni, l’US National Human Genome Research Institute, che non è solo americano ma consorzia 35 gruppi di ricerca in 80 laboratori nel mondo.
Secondo l’Istituto, le sue scoperte «obbligano gli scienziati a ripensare le loro opinioni di lunga data su cosa è il gene e come funziona».
In pratica, il fondamento teorico della ingegneria genetica è dimostrato gravemente incompleto.
In realtà, da anni cova nella biologia molecolare una visione non-riduzionista del DNA.
Ma questa visione non ha avuto abbastanza finanziamenti, perché la teoria semplicista-meccanicista («Un gene - una proteina»)  si adattava meglio a ciò che viene chiamato «il gene industriale», sfruttabile, brevettabile e vendibile come farmaco o alimento.
«Il gene industriale è un gene che può essere definito, rintracciato, di cui si può provare che ha effetti uniformi, che può essere brevettato e venduto», dice Jack Heinemann, docente di biologia molecolare alla Università di Canterbury in Nuova Zelanda, nonché direttore del Centro per la Ricerca Integrata in Bio-sicurezza (biosafety).
Così, è la ricerca sul «gene industriale» che ha avuto i fondi, praticamente dalla Borsa.
Questa «scienza» ha già brevettato in USA ben 4 mila geni umani (e decine di migliaia di geni di piante, animali, batteri) dichiarando che ciascuno «codifica una specifica funzione».
E’ la stessa «scienza» che si è occupata di quel 5% del DNA che si «esprime» (codifica proteine), dichiarando che il restante 95% era «silente», che non serviva a niente, che era «imbottitura» o ancor peggio «spazzatura, residuo di errori evolutivi».
Ora si comincia a temere che questo DNA-spazzatura (junk-DNA) svolga funzioni silenziose ma essenziali «in rete».
E sia più importante del 5% che «si esprime».
Perché c’è da temere?

Perché l’innesto di un gene da una specie ad un’altra non svolge «una sola funzione specifica», ma agisce «olisticamente» su tutto in modi imprevedibili, e potenzialmente pericolosi per l’individuo-ospite.
Barbara Caulfield, vicepresidente di una ditta d’avanguardia nel campo, la Affymetrix, lo aveva già scritto nel 2002 in un rapporto intitolato: «Perché odiamo i geni brevettati» (Why we hate gene patents).
«Il genoma è di una complessità enorme, e la sola cosa che possiamo dire di esso con certezza è quanto abbiamo ancora da imparare dal DNA».
Per esempio: «Stiamo imparando che molte malattie non sono dovute all’azione di un singolo gene, ma a interferenze tra multipli geni. Di recente è stata decodificata la struttura genetica di una delle forme più virulente di malaria, e si è visto che coinvolge l’inter-azione di 500 geni».
«Nel nostro ambiente ci siamo sempre detti con preoccupazione che la commercializzazione della biotecnologia era prematura, essendo basata su una comprensione della genetica che sapevamo incompleta», dice il neozelandese Heinemann.
E accusa l’ufficio di biotecnologia della Food and Drugs Administration (FDA), l’ente scientifico-burocratico americano che  autorizza l’uso di farmaci e di alimenti, e che dal 1992 ha dato l’approvazione al primo alimento geneticamente modificato.
«Poiché questo ufficio-patenti crede alla teoria che i geni agiscano indipendentemente l’uno dall’altro, non è cosciente degli effetti e rischi potenziali che nascono dal DNA-rete».
Anzi, per anni chi esprimeva dubbi sulla sicurezza della bio-genetica per la salute è stato deriso come non-scientifico.
Nel 2004, ad una conferenza d’alto livello sul tema, il fondatore dell’ufficio biotecnico presso il FDA, dottor Heny I. Miller, ha ancora una volta affermato: «Sia la teoria, sia l’esperienza confermano la straordinaria prevedibilità e sicurezza per la salute della tecnica di taglio dei geni e dei suoi prodotti».
Va detto che Miller è anche membro della Hoover Institution, la fondazione «culturale» che fa la più energica lobby per gli OGM e la loro innocuità.
Ora, rischia di passare alla storia (speriamo) come il ridicolo astronomo geocentrico che si rifiutava di guardare nel cannocchiale di Galileo, temendo per la sua teoria.
Ora, la teoria dice che il DNA non è una collanina, ma una rete dinamica.
E ciò rivoluziona tutto.

Decenni di ricerca, migliaia di ricercatori, miliardi di dollari sono stati dedicati ad un mito scientifico, inquadrabile a sua volta nel mito darwiniano evoluzionista e nel più generalmente ridicolo «riduzionismo» e meccanicismo scientista.
Ma almeno, l’astronomo aristotelico ridicolizzato da Galileo non era pagato per la sua teoria superata, non aveva interessi economici per affermarla.
Oggi, c’è il sospetto  che il business del «genoma industriale» abbia soppresso deliberatamente i filoni di ricerca che, rischiando di smentirlo, mettevano a rischio i profitti e le promesse pubblicitarie.
Infatti, un articolo apparso nel 2004 su Nature Genetic (un importante rivista scientifica) proponeva che i ricercatori impegnati nell’industria biotecnica cominciassero a rendere pubblici i loro «segreti del mestiere», in modo che i revisori scientifici potessero esaminare davvero le loro mirabolanti promesse e gli effetti collaterali.
Ciò perché, dice Heinemann, molte ditte biotech già conducono studi genetici sulle interferenze che i loro «prodotti» subiscono dal DNA-rete.
Ma poiché non sono obbligati a dichiarare la maggior parte dei loro dati all’«ufficio-brevetti» del FDA, non lo fanno.
E così, sia i ricercatori sia i regolatori burocratici «continuano a rendersi ciechi di fronte agli effetti-rete».
 E’ la scienza di Cretinopoli, la scienza dei ciechi volontari; dove a dettare la ricerca sono le quotazioni azionarie e la propaganda.
E che sopprime e ridicolizza le sempre più numerose esperienze sulla pericolosità delle sementi e degli alimenti geneticamente modificati.
La cosa è così importante, che Vale la pena che anche il grande pubblico ignaro capisca di cosa si stia parlando, onde cominciare - magari - a resistere ai burocrati che anche in Europa premono (pagati dalle note lobby) per gli OGM, e che ce li mettono surrettiziamente nel piatto.
Dunque, ecco un semplice catechismo:

L’ingegneria genetica è basata su una teoria superata
Ossia sulla credenza, elaborata nel 1973, che ogni gene riproduce un singolo tratto, una singola proteina.
Sbagliato è dunque il corollario: che si possa trasferire un certo tratto o proteina trasferendo un singolo gene da una specie all’altra.
I geni non sono portatori di una sola funzione
La quadriennale ricerca dell’US National Human Genome Research Institute ha provato oltre ogni dubbio che i geni del DNA agiscono «in reti in cui l’effetto di ogni gene è deciso dall’azione reciproca su questo gene di molti altri», in modo olistico non ancora ben compreso.
Il brevetto dei geni è una frode
Frode basata sul mito che ogni gene codifica una proteina o un tratto.
Su questi brevetti si basa un’industria da 74 miliardi di dollari.
Senza questi brevetti, questa industria non sopravviverebbe.
La bio-ingegneria è radicalmente imprevedibile negli effetti, e perciò non sicura per la salute La scoperta che i geni operano in reti che decidono il comportamento dei geni devasta le precedenti «valutazioni del rischio».

L’uso di sementi o cibi geneticamente modificati, fieramente imposti da entità multinazionali come la Monsanto, è dunque rischioso fino a quando la nuova teoria non consentirà una valutazione del rischio sulle nuove basi.
Si sono già verificati incidenti da «cattiva valutazione».
L’agghiacciante produzione di triptofano con l’uso di un batterio geneticamente modificato, prodotto dalla ditta giapponese Showa Denko, e che ha portato alla morte di 37 persone e all’invalidità permanente di altre 1.500, può essere un caso esemplare degli effetti del riduzionismo scientifico coniugato al business: si veda la storia al sito PRAST, «Physichians and Scientists for responsible application of Science and Technology», http://psrast.org/demsd.htm.



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Note

1) Denise Caruso, «Challenge to gene theory, a tougher look at Biotech», New York Times, 1 luglio 2007. Denise Caruso non è una semplice giornalista; è direttrice dell’Hybrid Vigor Institute, «an  independent, not-for-profit research organization and consultancy that is dedicated to interdisciplinary and collaborative problem solving».

 

 

la campagna OGM FREE

 

 

CAMBIARE DIETA ALLE MUCCHE

DEL PARMIGIANO REGGIANO

venerdì 20 luglio 2007

Un appello affinché gli Ogm escano dalla produzione del più nobile formaggio italiano Non c'è solo il fatto che, attraverso le mucche del Parmigiano Reggiano, la nostra tavola è diventata parente, sebbene alla lontana, degli Ogm. Bisogna tenere conto di un'altra cosa, importantissima: i mangimi con vegetali geneticamente modificati che sono alla base del formaggio più famoso d'Italia contribuiscono alla diffusione degli Ogm in qualche parte del mondo, visto che giustamente non li vogliamo far crescere a casa nostra. E fanno conseguentemente aumentare la possibilità che siano contaminate da Ogm le colture destinate anche ai nostri piatti. In questo contesto si inserisce l'appello che Federbio lancia al Consorzio del Parmigiano Reggiano affinché le mucche cambino radicalmente dieta.

Magazzino di formaggio

La prova provata che le mucche del Parmigiano Reggiano mangiano Ogm viene da un dossier diffuso nelle scorse settimane da Greenpeace: ma da tempo è noto che gli Ogm sono entrati nelle filiere zootecniche, comprese quelle delle carni conservate e dei latticini con marchi Dop e Igp. Perlomeno: se i disciplinari di produzione non li vietano esplicitamente - cosa che non avviene quasi mai - è lecito pensare che ci siano. Fanno eccezione ovviamente i prodotti biologici.

Già anni fa il presidente del Consorzio per il Parmigiano Reggiano aveva ammesso l'uso di mangimi Ogm, e si erano scatenate le domande e i dubbi sulla possibilità che gli Ogm passassero al latte e poi al formaggio. Greenplanet, per l'occasione, aveva ospitato il parere dell'"altro campanaro", lo scienziato Dario Bressanini ùconvinto che non ci sia nessuna, nessunissima differenza fra un Parmigiano Ogm free e non, e convinto soprattutto che gli Ogm non siano affatto pericolosi.

A seguire la risposta: anche lasciando da parte i molti dubbi sui rischi per la salute umana legati al consumo di Ogm, resta il fatto che una tecnologia è accettabile solo se c'è la possibilità di eliminarla totalmente nel momento in cui se ne accerta la pericolosità. E a questo requisito, purtroppo, gli Ogm non rispondono, dal momento che contaminano il patrimonio genetico delle colture convenzionali.

Di qui l'importanza che le mucche del Parmigiano Reggiano non si cibino di Ogm, e che lo stesso avvenga in tutta la filiera zootecnica. Di qui anche il valore del Parmigiano Reggiano biologico: i produttori aderiscono al Consorzio ma non usano manigmi Ogm. Sono pochi, appena una ventina: ma merita andarli a cercare.

 

 

Il Parmigiano-Reggiano si fa con il latte. E il latte viene dalle mucche. Ma le mucche del Consorzio del Parmigiano Reggiano mangiano soia Ogm della Monsanto. Il Parmigiano-Reggiano è uno dei prodotti italiani più famosi e apprezzati al mondo: è assurdo che ci siano Organismi Geneticamente Modificati nel suo ciclo produttivo! Aiutaci a salvare il Parmigiano Reggiano dalla trappola degli Ogm. Scrivi al Consorzio e chiedi una modifica immediata del disciplinare di produzione: mai più soia Ogm per le mucche del Parmigiano-Reggiano!

Clicca sull'immagine e scrivi al Consorzio

 

 

La campagna di greenpeace

 

Occorre modificare il disciplinare di produzione per escludere gli Ogm da tutte le fasi della filiera produttiva. Le alternative ci sono. E sono a portata di mano. La soia certificata non-Ogm è disponibile sul mercato. In grandi quantità e a costi ragionevoli. Si tratta solo si scegliere. (dal sito di Greenpeace)

 

Fonte web

I consumatori italiani sono in grande maggioranza contrari agli Ogm e le aziende alimentari si adeguano, puntando su prodotti che non contengono ingredienti transgenici. E in effetti è praticamente impossibile trovare prodotti etichettati Ogm sugli scaffali italiani.

Eppure gli Ogm non ci hanno abbandonato. Continuano a intrufolarsi nella nostra catena alimentare per vie meno evidenti.

La stragrande maggioranza degli Ogm che arrivano in Italia finiscono nei mangimi animali. E contaminano anche i prodotti della nostra tradizione che ci sono cari come il Parmigiano-Reggiano.

La soia che si usa nei mangimi... Di solito viene ridotta in farina.La soia Ogm della Monsanto - modificata per sopportare dosi massicce di erbicida - è sempre più presente nelle stalle italiane. Attraverso il latte arriva al consumatore finale e - di passaggio - contamina anche alcuni dei più rinomati prodotti a Denominazione di Origine Protetta. E' una situazione molto grave: sempre più spesso i prodotti italiani di qualità vengono copiati - i vari Parmesan, Regianito e Parmesao sono solo un esempio. E per resistere su un mercato così aggressivo servono qualità e sicurezza senza ombre.

Il rilascio in natura di Ogm può produrre effetti irreversibili sugli ecosistemi. Gli Ogm sono organismi viventi e possono riprodursi e moltiplicarsi nello spazio che nel tempo, sfuggendo a qualsiasi controllo. Da questo punto di vista non fa differenza se gli Ogm vengono impiegati per l'alimentazione animale o per l'alimentazione umana. Ci sono seri dubbi sulla sicurezza degli Ogm per l'uomo e per gli animali. E c'è purtroppo una certezza: molto spesso gli Ogm non vengono adeguatamente testati in termini di sicurezza alimentare.

Mentre sono sempre di più i prodotti e i produttori italiani che escludono l'uso di Ogm in tutti i passaggi della produzione - sia negli ingredienti che nei mangimi animali - il Consorzio del Parmigiano-Reggiano - uno dei formaggi più rinomati al mondo - non prende posizione contro gli Ogm: il disciplinare di produzione non esclude infatti l'impiego di mangimi contenenti Ogm.

Non tutto il Parmigiano-Reggiano è toccato dagli Ogm. La produzione legata all'agricoltura biologica non impiega Ogm e offre ai consumatori un prodotto garantito da tutti i punti di vista. Diversi allevatori aderenti al Consorzio hanno inoltre già espresso la propria volontà di utilizzare solo mangimi senza Ogm, per poter continuare a produrre un latte sicuro al 100 per cento, senza l'impiego di Ogm.

FEDERBIO AIAB Dal 2002, Greenpeace chiede al Consorzio di affrontare il problema Ogm. Le alternative ci sono. E sono concrete. La soia certificata non-Ogm è disponibile sul mercato in grandi quantità e a costi ragionevoli: abbastanza per tutta la produzione del Parmigiano-Reggiano e per l'intero fabbisogno italiano. Si tratta solo di scegliere, una scelta volta alla tutela e al futuro.

Tu puoi fare molto per convincere il Consorzio a rivedere il disciplinare di produzione. Scrivi adesso al Consorzio per dire che - come consumatore - desideri poter acquistare un Parmigiano-Reggiano sicuro e garantito. Senza Ogm.

 

 

VISITA IL SITO DI GREENPEACE

SUL PARMIGGIANO REGGIANO

 

 

 

 

 

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Il caso Parmigiano-Reggiano
Giugno 2007
(PDF)

Problematiche ambientali e sanitarie relative
all’utilizzo di colture geneticamente modificate (OGM)
per l’alimentazione animale

 

No agli Ogm. Con un "referendum"

Al via la Coalizione "Italia-Europa. Liberi da OGM"
 

 

US National Human Genome Research Institute

L'istituto americano che ha fatto la scoperta sul DNA