RASSEGNA STAMPA

REFERENDUM SULLA PROCREAZIONE

E ANCHE DOPO....!!!

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UNA BATTAGLIA LAICA

 CONTRO I NUOVI BARBARI

anche, lui direbbe di no!

Anzi, non andrebbe a votare...

Tutto ciò che ha valore nella società umana

dipende dalle opportunità di progredire che

 vengono accordate ad ogni individuo
(Albert Einstein)

 

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I QUATTRO QUESITI

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Due anni dopo il referendum...

Su sentenza del Tribunale di Cagliari,

“Scienza & Vita” parla di pratica eugenetica

 

ROMA, lunedì, 24 settembre 2007 (ZENIT.org).- Questo lunedì il Tribunale di Cagliari ha depositato una sentenza secondo cui “è consentita la diagnosi preimpianto” vietata dalla legge 40/2004 sulla procreazione assistita, ha informato l'avvocato Luigi Concas in un'intervista a “Radio Radicale”.

Il Tribunale aggira la legge sostenendo che esiste una interpretazione costituzionalmente orientata della legge 40, e autorizza l'Istituto ospedaliero interessato ad eseguirla.

La vicenda parte dal ricorso di una donna sarda che due anni fa aveva chiesto di poter eseguire la diagnosi preimpianto prima di procedere con le tecniche di fecondazione in vitro perchè portatrice della talassemia.

Immediate le reazioni dall’Associazione “Scienza & Vita” che in comunicato recapitato a ZENIT sostiene che “nel caso di Cagliari è evidente la finalità eugenetica”

“Non è vero che in qualche modo la legge 40 prevede la diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni umani – sostiene –. E’ vero esattamente il contrario: la legge 40 vieta la diagnosi genetica preimpianto anche se non la menziona espressamente”.

Quanto affermato dall’Associazione emerge in tutta evidenza da una lettura attenta della legge 40, da cui si evince “il principio di destinazione alla nascita di ogni embrione generato in provetta”.

“Scienza & Vita” sottolinea che “la legge prevede infatti l’obbligo di trasferire immediatamente tutti gli embrioni generati e il divieto di qualsiasi selezione-soppressione a scopo eugenetico”.

“Nel caso di Cagliari – osserva 'Scienza & Vita' – la finalità eugenetica appare evidente. Non si comprende quindi come il tribunale possa motivare una scelta contra legem”.

Infine l’Associazione afferma che “la pretesa di superare il problema della legittimità costituzionale della legge 40 non ha fondamento alcuno. Anzi, tale pretesa è in sé incostituzionale, tenendo conto dei precedenti pronunciamenti della Consulta in materia di tutela della vita del concepito”.

 

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Due anni dopo il referendum...

E' un dovere somministrare acqua e

cibo ai pazienti in stato vegetativo

Chiarimento della Congregazione per la Dottrina della Fede

 

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 14 settembre 2007 (ZENIT.org).- La Santa Sede ha ribadito in un documento pubblicato questo venerdì che somministrare acqua e cibo ai pazienti che versano nel cosiddetto “stato vegetativo” è moralmente obbligatorio.

Inoltre, l'alimentazione e l'idratazione artificiali non possono essere interrotte, almeno in linea di principio, anche quando questo stato si prolunghi fino ad essere definito dal punto di vista medico “permanente”.

Sono i due concetti cardine ribaditi in un documento approvato da Benedetto XVI e reso noto quest'oggi dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, in risposta ai quesiti sollevati in passato dai Vescovi degli Stati Uniti.

Le risposte della suddetta Congregazione sono state approvate dal Santo Padre Benedetto XVI nel corso dell'udienza concessa al Cardinale William J. Levada, Prefetto del Dicastero.

“La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita”, spiega il documento.

“Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l'idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all'inanizione e alla disidratazione”.

“Un paziente in ‘stato vegetativo permanente’ è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali”.

Una nota di commento alle Risposte pubblicata dalla stessa Congregazione vaticana spiega che “nell'affermare che la somministrazione di cibo e acqua è moralmente obbligatoria in linea di principio, la Congregazione per la Dottrina della Fede non esclude che in qualche regione molto isolata o di estrema povertà l'alimentazione e l'idratazione artificiali possano non essere fisicamente possibili”.

In quei casi, riconosce, “allora 'ad impossibilia nemo tenetur', sussistendo però l'obbligo di offrire le cure minimali disponibili e di procurarsi, se possibile, i mezzi necessari per un adeguato sostegno vitale”.

“Non si esclude neppure che, per complicazioni sopraggiunte, il paziente possa non riuscire ad assimilare il cibo e i liquidi, diventando così del tutto inutile la loro somministrazione. Infine, non si scarta assolutamente la possibilità che in qualche raro caso l'alimentazione e l'idratazione artificiali possano comportare per il paziente un'eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico legato, per esempio, a complicanze nell'uso di ausili strumentali”.

“Questi casi eccezionali”, si legge ancora nella nota, “nulla tolgono però al criterio etico generale, secondo il quale la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenta sempre un 'mezzo naturale' di conservazione della vita e non un 'trattamento terapeutico'. Il suo uso sarà quindi da considerarsi 'ordinario' e 'proporzionato', anche quando lo 'stato vegetativo' si prolunghi”.

In una intervista alla “Radio Vaticana”, il Sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, il domenicano Augustine Di Noia, ha affermato che “la qualità della vita non è un giudizio che sta a noi dare. La vita è un dono di Dio, e la Chiesa ha insegnato che è un dono non soggetto alla determinazione e alla decisione di alcuno, inclusa la stessa persona malata”.

“La dignità della persona umana, quindi, perdura per tutto il corso del suo sviluppo fisico”.

“La persona umana è, dal punto di vista cattolico, se posso usare una parola grande, ontologicamente costituita in modo da possedere una dignità che dura in tutti i vari stati fisici che ogni persona sperimenta nel corso della vita, dal grembo materno al momento finale prima della morte – ha osservato –. Non si può porre fine alla vita in nessun momento per nessun motivo”.

 

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Due anni dopo il referendum...

Macché chimera, questa sembra una vera bufala

di Angelo Vescovi - giovedì 06 settembre 2007

Http://www.hfea.gov.uk/en/1581.html

La sigla inintelligibile qui sopra è la chiave per svelare il mistero che circonda la (inesistente) decisione dell'HFEA (human fertilization embryology authority) inglese di autorizzare la creazione di chimere animale/uomo, a fini di ricerca e sperimentazione biomedica. Chi ha accesso ad internet e mastica un po’ d'inglese, vada a questo indirizzo e si prepari ad una sorpresa. Gli altri leggano quanto segue.
La notizia è di quelle che fanno sgranare gli occhi. Ci viene spiegato come, in Inghilterra, sia stata concessa l'autorizzazione a produrre embrioni chimerici uomo/animale, da cui estrarre cellule staminali per studiare e curare numerose malattie terribili. Poiché il telefono ha suonato ininterrottamente con richieste d'interviste sul tema, ho deciso di visionare direttamente il testo della decisione dell'HFEA... trasecolando.
Non solo la decisione non riguarda le chimere di cui sopra, ma l'HFEA non ha autorizzato alcuna procedura. La perfida Albione colpisce ancora, con un comunicato che è un gioiello d'equilibrismo semantico, tra il decidere ed il procrastinare.
Al sodo: dopo una lunga prolusione che spiega come, nel ponderoso processo di valutazione, tutti abbiano potuto dire la loro, l'HFEA comunica di avere stabilito che non esistono motivi fondamentali per impedire questo tipo di ricerca, salvo specificare subito dopo che questo non equivale ad un «totale semaforo verde».
In essenza e senza storture, il comunicato continua dicendo che HFEA spera di poter decidere se autorizzare o meno l'avvio dei due progetti sottoposti entro novembre.
Nessuna decisione. Nel migliore dei casi è un mezzo passo in avanti. C'è da capirli. Si tratta di un argomento spinosissimo, con reazioni persino ataviche. Un essere (embrione), fatto in parte da frammenti umani (le cellule, i mattoni che, in miliardi, formano i nostri organi) ed in parte da cellule di mucca? Alzi la mano chi non prova un senso di repulsione o disagio.
Ma, come se non bastasse, ecco la seconda sorpresa. HFEA dice che la ricerca su chimere uomo/animale non viene proprio presa in considerazione, nemmeno dagli scienziati! Quindi, se non stiamo discutendo di (non)decisioni che riguardano la produzione di chimere di cosa parliamo? Parliamo di qualcosa di profondamente diverso. HFEA esclude studi su organismi che contengono contemporaneamente cellule umane ed animali - le chimere appunto - ma deve decidere sulla clonazione umana, fatta partendo da cellule uovo d'animale.
Si tratta di una clonazione ibrida, in cui si prende una cellula uovo animale e si sostituisce il suo nucleo e patrimonio genetico con quello preso da una cellula umana. Il risultato è una cellula né umana né animale, un ibrido. Se sopravvive, questa genera un embrione clonato, anche lui fatto delle stesse cellule ibride, composte di parti animali ed umane allo stesso tempo.
Ahimé, alcune di queste parti sono responsabili della produzione dell'energia con cui le cellule si alimentano e sopravvivono. Morale, la cellula ibrida ha un «pilota» umano che, abituato a guidare una centrale energetica umana, deve gestirne una d'origine animale, con cui deve comunicare ma non può, poiché quest'ultima parla un linguaggio biologico diverso, quello animale appunto.
Mentre questo vi chiarisce immediatamente come sia veramente difficile pensare di utilizzare un'entità biologica così aberrante per eventuali trapianti cellulari, vi è un ultimo ma importante dettaglio.
Ci viene proposto che queste cellule ibride (denominate «cibridi») verranno utilizzate «per studiare lo sviluppo di malattie neurologiche come Parkinson, Alzheimer ed atrofia muscolare».
Bene, un fenomeno fondamentale nello sviluppo di queste specifiche malattie è proprio l'alterazione dell'attività delle centrali energetiche nelle cellule dei pazienti. E per capirle ci dovremmo mettere a studiare cellule in cui tali centrali non solo provengono da altra specie animale ma sono incapaci di parlare con il loro «pilota genetico» umano?
La valenza delle cellule ibride uomo/animale per questi studi è a dire poco questionabile. Ma è anche l'unica giustificazione fin qui addotta per supportare la richiesta a procedere con la creazione di cellule ibride, parte uomo, parte animale.
Nel frattempo, siamo tutti qui a discuterne, grande risalto sulla stampa mondiale, riapertura dei dibattiti su embrioni, clonazione, trapianti. Ho appena rilasciato un’intervista televisiva sull'argomento. Ancora una volta mi è arrivata, piccata, ritrita ed infondata, la domanda: ma per i malati di Parkinson, Alzheimer, sclerosi multipla questa non è l'unica strada per la terapia? Ed ho capito che forse un motivo per tutto questo polverone in fondo c'è e non ha nulla a che fare con la scienza ed i malati, ma con ben altri interessi, anche economici.
Ma la risposta a quella domanda resta la seguente. La sperimentazione per le malattie neurodegenerative è già possibile e le cellule sono già disponibili. Mancano solo i soldi... ma anche la solidarietà, l'umanità ed il pudore.

 

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Un anno dopo il referendum...

Eutanasia: l'Occidente al bivio
 

L'Occidente saprà sfuggire oggi al fascino degli avvocati della secolarizzazione di cui la crescente indifferenza davanti alla diffusione dell'aborto e dell'eutanasia non è che una manifestazione? Dopo le grandi battaglie contro l'aborto, ora è contro l'eutanasia che occorre riprendere la lotta.

 

L'OSSERVATORE ROMANO Mercoledì 10 Maggio 2000


JOSEPH JOBLIN
«Francia, fai attenzione...»: questo era l'avvertimento contenuto in tre manifesti che un teologo francese rivolse alla popolazione di quel paese per metterla in guardia innanzitutto contro l'infiltrazione nazista (1), quindi contro quella del comunismo per mezzo del progressismo (2) e, infine, contro una secolarizzazione che anestetizzava la fede (3). Il totalitarismo bruno appartiene ora ad un momento della storia passata dell'Europa e quello imposto dai Soviet alla metà di questo continente, avendo mostrato oggi il suo vero volto (4), non riesce più a mobilitare se non qualche nostalgico del sogno che esso ha suscitato; resta la terza minaccia. Se il cristianesimo ha potuto non soccombere davanti ai due primi malgrado lo scetticismo che accolse le encicliche di Pio XI Mit brennender Sorge e Divini Redemptoris nel 1937, resta il problema di sapere se l'Occidente saprà sfuggire oggi al fascino degli avvocati della secolarizzazione di cui la crescente indifferenza davanti alla diffusione dell'aborto e dell'eutanasia non è che una manifestazione. In realtà, se le grandi battaglie contro la legislazione dell'aborto hanno avuto luogo nella maggioranza dei paesi occidentali venti o venticinque anni fa, è ora contro l'eutanasia che occorrerebbe riprendere la lotta, ma troveremo noi abbastanza energia per farlo?
L'opinione pubblica viene qui in primo piano; è da essa che dipende se le società europee di domani adotteranno questa o quell'altra linea di condotta perché tutto può accadere se essa prende coscienza della sua forza; ma deve comprendere bene la posta in gioco della scelta alla quale non si può sottrarre: deve decidersi fra due tipi di sviluppo delle società: da una parte quella che, come i regimi totalitari, dà ad alcuni il diritto di uccidere degli innocenti, e dall'altra, quella che vuol rispettare fino in fondo la persona e non riconosce a nessuno questo diritto, per nessun pretesto. I capi dei regimi totalitari avevano ragione quando dicevano di voler creare un uomo nuovo; si trattava di fatto per loro di produrre un essere i cui punti di riferimento morali non avessero più niente a vedere con quelli del mondo modellato con e per mezzo del Cristianesimo; ed è per questo che esso si è opposto ad essi con tutte le sue forze spirituali. La lotta che è iniziata ora contro l'eutanasia è della stessa natura. L'ideologia soggiacente alle società europee alla svolta del millennio non riconosce più gli individui come orientati ad una trascendenza e come invitati ad uscire da se stessi ed a tradurre la Paternità universale di Dio nella realtà sociale.
I. La posta in gioco
Una certa concezione dell'uomo ha prevalso in Occidente per più di un millennio; è stata attiva e si è approfondita progressivamente. Dopo che san Tommaso e gli scolastici ebbero messo in evidenza la nozione di persona ed il suo valore, si è cercato di comprendere meglio il suo ruolo nella società; è allora che si è insistito sulla sua responsabilità perché essa ha la capacità, di sua natura, di decidersi. Come avrebbe detto Il Concilio Vaticano II, la persona ha la responsabilità di scoprire il piano di Dio sullo sviluppo del mondo e di iscriverlo o meno nella realtà (5). Così l'essere umano appare come un essere essenzialmente morale, di una moralità intesa come ciò che lo colloca libero di fronte ad un'altra libertà da cui dipende, Dio. Un filosofo contemporaneo della Cina continentale ha giustamente osservato che il fatto di esser libero di ratificare o meno, nella vita di tutti i giorni, il proprio rapporto con Dio ha costituito la molla del progresso dell'Occidente (6); a suo parere, infatti, il senso della loro responsabilità ha spinto i credenti all'introspezione per chiedersi se avevano ben corrisposto ai loro doveri nei confronti di Dio. L'uomo della civiltà occidentale fu spinto a superare se stesso per condurre il mondo più avanti, verso forme «più umane» (7) di vita sociale. L'umanità ha sempre riconosciuto in certe strutture sociali gli elementi costitutivi di ogni società, e cioè che ogni individuo è un essere morale capace di bene o di male, che la famiglia è l'ambiente naturale grazie al quale egli si sviluppa, che il gruppo (tribù o nazione) è l'ambito di vita indispensabile alla sua sopravvivenza materiale ed al suo sviluppo umano, che certe regole non possono essere infrante senza danni; ma allo stesso tempo essa vede la difficoltà di rispettarle. Per il cristiano, lo sviluppo delle società umane è sottoposto a leggi iscritte nella natura del mondo (8) e questa storia temporale può essere scoperta dalla ragione; ma, allo stesso tempo, essa è integrata in un'altra di ordine soprannaturale che gli permette di risolvere la contraddizione nella quale si trovano gli individui e le società. Egli sa che la natura dell'uomo è stata rovinata dal peccato e che essa è stata mirabilmente restaurata da Cristo. Egli vede in Lui il Salvatore del mondo perché gli offre una possibilità di redenzione personale e per il fatto che insegna agli uomini divisi la via della riconciliazione (9). Questa visione è agli antipodi di quella che si va diffondendo in Occidente. Essa la contraddice su due punti essenziali; la vita umana è qualcosa di specifico; la dignità dell'essere umano è un dato oggettivo che si impone al riconoscimento da parte di tutti. Una nuova visione dell'uomo si è andata affermando a partire dal Rinascimento; essa si è generalizzata nel corso dei due ultimi secoli. Respinta all'inizio con orrore, essa è nondimeno penetrata nell'opinione comune come lo testimonia la messa in discussione di regole che generazioni intere avevano giudicato intangibili. Se i primi dibattiti furono sul divorzio e poi sull'aborto, riguardano ora l'ammissibilità dell'eutanasia. Si estendono poco a poco alla legittimità delle madri in affitto, dell'omosessualità, della libertà sessuale, della limitazione del diritto dei genitori sui loro figli in nome della libertà di questi ultimi, dell'inseminazione artificiale, della possibilità di utilizzare embrioni detti sovrannumerari per esperimenti o per ottenere tessuti, ecc... Occorre rendersi ben conto che tutto questo procede da una sola e identica logica. Lo sviluppo delle società che è attuato sotto i nostri occhi fa riferimento ad una nuova scala di valori ed implica una nuova antropologia. La ragione è considerata come capace di raggiungere da sola la verità sull'uomo; Dio è rimasto in fondo una semplice ipotesi che si poteva adottare o meno. La via delle certezze razionali ed immediate è stata contrapposta a quella dei suoi comandamenti. L'uomo riprende così il sogno dei pensatori greci, che, per mezzo dei miti di Prometeo e di Tantalo, rivendicavano il diritto di orientare essi stessi il loro destino (10). Il mondo attuale in Occidente è secolarizzato. I tabù della procreazione come quelli della morte subita e vissuta nella dignità non valgono più. Mentre una volta ognuno era invitato a reagire in modo cosciente e responsabile davanti ad un fatto di natura che era il segno della sua condizione, il libero accesso all'aborto, all'eutanasia - che ora si diffonde, e anche la libera utilizzazione dei progressi della bioetica sono percepiti come il segno della dignità poiché sembrano rendere l'uomo capace di divenire arbitro del suo sviluppo. Questo stato di cose si trova alla conclusione logica di un'evoluzione che, dopo aver fatto della Trascendenza un'ipotesi intellettuale ha affidato alla sola ragione di «occuparsi degli affari umani» (Grotius). Così la molla morale che era stata all'origine del dinamismo della civiltà dell'Occidente si è trovata infranta. Una contestazione radicale del Cristianesimo è quindi oggi in atto nel mondo occidentale; essa concerne il ruolo dell'uomo nell'universo; si tratta di sapere se il suo ruolo storico quale definito dal Cristianesimo e dalla civiltà greco-latina è ora terminato; se la civiltà nata nel bacino mediterraneo deve scomparire per far posto ad un'altra che sarebbe quella di una nuova umanità.
II. Cosa scegliere?
L'uomo non può sfuggire ad una scelta, quella di concepire lo sviluppo umano come dipendente o meno dalla dimensione religiosa dell'esistenza. La sua decisione determinerà i suoi comportamenti. I sostenitori dell'una o dell'altra posizione non hanno mancato di avanzare argomentazioni: esse si rispondono le une alle altre. Sono certamente utili ed anche indispensabili; ma l'opzione finale non ha luogo al livello della ragione ma della coscienza. La fonte di moralità per la quale essa si determinerà trascinerà l'intelligenza verso l'adozione di questa o di quella interpretazione dell'esistenza dell'uomo e del mondo.
L'alternativa
La visione religiosa dello sviluppo umano è combattuta in nome di due affermazioni: a) la vita umana non ha una sua specificità; b) compete dunque alla società di determinare le norme che assicurino il rispetto della sua dignità. Una corrente di pensiero opposta a quella che si è formata sotto l'influenza del cristianesimo si è sviluppata in Occidente a partire dal Rinascimento; all'inizio fu l'appannaggio di qual- che spirito anticonformista (Jacques Vallée des Barreaux, Cyrano de Bergerac e altri), progressivamente si è diffuso nelle masse durante il 19° ed il 20° secolo, prima di manifestarsi in forme estreme. Si potrebbero citare dei testi di Charles Richer o d'Alexis Carrel che spiegano come la vita non avrebbe valore se non per colui che è cosciente. La conseguenza è che occorre avere pietà di coloro che sono ridotti ad un'esistenza vegetativa o si sono squalificati come membri della comunità umana; occorre disporre di loro in «modo umano ed economico». La risposta a questa argomentazione si è sempre collocata a due livelli: da una parte la vita umana è diversa dalla vita animale, dall'altra la dignità dell'uomo, e quindi la sua inviolabilità, si fonda sulla sua natura e non deriva da un riconoscimento che gli verrebbe dall'esterno.
Specificità della vita umana
Che la vita umana sia diversa qualitativamente da quella di tutti gli altri esseri viventi emerge come un'evidenza del senso comune. Solo l'essere umano è capace di riflettere, di orientare le sue azioni in modo libero, di dare un'impronta al mondo che lo circonda. Il primo capitolo della Genesi affidandogli la gestione del creato non fa che confermare l'esperienza quotidiana. L'uomo domina la creazione. L'esperienza mostra che una relazione vitale esiste fra l'essere umano che non è ancora nato o ha perduto conoscenza e l'ambiente che li circonda. Il bambino nel seno materno soffre e la sua psicologia futura sarà influenzata dai sentimenti che sua madre avrà nutrito nei suoi confronti durante il periodo della gestazione; quanto agli esseri umani già nati ma afflitti da una diminuzione delle loro facoltà, anche se questa sembra totale, sono sempre sensibili alle relazioni che si hanno con loro, anche se non possono esprimersi. Un problema è stato sollevato, quello di sapere se il detentore dell'esistenza può rinunciarvi (11). Egli è costituito da essa; volerne disporre con il suicidio o con l'eutanasia programmata, è in qualche modo distaccarsi dalla sua identità; è costituirsi come un altro io che viene a giudicare quello che effettivamente è il mio. L'atto di colui che mette fine ai suoi giorni con il pretesto che ha vissuto abbastanza conferma il valore assoluto della vita; egli afferma il suo potere di esistere sopprimendosi. La pretesa dell'uomo contemporaneo di comportarsi come se fosse il padrone assoluto del creato e di trattarlo come un insieme di dati di cui potrebbe disporre a suo piacimento è inammissibile per il cristiano e per ogni uomo che sa di abitare un mondo di cui non è l'autore (12).
La dignità dell'uomo
Le discussioni sul fondamento della dignità umana sono al centro del dibattito fra il Cristianesimo e la civiltà contemporanea; possono essere riassunte in un'alternativa, quella di decidere se la posizione eminente che occupa l'uomo nel mondo provenga dal fatto che egli è il detentore di una dignità innata ovvero se questa sia dovuta a circostanze particolari di cui è giudice la società. In altri termini, la dignità dell'uomo deriva dal fatto che egli è stato costituito come un essere libero e responsabile e che un giudizio sarà effettuato sul modo con cui avrà fatto uso della sua responsabilità ovvero lo si deve rispettare solamente finché le facoltà che ha a partire dalla sua intelligenza restano in lui percettibili? Nel primo caso, si afferma che l'essere umano è costituito - è stato creato, dicono i cristiani - come una persona responsabile; in questo caso la sua dignità gli è allora costitutiva; appartenendo ad ogni essere umano in quanto persona, essa non dipende dalla libera volontà degli altri; non solo, ma si impone ad essi e limita la loro libertà d'azione; la sua protezione fa parte dell'ordine pubblico come afferma la Dichiarazione del 1789 nel suo Preambolo. La dignità dell'uomo è un dato oggettivo che si impone ad ogni uomo come ad ogni legislatore; questa verità è stata fermamente richiamata da Pio XI di fronte ai totalitarismi (13). Le regole adottate da numerose civiltà e le posizioni prese dalla Chiesa sui problemi della società si ispirano a questa idea che ogni uomo ha un valore in sé. Fondandola sulla rivelazione, la Chiesa gli dà una forza ed un'autorità che non possono essere trasgredite. Il secondo caso è quello in cui l'uomo riceve la sua dignità da un riconoscimento della società. Ma se la dignità di un essere umano dipende dal fatto che è riconosciuta dal suo ambiente, diviene legittimo non rispettarla quando questo riconoscimento manca. Non è così che i regimi totalitari hanno agito ogni volta che hanno proceduto a stermini di massa di categorie sociali dichiarate indegne di vivere a causa del loro sesso, della loro religione, del loro colore, della loro razza? La verità di una tesi si giudica non solo dalla coerenza del suo contenuto ma anche dalle conseguenze logiche che derivano dalla sua asserzione; queste conseguenze sono in essa fin dal principio e bastano alcune circostanze speciali perché esse sviluppino i loro effetti. Un consenso esiste nell'umanità che riconosce la qualità specifica dell'essere umano; ma il fondamento di questa resta troppo spesso velato; non è stato veramente approfondito se non dalla rivelazione biblica che ha sempre insegnato l'inviolabilità della vita umana e dal Cristianesimo che, inequivocabilmente, ha dichiarato che l'uomo è capace di una vita soprannaturale e gravida della promessa di una vita anche dopo la morte. Di fatto, laddove il cristianesimo si affievolisce, si vede mettere in dubbio la dignità
innata dell'uomo ed il carattere inviolabile della vita. Le due cose infatti sono collegate. Non si può dunque non interrogarsi sulle conseguenze della nuova cultura che si sviluppa nei paesi occidentali e che Giovanni Paolo II ha chiamato una «cultura di morte». Gli effetti che già constatiamo non sono forse in contraddizione totale con le esigenze di uno sviluppo spirituale dell'umanità? La nozione di dignità umana è al centro delle attuali discussioni della società. Senza dubbio esse sarebbero più illuminate se si distinguesse più chiaramente il suo fondamento e la percezione che ne ha la società. Ogni essere umano ha la «capacità» di agire come persona responsabile. Al di là di questo zoccolo duro che sfugge al dominio dell'uomo vi è lo sviluppo della dignità; questo si ottiene per mezzo dei contatti che sono stabiliti con gli altri uomini. L'uomo è un animale sociale; cioè non raggiunge la sua piena statura se non nella sua relazione con gli altri, una relazione fatta di sentimenti di uguaglianza e di affetto. Medici e personale infermiere riconoscono volentieri di aver fatto l'esperienza di quanto l'assistenza umana testimoniata ad un malato in fase terminale e che apparentemente ha perduto conoscenza può ridargli come gioia ed energia. Il fatto di partecipare ad un progetto comune e di entrare in una rete di relazioni permette di sviluppare il senso che un essere umano ha della sua dignità e di accrescere le ragioni di riconoscergliela, ma non può esserne la causa perché allora perderebbe il suo carattere assoluto che protegge ogni individuo contro l'arbitrio degli altri e dello Stato. Due umanesimi si contrappongono: quello dei cristiani, e di tutti coloro che affermano la realtà del soggetto, e quello dei pensatori contemporanei che denunciano la tradizione giudeo-cristiana per il ruolo preminente che riconosce all'uomo nella creazione. La loro antropologia elimina la Storia e considera l'individuo come se vivesse una successione di istanti. Ci si trova di fatto in presenza di una rottura nella tradizione. Mentre i codici di etica medica condannano l'eutanasia, oggi si argomenta a partire dal fatto che «la dignità è ciò che definisce la vita umana» (14), posizione che permette gli attentati alla vita quando la società non riconosce più questa dignità. Conclusione: il progresso umano in crisi
Il disegno di perseguire il progresso umano trascurando la sua dimensione religiosa si fonda su di un'illusione perché priva individui e comunità di un riferimento comune e superiore al quale possano riferirsi per conciliare i loro interessi divergenti; espone il raggiungimento del progresso umano ad una grave crisi. L'affermazione di cui sopra potrà sorprendere più di una persona. Ma non si vedono forse i progressi della tecnologia sconvolgere le condizioni di vita materiali e l'ambito dei valori così come quello della loro gerarchia? Le comunicazioni fra gli uomini si moltiplicano; i mezzi di apprendimento, di conoscenza, di dominio della natura sembrano infiniti. Le esperienze riuscite di clonazione non mostrano forse che l'uomo acquisisce un dominio della vita che gli permette di sperare di dominare la morte? Le Cassandre non sono mai ben accolte quando avvertono dei pericoli di una strada che sembra aprirsi sull'infinito; e tuttavia colui che riflette sulla trasformazione della condizione umana che è in atto in Occidente non può non interrogarsi. I progressi tecnici così come quelli nell'organizzazione democratica delle società sono stati dovuti ad un desiderio di promuovere simultaneamente sviluppo materiale e progresso spirituale. Una politica di sviluppo che fosse privata di una relazione con la Trascendenza non potrebbe che perdere energia e bloccare quell'impegno di miglioramento morale che ha dato il suo slancio alla crescita dell'umanità. Le comunità cristiane si trovano oggi davanti ad una sfida imponente perché sono investite dall'ateismo dell'ambiente che mette in discussione il carattere assoluto della vita. Di fatto esse sono consapevoli che non è sufficiente richiamare i fondamenti dottrinali dell'antropologia cristiana pur sapendo che questo insegnamento è indispensabile. I cristiani devono imparare a sottolineare la loro specificità nei grandi dibattiti della società. L'educazione cristiana deve qui essere ripensata: essa deve abituare a discernere nel quotidiano dell'esistenza ciò che è contrario alla vita per respingerlo quasi istintivamente ed a scegliere ciò che favorisce il suo sviluppo a tutti i livelli tanto biologico che intellettuale e religioso. In un'epoca che ha preso coscienza dell'unità del genere umano e della necessità di tendere verso un'organizzazione della società mondiale che sia garante di pace, due vie si offrono agli uomini del XXI secolo, due vie fra le quali oggi la scelta è loro offerta nei dibattiti sull'eutanasia: l'una, che fu quella aperta dai teologi e dagli umanisti come Vives o Erasmo nel Rinascimento, pone come esigenza prima il rispetto assoluto della vita e dell'uguaglianza che implica tra tutti gli esseri umani in nome della loro dignità costitutiva. L'altra, che non vedendo in ogni vita umana un assoluto che debba esser rispettato in ogni circostanza, permette di escludere dal suo seno gli individui e i gruppi la cui razza, il sesso o la religione sono considerati come un disturbo per la società. Escludendo la Trascendenza, essa priva gli attori sociali dell'esigenza morale interiore che permetterebbe loro di controbilanciare la loro inclinazione al dominio dei più deboli. Questo è il bivio davanti al quale l'uomo del 21° secolo è posto dalle questioni dell'eutanasia e della bioetica. Egli non può eludere la sua responsabilità di promuovere la dignità dell'uomo nella verità.


Note:
1) G. Fessard, France prends garde de perdre ton âme, Primo quaderno clandestino di Témoignage chrétien 1941, p. 17.
2) G. Fessard, France, prends garde de perdre ta liberté! ed. Témoignage chrétien, Paris 1945, p. 151; cfr anche l'Allocuzione di Pio XI in occasione dell'esposizione sulla stampa cattolica mondiale il 12 maggio 1936, che indicava il comunismo come l'«avversario principale che occorre combattere».
3) G. Fessard, Eglise de France, prends garde de perdre la foi!, Julliard Paris 1979, p. 250.
4) S. Courtois, Le livre noir du communisme. Crimes, terreur, répression, Laffont Paris 1997, p. 848.
5) Gaudium et spes § 43.2; Centesimus annus § 59.
6) Liu Xaobo, The inspiration of New York: meditations of an iconoclast in Problems of communism (Washington) Jan.-Apr. 1991, pp. 113-118; G. BARME, Confusion, Redemption and death: Liu Xaobo and the protest movement of 1989 in G. HICKS, The broken Mirror. China after Tienanmen, Longman UK 1990, pp. 52-99.
7) Populorum progressio 20.
8) J. Joblin, Actualité du Christianisme dans le processus de mondialisation in Communio 2000/1, pp. 57-69.
9) M. Sales, Introduction in G. Fessard, Le Mystère de la société, Culture et vérité, Bruxelles 1997, p. 78.
10) A. Jeanniere, Lire Platon, Aubier Paris 1990, pp. 43-45.
11) A. Lizotte, Y a-t-il un droit au suicide? in Liberté politique 1999/8, pp. 53-72.
12) Cfr Pio XII, Radiomessaggio natalizio del 1956 (AAS, 49 [1957], pp. 5-22), in cui rimprovera all'uomo moderno di comportarsi come un ingegnere che tratti l'essere vivente come la materia inerte.
13) Mit brennender Sorge § 37 (AAS 29 [1937] pp. 145-167), cfr specialmente pp. 159- 160.
14) Questa espressione si trova in una risoluzione adottata per iniziativa del Dott. Schwartzenberg dalla commissione dell'ambiente, della sanità e della protezione del consumatore durante una sessione della Assemblea nazionale francese il 25 aprile 1991 (cfr Le Monde 3 maggio 1991, p.10).

 

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Un anno dopo il referendum...

Comunicato stampa della Presidenza della CEI

La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana

26/07/2006 - Cellule staminali

La decisione del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea di prevedere, nell’ambito del 7° programma quadro di ricerca, finanziamenti che agevolano ricerche sulle linee cellulari staminali di origine embrionale, la cui produzione comporta e continuerà a comportare la soppressione di embrioni umani, è moralmente inaccettabile.
La Conferenza Episcopale Italiana ha da sempre e più volte ribadito che ogni ricerca che coinvolge gli embrioni umani si colloca in una inammissibile visione antropologica, che considera l’esistenza umana non come fine, bensì come mezzo per raggiungere altri scopi, pur nobili, come la cura delle malattie e la stessa conoscenza scientifica. La scienza deve servire l’uomo e non servirsi di lui, soprattutto quando egli è nella condizione della sua massima fragilità, un embrione nei primi giorni della sua vita.
La Presidenza della CEI fa appello ai politici italiani e a quanti ancora possono fermare questa deriva etica, che riduce l’embrione umano a possibile fornitore di materiale biologico, e chiede che l’Unione Europea in nessun modo agevoli, con propri finanziamenti, questo grave attentato alla dignità dell’uomo che tradisce il valore fondamentale della vita umana, senza il quale ogni altro valore individuale e sociale perde la propria consistenza. Il Santo Padre Benedetto XVI ci ha ricordato che la «tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale», rientra tra i «principi che non sono negoziabili».

 

 

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Un anno dopo il referendum...

COMUNICATO STAMPA DI SCIENZA E VITA N. 15 DEL 15/06/2006
 

IL PARLAMENTO EUROPEO SI DIVIDE SULLE STAMINALI EMBRIONALI
IL VOTO DI STRASBURGO APRE GRANDI SPAZI AL DIBATTITO PUBBLICO
SULLA BIOETICA ANCHE IN EUROPA


Il risultato del voto del Parlamento europeo sulla possibilità di sperimentare con cellule
staminali da embrione solleva ancora una volta un interrogativo: perchè tanto accanimento nel proporre una sperimentazione che non ha mai dato esito positivo? Infatti nei Paesi in cui la sperimentazione su cellule staminali da embrione è stata già effettuata, non vi sono evidenze sulla sua utilità, mentre gli unici risultati positivi provengono dall’uso di cellule staminali adulte e da sangue del cordone ombelicale.

A chi giova allora seguire strade diverse? Il voto al Parlamento europeo con una maggioranza così ristretta dimostra che il tanto decantato accordo sulla sperimentazione su cellule staminali da embrione in realtà non esiste e che il Parlamento europeo è sostanzialmente diviso su questioni di grande rilevanza etica.

Tanti spazi rimangono dunque per il confronto e il dibattito in un contesto in cui è evidente la grande attenzione per una scienza a favore di ogni essere umano. Ampi spazi rimangono
dunque anche a livello europeo per proporre un progetto di formazione e di dibattito pubblico come quello sostenuto e promosso dall’Associazione Scienza & Vita.
Perciò, facciamo appello al presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, affinché non conceda il voto dell’Italia al finanziamento, nell’ambito del programma Quadro Europeo, di ricerche che implicano la distruzione di embrioni umani, in coerenza con la legge 40 e con la volontà popolare espressa in occasione del referendum dello scorso giugno.

 

 

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Un anno dopo il referendum...

La speranza dietro alla sconfitta

 

di Redazione/ 16/06/2006

 

Nella decisione sull’utilizzo degli embrioni umani per la ricerca scientifica l’ennesimo scivolone europeo sui temi della bioetica. Eppure non c’è stata la temuta disfatta. Segnali per rilanciare la sfida, all’insegna dell’ottimismo.

Una sconfitta, ma non una disfatta. E di questi tempi, non era affatto scontato. Se è vero che il voto con il quale il Parlamento Europeo ha fra l’altro dato il via libera al finanziamento comunitario di programmi di ricerca basati su cellule staminali embrionali è certamente negativo, e sintomatico della tendenza a considerare l’essere umano nella prima fase della sua esistenza alla stregua di “qualcosa” e non di “qualcuno”, è altrettanto vero che la spaccatura trasversale dell’assemblea di Strasburgo, le polemiche che ne sono originate e lo stesso conteggio numerico complessivo (relativamente stretto lo scarto finale, con 284 voti favorevoli, 249 contrari, 32 astenuti) obbligano a non considerare definitivamente persa la speranza che in tema di bioetica l’Europa possa recuperare il terreno perduto.

E’ vero: il danno grosso è fatto, nel senso che con il sostegno e il benestare dell’Unione Europea si distruggeranno embrioni umani (importa relativamente se appositamente creati o se scelti fra quelli “avanzati” dai cicli di fecondazione artificiale) al fine di ricavarne le preziose cellule staminali. Non può essere dimenticato però che tutto ciò, a livello di singoli paesi, già avviene in molti stati membri, e la stessa posizione della Commissione Europea è sempre stata favorevole all’utilizzo di embrioni umani a scopo di ricerca. Dalla Gran Bretagna alla Spagna, molti parlamenti nazionali hanno legiferato negli ultimi anni in maniera disinvolta, dando l’impressione che sui temi etici la battaglia, nel vecchio continente, fosse davvero persa in partenza.

E invece, in questa Unione Europea che finanzia l’aborto in tutto il mondo, che promuove controversi programmi di “pianificazione familiare”, che si schiera a livello internazionale secondo le “direttive” delle grandi organizzazioni abortiste, e che con alcuni suoi stati ha rotto da tempo anche il “tabù” dell’eutanasia, esiste ancora una voce forte che si oppone all’utilizzo strumentale di embrioni umani, che non desidera che vengano distrutti, che ritiene che la ricerca scientifica debba essere incoraggiata ma al contempo orientata, perché non può contraddire principi di civiltà minimi (e che non si debbano distruggere esseri umani, seppur nella fase iniziale della loro esistenza, dovrebbe essere un principio di civiltà minimo). Non è cosa da poco, in tempi così difficili, contare su una così larga fetta – per quanto minoritaria – di europarlamentari. E non è cosa da poco il fatto che – almeno a livello continentale – la divisione non segua binari religiosi (i laici contro i cattolici: pretesto utilizzato in Italia per “ghettizzare” le opinioni di chi si schiera contro l’utilizzo delle embrionali), ma percorra invece binari culturali, oltre che di convenienza politica ed economica (la ricerca scientifica, non lo si dimentichi, è un grande business…).

Ora, la speranza è quella che un giorno – purtroppo non lo si intravede ancora all’orizzonte – si prenda davvero coscienza del fatto che la base stessa della comune convivenza risiede nel rispetto integrale dell’essere umano, in tutte le fasi della sua esistenza. Sono, questi, processi lunghi e complicati, che richiedono pazienza e continua testimonianza. E’ sempre stato così: si pensi ai principi contenuti nella dichiarazione dei diritti dell’uomo (la libertà, l’uguaglianza, ecc.). Oggi sono quasi delle ovvietà, ma se lo sono, lo sono solo da alcuni decenni. Acquisizioni recentissime, dunque. Prima o poi, insomma, si riconosceranno gli errori commessi, e si tornerà indietro, e come oggi in Europa si guarda alla schiavitù o alla pena di morte, così allora si guarderà anche alla distruzione di embrioni umani. Quando questo accadrà non ci è dato sapere, ma – ci sia consentito un moto di orgoglio – resterà comunque scritto nella storia che anche di fronte agli “scivoloni” altrui il nostro paese, con la legge 40/2004, seppe restare fedele al solco della sua tradizione, quella del rispetto per ogni essere umano.

Lungi dal modificarla in senso peggiorativo, la normativa italiana deve rappresentare un punto di riferimento a livello europeo. E’ la sfida di questo tempo. Una sfida che può essere vinta – come detto - solo con la pazienza e la continua testimonianza. Mai tacere la realtà, dunque, mai tacere che della vita di un uomo, di ogni singolo essere umano, non si può disporre. E mai, mai disperare, anche di fronte alle sconfitte.

 

 

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Un anno dopo il referendum...

Bioetica:

nasce intergruppo, dopo polemica assenti An e Lega

(ANSA)-ROMA,15 GIU- E' nato oggi l'intergruppo parlamentare "Persona e bene comune" che raccoglie oltre 100 parlamentari dei due Poli sulla bioetica. Non sara' una "lobby cattolica" ma un'associazione bipartisan per tutelare "valori non negoziabili": vita, persona e famiglia. Dopo le polemiche della vigilia, alla presentazione non c'erano parlamentari di An e Lega. Primo atto: un appello a Prodi per il voto contrario dell'Italia a finanziare ricerche che implichino la distruzione di embrioni umani.

 

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Un anno dopo il referendum...

Gli schieramenti prima della coscienza

E poi parlano di clericalismo
 

Avvenire - Mercoledì 14 giugno 2006

Il dibattito aperto dall'offensiva contro la legge 40 del ministro Mussi sta progressivamente scivolando sul piano inclinato della politique politicienne. Si accumulano slogan vaporosi e generici intorno alla questione di merito (i finanziamenti Ue a esperimenti con embrioni umani come "materiale"), e si crea spazio per ragionamenti e atteggiamenti ispirati a granitiche logiche di schieramento, conditi - per sovrappiù - dall'ormai abituale dose di polemiche ideologiche dal forte sapore anti-cattolico che in qualche settore si ritengono evidentemente buone per tutte le occasioni e per tutti gli usi.
Quasi che il caso esploso per l'unilaterale colpo di mano di un importante esponente dei Ds sia solo il frutto di un passo falso «formale», da affrontare in chiave tattica: con non pochi nel governo e nella maggioranza che sperano di ritrovare equilibrio attraverso un recupero della collegialità perduta, e con buona parte dell'opposizione di centrodestra che sogna, invece, di trasformare il brutto scivolone di Mussi in caduta politica per Prodi. Quasi, infine, in forza del battage orchestrato dalla solita minoranza rumorosa, che il nodo da sciogliere sia in realtà quello della «pretesa» dei parlamentari di cultura politica cattolica, presenti in più partiti di entrambi gli schieramenti, di far convergere riflessioni e voci su un tema di tanta importanza per difendere princìpi che più che dogmi di fede son conquiste di una millenaria e faticosa storia di umanizzazione della nostra civiltà.
I fatti sono, però, ostinati. E larghi strati dell'opinione pubblica - anche tra coloro che sono tutt'altro che inclini al girotondismo - si dimostrano sempre meno distratti e sempre più reattivi al cospetto di certe manovre e di certi riti di palazzo. E proprio per questo continuano a lasciare esterrefatti le argomen tazioni di chi ritiene di poter ridurre tutto a un puro e semplice problema di «metodo». Come se la sostanza delle questioni sia un dettaglio rispetto al problema di far crescere le relazioni politiche e il soggetto-partito che si è deciso di coltivare. E che in fondo il vero problema sia selezionare, autorizzare a intermittenza, intimidire o, addirittura, zittire voci libere, forti e assolutamente indipendenti come quelle che tanti e tanti cattolici - eletti o meno nelle assemblee legislative - e la stessa Chiesa italiana non mancano di levare di fronte ai tentativi di limitare e inquinare lo spazio dell'umano nella nostra società. Una scelta di campo netta, che nessuno - neanche all'interno di un'analisi acuminata come quella condotta domenica da Ilvo Diamanti su "Repubblica" - può tuttavia interpretare come un'opzione di schieramento politico. Una scelta di coscienza e in coscienza, che non s'arrende a logiche e interessi di fazione.
Vorremmo, insomma, ricordare a chi non riuscisse a comprenderlo che i «princìpi non negoziabili» - rispetto della vita, sostegno della famiglia, libertà dell'educazione - che il magistero del Papa ha affidato alla testimonianza attiva dei cattolici, e che ha indicato a tutti come cruciale campo di lavoro comune, sono altrettanti appassionati "sì" all'idea di una società fondata sulla promozione integrale della persona umana. E se alcuni - stentiamo a crederlo, eppure è stato detto e scritto - pensassero di poter capovolgere tutto questo nel suo contrario, considerandolo il risultato di una cultura degli "steccati" o la manifestazione di un'ideologia del "no" o, infine, il sintomo di una «regressione» del cattolicesimo politico a clericalismo, bisognerebbe concludere che costoro sono prigionieri di vecchi e angusti schemi. Impostazioni irrimediabilmente datate al cospetto di una riflessione sui d estini della «città dell'uomo» che affronta le sfide della contemporaneità, non le misconosce e non le subisce.

 

 

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Un anno dopo il referendum...

SINGOLARE INVITO DI UNA

FINOCCHIARO «PRESBITE»
Moratoria sui temi etici?

Cominciamo a provocare di meno

 

Avvenire - Domenica 11 giugno 2006


A ognuno il suo. Spetta, dunque, ai parlamentari dell’Ulivo che fanno esplicito riferimento alla cultura del cattolicesimo politico di rispondere alla diessina Anna Finocchiaro che li ha invitati a «fermarsi sui temi etici» (e, infatti, già hanno cominciato a replicare). Così come spetta a loro di valutare la richiesta di ritirarsi dall’intergruppo parlamentare al quale, anche in questa legislatura come nella precedente, hanno dato vita con colleghi di diversi partiti. E spetta ancora a loro di decidere che senso abbia l’evocazione di «una moratoria di almeno sei mesi sugli argomenti bioetici». Tuttavia vari passaggi del perentorio ragionamento che la presidente del gruppo ulivista a Palazzo Madama ha affidato a "la Repubblica" di ieri, e la sua stessa impostazione generale, non possono non stuzzicare anche osservatori interessati come noi.
La prima reazione è, lo ammettiamo, di sorpresa. Avevamo, infatti, imparato a conoscere la senatrice Finocchiaro come persona che calibra gesti e parole, che coltiva l’arte del dialogo, che sa resistere più di tanti suoi colleghi alla tentazione di piegare le questioni alle risposte che si ritiene utile dare. E, allora, davanti a questa quasi incredibile intimazione ai «cattolici», è inevitabile farsi qualche domanda. Ma chi è che in questo avvio di legislatura ha assunto o preannunciato iniziative dirompenti sul delicatissimo fronte della bioetica? Qualche parlamentare di estrazione cattolica o qualche ministro con la tessera dei Ds? E chi è che dovrebbe fermarsi o, meglio, cambiare passo e direzione?
Nessuno si stupirà se a questo punto – stendendo un velo su altri casi grandi e piccoli – rispondiamo facendo il nome di Fabio Mussi. E nessuno si stupirà se ricordiamo ancora una volta quel che Mussi – incurante della legge vigente nel nostro Paese – ha combinato per finanziare anche con soldi italiani sperimentazioni distruttive sugli embrioni umani negli Stati europei che consentono queste pratiche di laboratorio. Non si stup irà, ne siamo certi, neanche la presidente dei senatori dell’Ulivo. Eppure il gravissimo strappo deciso dal ministro della Ricerca nel ragionamento di Finocchiaro è diventato l’ultimo degli argomenti, citato solo per preannunciare un dibattito nel gruppo ulivista sulla scorta di quanto lo stesso Mussi dirà giovedì prossimo davanti a un paio di Commissioni del Senato per provare a giustificare il proprio operato.
È la riprova che, in politica, si vedono esclusivamente i problemi che si vogliono vedere. E solo di questi si parla davvero. Dunque, non è affatto un caso se la preoccupazione che emerge dalle parole dell’esponente dei Ds è tutt’altro che etica o bioetica. Finocchiaro fa capire in ogni modo che ciò che le preme è contrastare qualunque iniziativa che possa rappresentare un ostacolo – citiamo testualmente – al tentativo di «ricondurre a noi» quanti più soggetti «politici e no» con l’obiettivo di «diventare l’unico laboratorio politico in Italia».
Ambizioni suggestive, certo importanti e forse un tantino esagerate. Ma che potrebbero ribaltarsi, dando origine a un problema ingovernabile se non ci si rendesse conto che, per realizzarle, bisognerebbe decidersi a esercitare sempre, senza esitazioni e senza intimazioni, la virtù del rispetto. Rispetto per la verità dei fatti e dei valori costitutivi di una comunità civile. Rispetto degli elettori, anche e soprattutto quando – come nel referendum sulla legge 40 – danno sonoramente torto alle tesi che si vorrebbe imporre come egemoni. E, infine, rispetto per le diverse culture politiche. A cominciare – lo consiglia la storia viva di questo Paese – da quella dei cattolici.

 

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Un anno dopo il referendum...

STAMINALI, PETIZIONE ALL'EUROPA

RISPETTATELO, PER FAVORE IL NOSTRO VOTO

Avvenire - Sabato 10 giugno 2006

La decisione presa dal ministro Fabio Mussi, di dare il via libera dell'Italia ai finanziamenti europei per la ricerca sulle staminali embrionali, è stata oggetto di polemiche e discussioni, ma poi tutto è finito lì. Il colpo di mano personale, se tale è stato, è perfettamente riuscito. Nessuno, nel governo, ha chiesto a Mussi di tornare indietro, e il dissenso interno alla maggioranza non si è trasformato in iniziativa politica. Prodi ha chiuso il caso liquidandolo come un peccato veniale, un'uscita sconveniente e un po' sbarazzina del ministro, ma niente che richiedesse misure più serie di un rabbuffo.
Invece il gesto di Mussi ha conseguenze pesanti sia sul piano del rispetto delle regole democratiche, che su quello dello sviluppo della nostra ricerca, sempre a corto di fondi. La famosa Dichiarazione etica che l'Italia aveva firmato, e che l'attuale ministro ha invalidato, si basava su due punti fondamentali. Il primo, che la decisione di incoraggiare e finanziare sperimentazioni che richiedano la distruzione di embrioni umani dovesse essere lasciata ai singoli Stati; il secondo, che il programma quadro europeo non tenesse sufficientemente conto "del potenziale terapeutico delle cellule staminali umane adulte", e che a livello comunitario tale ricerca dovesse essere rafforzata.
La Dichiarazione, lungi dal proibire la ricerca sugli embrioni alle altre nazioni, come è stato detto, affermava un principio democratico che è difficile non condividere, e cioè che sui temi etici la cautela e il rispetto dell'autonomia nazionale sono imprescindibili, anche perché le leggi sono diverse da Paese a Paese. La linea italiana tendeva inoltre a riequilibrare il flusso dei finanziamenti, spostandoli verso la ricerca di casa nostra sulle staminali adulte, che ha già prodotto notevoli risultati. Mentre la ricerca sulle cellule prove nienti da embrioni non ha portato finora a nulla, nonostante l'enorme quantità di denaro pubblico e privato che è riuscita a convogliare su di sé.
Grazie al ministro, i cittadini italiani dovranno pagare sperimentazioni che non possono e non vogliono fare, visto che non soltanto sono vietate dalla legge italiana, ma con il voto referendario si è potuto accertare che meno del 20% del totale degli elettori è favorevole a utilizzare a questo scopo gli embrioni. I nostri contributi serviranno dunque a finanziare soprattutto i centri di ricerca inglesi (Blair sarà entusiasta della nostra generosità disinteressata), mentre quelli italiani, che sono all'avanguardia nella ricerca sulle staminali adulte, saranno penalizzati.
Non siamo tra quelli che si stupiscono perché la maggioranza con cui il centrosinistra è andato al governo è esigua. Anche con un pugno di voti di scarto, se le regole lo consentono, si può governare, e bene. Ma arrogarsi, in base a quel pugno di voti, il diritto di scavalcare la volontà del 75% degli italiani, appare un po' eccessivo.
Per ironia del caso, il Parlamento europeo discuterà e deciderà i contenuti del 7° programma quadro (che stabilisce in quali progetti di ricerca saranno spesi 50 milioni di euro per i prossimi 7 anni) proprio a partire dal 13 giugno, anniversario del referendum sulla legge 40. Alcune associazioni, cattoliche e no, hanno preso l'iniziativa di scrivere una lettera aperta ai parlamentari europei, chiedendo che sia rispettata la volontà espressa dal popolo italiano un anno fa, e che in materie così delicate ogni Paese possa decidere in autonomia. Per fare questo, il Parlamento europeo dovrebbe votare contro il finanziamento della ricerca sulle staminali embrionali, tornando alla situazione precedente, e rendendo l'Italia coerente con se stessa.

 

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Referendum: C’è poco da esultare!

+ Germano Zaccheo, Vescovo

La voglia, a botta calda, sarebbe quella di esultare. In presenza della valanga di astensioni la legge 40 è salva. Contro tutte le falsificazioni, le mistificazioni, gli imbonimenti dei referendum, sostenuti (guarda caso!) da quasi tutta la stampa che conta, la gente ha capito e non è andata alle urne. Intanto perché non era né una partita di calcio, né un gran premio dove c’è chi vince e chi perde. E gli uni esultano e gli altri recriminano. No. Non abbiamo né il diritto né la voglia di esultare. E la ragione è  semplice. Perché la vita non ha vinto e l’embrione è ancora esposto (magari un po’ meno) a vergognose manipolazioni. Abbiamo sempre detto che la legge 40 oltre a non essere perfetta (ci sono leggi perfette?) è anche un po’ tartufesca, frutto di non sempre limpidi aggiustamenti. Ciò che serve alla vita è una difesa senza se e senza ma. Noi dobbiamo testimoniare con franchezza che nessuno può mettere le mani sulla vita nascente, fin dal primo istante del concepimento, la vita umana è intangibile.

La vita umana in qualunque stadio essa si trovi non può essere manipolabile neppure con buone finalità. La vita c’è. La vita non si tocca. Pretendere di fabbricarla artificialmente è una sfida prometeica destinata alle peggiori conseguenze: chi potrà fermare l’onnipotenza della tecnologia una volta aperta la porta alla fabbricazione artificiale di un embrione? Ecco perché non esultiamo. Né potremo farlo. Piuttosto, invece di una fatua esultanza, occorre rimboccarsi le maniche e proseguire l’impegno per la vita. Un impegno duro, controcorrente e contromoda. Chi, come noi, ha scelto di riconoscere l’intangibilità della vita umana in qualunque stadio essa si trovi, non può adagiarsi su qualche buono spiraglio della legge 40 che pure abbiamo difeso dal peggio con l’astensione. A noi incombe l’onere della testimonianza per la vita, ripeto “senza se e senza ma” come alcuni  dicono a proposito della pace. Anche noi siamo per la pace, ma contemporaneamente siamo per la vita.

Diversamente da altri. Di qui in avanti, la strada che era già, per noi, in salita, diventa di sesto grado. Ma non ci arrenderemo. Rileggeremo con commozione le parole profetiche di Giovanni Paolo II nell’Enciclica  “Evangelium vitae” . E saremo in compagnia di tutti coloro che, anche se non per motivazioni religiose, condividono con noi l’assoluto rispetto per l’uomo, i suoi diritti, la sua dignità, il suo destino. Come ha detto a noi vescovi italiani Benedetto XVI: “Non è questa una questione cattolica”. Sono in ballo i diritti dell’uomo. Ed ogni coscienza onesta non può non riconoscerli.

 

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Una vittoria del popolo italiano contro

i poteri forti e per la cultura della vita
Intervista a Riccardo Cascioli, giornalista e scrittore nonché Direttore del Cespas

ROMA, mercoledì, 15 giugno 2005 (ZENIT.org).- “La popolazione italiana ha respinto con una astensione di massa il tentativo dei poteri forti di manipolare i processi naturali di procreazione”. Queste le parole di Riccardo Cascioli, Direttore del Cespas (Centro Europeo di Studi su Popolazione Ambiente e Sviluppo) nel commentare i risultati del referendum sulla legge 40/2004 relativa alla procreazione medicalmente assistita.

“Questo risultato suscita una grande speranza per rinnovare e accrescere la cultura della vita attraverso una nuova evangelizzazione”, ha continuato Cascioli, che nel periodo precedente al referendum è stato un attivo protagonista dell’inserto di Avvenire “E’ Vita”.

In una intervista a ZENIT, il Direttore del Cespas ha precisato: “Comunque la si voglia vedere è una vittoria del popolo italiano contro i poteri forti. Il 75% degli italiani si è astenuto, e anche tra quelli che sono andati alle urne, oltre il 10% lo ha fatto per dire no all’abrogazione della Legge 40. Una vera e propria disfatta per il comitato referendario”.

Innanzitutto, che cosa intende per poteri forti?

Cascioli: Tutta la grande stampa nazionale ha fatto attiva propaganda per il sì, contrastata soltanto da Avvenire, Il Foglio, Il Tempo e Il Giornale (con Libero sostanzialmente equidistante); i servizi delle principali reti tv sono stati tutti a senso unico, per non parlare delle radio commerciali.

Quanto ai politici, il leader del centrosinistra Romano Prodi insieme a Rosy Bindi ha cercato di dividere i cattolici sull’astensione. Piero Fassino ha messo a disposizione le strutture del suo partito per sostenere i “sì” dopo averle usate per aiutare i Radicali a ottenere le firme necessarie per indire i referendum; a loro si è unito addirittura il leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini e il Ministro per le Pari opportunità Stefania Prestigiacomo.

Per sostenere il “sì” è stata messa in campo una campagna violenta, culminata addirittura con la richiesta del carcere per preti e Vescovi che invitavano all’astensione. Eppure gli italiani si sono ribellati all’idea che dell’embrione si possa fare ciò che si vuole, che ogni desiderio possa diventare diritto, che i bambini possano essere ordinati su misura come il vestito della cerimonia, che i figli siano privati del diritto di conoscere il padre, che una lobby ben organizzata e altrettanto ben finanziata abbia il potere di delegittimare un Parlamento eletto dal popolo.

Il popolo italiano si è reso conto che la vera questione va ben oltre il numero di embrioni da impiantare nell’utero della donna. In gioco c’è il futuro dell’umanità, il nostro futuro e quello dei nostri figli, il rischio di un totalitarismo dalla facciata democratica. E la consapevolezza che “sulla vita non si vota”, come recitava uno slogan particolarmente centrato, ovvero che la dignità dell’uomo, il senso stesso della mia vita è cosa troppo importante da poter essere deciso a maggioranza popolare.

Diversi editorialisti hanno sostenuto che la Chiesa ha fatto leva sull’appartenenza religiosa dei cittadini al fine di convincerli a non andare a votare. Che ne pensa?

Cascioli: Che non sia un problema di fede ma di ragione, lo dimostra il fatto che accanto ai cattolici sono scesi in campo con grande vigore fior di laici come il Direttore del Foglio Giuliano Ferrara. come il leader della Margherita Francesco Rutelli, come il Presidente del Senato Marcello Pera, come Oriana Fallaci, per non parlare di scienziati, politici, giuristi, femministe che si sono ribellati alla parola d’ordine dei loro schieramenti.

Non è un problema di fede, però non è casuale che ancora una volta sia stata la Chiesa cattolica a proporre il giudizio più lucido sulla posta in palio e sulla deriva umana e sociale che comporta il pensiero radicale. Se infatti “Cristo rivela l’uomo a se stesso” non può sorprendere che tanti laici si riconoscano nel giudizio di una Chiesa cosciente della propria missione.

C’è stato però anche un manifesto di cattolici per il “Sì”…

Cascioli: Si è trattato di episodi marginali, fisiologici, se paragonato a ciò che successe per divorzio e aborto. E’ invece importante segnalare l’unità sostanziale – senza precedenti – dimostrata dai cattolici in questa occasione. E non dobbiamo dimenticare il “popolo dei santuari” che domenica 12 ha affollato i santuari mariani di tutta Italia (iniziativa lanciata originariamente da “Radio Maria”) per una grande preghiera per la vita.

Insomma è fallito il subdolo tentativo di affermare che si possa essere cattolici pur non obbedendo al magistero della Chiesa, la teorizzazione dei “cattolici adulti” – per usare l’espressione introdotta da Prodi – che in quanto adulti possono anche prescindere da ciò che i Vescovi affermano, come se l’obbedienza alla Chiesa fosse un problema adolescenziale.

Cosa accadrà adesso. La cultura anti-vita farà passi indietro?

Cascioli: Non credo.Quella referendaria è stata soltanto una battaglia di una guerra ben più vasta che si combatte intorno all’uomo, immagine e somiglianza di Dio. Chi ha promosso il referendum sta solo ricompattando le fila per lanciare un nuovo assalto sul tema, a cui si uniranno presto anche altri che alla questione della vita e della famiglia sono strettamente legati: le unioni di fatto, le unioni gay e l’eutanasia, tanto per cominciare.

Ci attende dunque una lunga battaglia, ma l’esperienza dimostra che non è anzitutto per via giudiziaria o per via politica che essa potrà essere vinta. Come ci ha ricordato incessantemente Giovanni Paolo II e come ci sta indicando Benedetto XVI., il compito è anzitutto quello di ricreare una “cultura della vita”. E l’unico modo è annunciare Cristo, nell’obbedienza alla Chiesa.

 

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''Lavoriamo per la vita umana nascente''

Fecondazione, Ruini: ''Vogliamo solo illuminare le coscienze''

L'ultimo appello all'astensione del presidente dei vescovi italiani: ''La Chiesa non cerca lo scontro''

Roma, 9 giu. (Adnkronos) - ''Non vogliamo forzare le coscienze ma soltanto illuminarle''. Sono queste le parole dell'ultimo appello all'astensione del cardinale Camillo Ruini in vista dei referendum sulla fecondazione assistita. Il presidente dei vescovi italiani e' intervenuto nella basilica di San Giovanni in Laterano in chiusura del convegno diocesano sulla famiglia inaugurato lunedi' scorso da Benedetto XVI.

Il cardinale ha ringraziato religiosi e laici presenti per l'impegno profuso in queste settimane nel diffondere la scelta dell'astensione promossa dalla Cei ma ha anche affermato che la Chiesa non cerca lo scontro con nessuno e lavora invece ''per la vita nascente'' e ''per gli uomini e le donne di domani che non devono essere considerati come prodotto di laboratorio''.

''Questa sera sento in particolare il bisogno di ringraziare ciascuno di voi -ha detto il cardinale Ruini- per quel che state facendo in rapporto al referendum e alla scelta consapevole del non voto. Non siamo noi ad aver voluto il referendum, non siamo e non saremo noi ad esacerbare i contrasti e le contrapposizioni''.

''Non siamo contro nessuno - ha ribadito il porporato- lavoriamo invece per qualcuno: per la vita umana nascente, certo, e per i figli che hanno diritto a conoscere i propri genitori, ma anche per le donne e gli uomini di oggi e di domani, che devono sempre essere considerati e trattati come persone e non come prodotto di laboratorio o oggetto di sperimentazione, e che anche nel loro giusto desiderio di essere genitori vanno aiutati a non dimenticare che il figlio rimane sempre, prima che una propria soddisfazione, una persona da accogliere in dono. Ci muoviamo dunque, anche in quest'occasione, secondo quella logica di servizio e di amore del prossimo che ci ha insegnato il Signore''.

 

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LA SPERANZA CHE VIENE DA DENTRO 

Pietro Moggi - Presidente Forum Provinciale Associazioni Familiari - Comitato “Scienza & Vita” Reggio Emilia

Innanzitutto voglio dire un grazie di cuore al meraviglioso popolo della vita, che ha voluto essere presente in modo così significativo alla Fiera (oltre 800 persone in un sabato pomeriggio di afa tremenda) per incontrare il “grande” Giuliano Ferrara ed Eleonora Porcu, non meno grande per come ha saputo trattare con chiarezza e con precisione scientifica, ma anche con il cuore, il tema spinoso della fecondazione assistita, che è anche il tema del suo personale quotidiano lavoro di ricercatrice. Ma come non dire grazie, poi, a quel magnifico gruppo di volontari, giovani e non più giovani, che hanno saputo allestire con la loro fatica a tempo di record uno “squallido” capannone vuoto per trasformarlo con arte in un autentico teatro, degna cornice di un evento che sono sicuro ricorderemo a lungo, anche se poca o nessuna immagine ne è stata data dai nostri “media” locali, più preoccupati – è chiaro - di dare risalto all’inaugurazione dell’ennesima pista ciclabile…

Ancora una volta il Comitato “Scienza & Vita”, così come ha fatto in più di 50 incontri – grandi e piccoli – organizzati nell’ultimo mese in ogni angolo della nostra provincia, ha voluto condurre una riflessione seria e approfondita, condotta da tecnici (quasi sempre i protagonisti degli incontri sono stati medici e giuristi) e non da “politici”, proprio per contestare la disinformazione basata sulla ripetizione di slogan tambureggianti: libertà di ricerca, cura delle malattie più terribili, tutela della salute della donna…, senza dare una sola dimostrazione veramente scientifica che la legge 40 vada contro la ricerca, contro la cura, contro la donna…

In questo quadro si è voluto calare anche Giuliano Ferrara, che “tecnico” non è, ma da grande comunicatore ha saputo affrontare il tema di fondo della dignità e del rispetto di ogni vita umana, di quella vita che nessuno può più negare che abbia inizio con il concepimento e che sia destinata al suo termine naturale, se non interviene una violenza esterna ad interromperla. Si deve constatare con amarezza che tra i tanti diritti rivendicati – e lo ha fatto purtroppo anche lo Statuto della nostra Regione – viene spesso dimenticato il primo e più grande fra i diritti dell’uomo, che è il diritto alla vita. Lo ha ricordato anche, nella sua toccante testimonianza, l’avv. Angelini, quando ha affermato che non accetterebbe mai di essere curato dalla sua grave malattia se sapesse che per curare lui è stata soppressa un’altra vita umana. Finché ci saranno uomini capaci, al di là delle prove e delle sofferenze della vita personale, di portare dentro il proprio cuore questa coscienza, questa verità di fondo che ci rende veramente uomini, al di là della fede che ci sentiamo o non ci sentiamo di professare, allora rimane la speranza che non trionfino il relativismo e l’individualismo, che non possono portare ad altro che al nulla e alla morte dell’uomo. La speranza che viene, appunto, dal popolo della vita…

Ecco perché, essendo entrati ormai nell’ultima settimana che precede la fatidica data del 12 giugno, voglio ribadire personalmente l’appartenenza a questo popolo di “rivoluzionari”, di “disobbedienti”, di “sovversivi”, legittimati in verità dalla Costituzione della Repubblica Italiana, che, dopo avere fatto fino in fondo il loro compito di informazione, invitano all’astensione, a NON andare a votare, per non contribuire con il proprio sì – o, ugualmente, con il proprio no - a distruggere di fatto una legge, certo migliorabile, ma che ha comunque il pregio – ponendo dei limiti all’uso delle tecniche di fecondazione assistita - di riconoscere la parità di diritti e di tutelare la dignità di ogni vita umana (compresa quella del concepito).

 

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L'intervento all'assemblea generale della Conferenza episcopale

Referendum, il Papa sta con la Cei

Sì alla linea del non voto senza pronunciare la parola astensione.«Vescovi illuminate le scelte dei cattolici».

da www.corriere.it - 30/05/05

ROMA - Pieno appoggio alla Cei. Sul referendum, Ratzinger la pensa in tutto e per tutto come i vescovi. Intervenendo all'assemblea generale dell'Episcopato italiano, che si è aperta con la prolusione del cardinale Camillo Ruini, Benedetto XVI manifesta il suo appoggio alla linea astensionista della Cei sull'imminente referendum sulla procreazione assistita.

Ratzinger non si spinge fino a parlare esplicitamente di astensione , si mantiene cioè sul piano dei valori, ribadendo la difesa della vita e della famiglia. E ai vescovi che lo ascoltano dice: «Siete impegnati ad illuminare le scelte dei cattolici e di tutti i cittadini circa i referendum ormai imminenti sulla procreazione assistita: proprio nella sua chiarezza e concretezza questo vostro impegno è segno della sollecitudine di voi pastori verso ogni essere umano che non può mai essere ridotto a mezzo ma è un fine (in questo punto il Papa è stato interrotto da un applauso, ndr), come insegna Cristo e come ci dice ragione umana».

 

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«La sinistra sbaglia causa, parola di comunista»

 Intervista al Prof. Pietro Barcellona, docente di Filosofia del diritto all'Università di Catania

Pierluigi Fornari - Avvenire www.avvenire.it - 26 Febb. 2004

 

Il figlio in provetta, una tappa dell'emancipazione del proletariato? «Grande balla», parola di un «comunista convinto», Pietro Barcellona. Un uomo da sempre di sinistra anche se da qualche anno ha deciso di non fare più politica. Laico, «ma non antireligioso per principio, perché il tema della trascendenza dovrebbe interessare chiunque». A Pannella e compagni che gridano alla penalizzazione dei centri di ricerca nazionali e all'ingiustizia sociale perché i ricchi, a differenza dei poveri, potrebbero andare all'estero a fare quello che è vietato in Italia, il docente di Filosofia del diritto alla facoltà di giurisprudenza di Catania, da uomo di sinistra, risponde così: «È un'ipocrisia. Figuriamoci se il mondo proletario sta aspettando la inseminazione artificiale per emanciparsi...È una battaglia sbagliata che sta seguendo una moda, cioè pensare che la tecnica possa risolvere i problemi profondi della vita umana».
Il filosofo, che nel suo cursus honorum ha annoverato la presidenza di una prestigiosa istituzione del Pci come il «Centro iniziative e studi per la riforma dello Stato» (Crs) guidato anche da Pietro Ingrao, mette in guardia contro la provetta selvaggia: «Il patrimonio genetico - argomenta - è un bene che appartiene alla collettività storica nella quale si è formato. Come debbono essere beni condivisi l'ambiente, le piazze delle città, aspetti della vita economico sociale, così ci sono questioni che riguardano la cultura e la antropologia che non possono essere a disposizione di una libertà senza limiti».

 

Lei ha affermato che è in gioco un modello antropologico. Cosa intende?

 

«Caratteristica degli uomini è che non sono animali, ma non si sa bene cosa sono. Questo essere problema a stessi ha dato vita alle diverse forme di civiltà, secondo le risposte che si davano a questo interrogativo. Proprio tale risposta costituisce lo statuto antropologico di una civiltà».

 

E il nostro statuto antropologico?

 

«Quello in cui sono cresciuto e vorrei continuare a vivere per gli anni che mi restano. In esso il patrimonio che riguarda il futuro delle generazioni non è disponibile da parte del singolo».

Eppure il fatto di avere un figlio ad ogni costo lo si considera un'espressione di libertà...

 

«Io non ho una visione individualistica, per cui si trasforma in diritto qualsiasi cosa possa essere oggetto di desiderio. Per principio penso che ci sono limiti costituiti dal fatto che c'è un bene comune, ma non dato una volta per tutte, costituito proprio dallo stratificarsi delle esperienze umane in uno statuto antropologico».

Ma il nostro da cosa è specificamente caratterizzato?

 

«Lo statuto antropologico nel quale io sono cresciuto è quello secondo cui i bambini nascono da una relazione affettiva tra due figure fondamentali, la figura paterna e la figura materna. Freud che certamente non era un sostenitore della Chiesa cattolica, riteneva che il complesso di Edipo, ad esempio, fosse uno dei motori delle continue trasformazioni creative che gli uomini fanno della loro esistenza. Questo complesso si struttura attraverso una relazione affettiva con le figure fondamentali, che non contano soltanto per la loro individualità fisica, ma anche per il patrimonio culturale che trasmettono».

Lei ha detto che potremo arrivare alla gestazione degli uomini nelle vacche o in laboratorio...

 

«Se noi stacchiamo il fatto procreativo dalla relazione affettiva e sessuale si può ipotizzare un futuro in cui la produzione degli esseri umani avviene totalmente attraverso le macchine. Una volta combinato tecnicamente l'ovocita e lo sperma, si procederà a costruire artificialmente degli esseri umani. La scienza potrà arrivare a questo. Il problema non è impedirlo. La ricerca deve fare i suoi percorsi per capire quello che può della vita. Ma l'uomo non deve consentire che tutto ciò che è tecnicamente fattibile diventi lecito».

A suo avviso ci sono rischi di pratiche eugenetiche?

 

«Sono enormi. Inoltre considerare un'espressione di libertà la richiesta di un figlio programmato è in sé contraddittorio. I sostenitori di tale libertà dimenticano che essa è molto legata al caso, ogni forma di pianificazione è il contrario della libertà. Se cominciamo a pianificare i figli biondi, alti, di bell'aspetto, eliminiamo il fattore che consente la libertà. Se il caso non c'è più, se tutto è pianificato, non c'è neppure la libertà. Come uomo che proviene dalla sinistra sono stupefatto...».

 

Di cosa?

 

«Sono veramente stupefatto di come Pannella possa essere giocato a destra e a sinistra quasi fosse un jolly, sottovalutando il fatto che è un seminatore di illusorie libertà astratte che dissolvono ogni idea di legame comunitario, di responsabilità collettiva, anche di etica».

C'è dunque un aspetto etico da non sottovalutare?

 

«Non amo le morali precettistiche, ma mi sento eticamente responsabile nei confronti dei miei tre figli e dei miei tre nipoti ai quali cerco di passare il testimone con un rapporto personale e affettivo, i discorsi, perfino i giochi. Come si fa ad immaginare che i figli possano nascere in modo così astratto, al di fuori di legami affettivi, soltanto perché c'è un desiderio di una donna o di un uomo. Io sono un grande sostenitore dei diritti della donna, ma qui non è problema di essere contro le donne, perché questo è un diritto che negherei agli uomini come alle donne».

 

Qualcuno obietta che un figlio può nascere anche da un adulterio...

 

«Non è affatto la stessa cosa, anche se il figlio è adulterino è nato da una relazione affettiva. C'è stata comunque una compromissione totale delle persone».

 

La trasgressione antropologica della provetta selvaggia è più grave?

 

«C'è il tentativo dell'uomo di realizzare un vecchio sogno delirante di onnipotenza, quello cioè di autogenerarsi, di nascere dal nulla. Di negare, cioè, la prima vera dipendenza che fa di ciascuno di noi un essere nato da una coppia di genitori. Che siano di fatto o conviventi, non mi interessa. Quello che mi interessa è che il bambino nasca da una relazione d'amore tra un uomo ed una donna. È importante anche che la donna, per averlo avuto nel grembo per nove mesi, ha determinato una relazione intrapsichica con questo essere che sta per nascere che comincia ad attrezzarlo ad entrare nel mondo. Io non riesco a immaginare una forma di accesso al mondo che non sia mediato dal rapporto con la madre».

 

La sua è un'opzione filosofica?

 

«È una visione antropologica che riprende le acquisizioni della migliore psicanalisi. Uno degli elementi del "principio di realtà" è che la coppia vive il rapporto sessuale tra sessi diversi come un limite all'onnipotenza. Ciascuno di noi, in altri termini, sa di non potersi riprodurre da solo, non può avere il dominio sulla procreazione. Un grande psicanalista francese Green ha scritto che la differenza sessuale da un lato è la prova della nostra mortalità, perché siamo destinati a finire, e dall'altro il riconoscimento della realtà che cioè solo attraverso il rapporto con l'altro sesso si producono altri esseri umani. Questo aspetto non viene mai discusso, eppure è un aspetto laico, non necessariamente legato ad una visione sacrale della vita. O se si tratta di sacralità è una sacralità molto laica».

 

Come mai la sinistra si è così smarrita su questo problema? Esiste qualcuno che condivide le sue idee?

 

«Le confesso che non ne ho trovati molti. La sinistra si è smarrita per una ragione molto semplice: perché ha abbandonato ogni idea di bene comune. Prima, seppure nella forma perversa dello Stato totalitario, sottoponeva l'idea della libertà individuale a qualche limite. Crollata l'adesione a questa forma di Stato, è rimasto solo un atteggiamento libertario».

 

Con che prospettiva?

 

«Secondo me una sinistra libertaria non ha molto futuro. La sinistra è nata storicamente come un'eresia del cristianesimo, come una visione del bene comune. Questa eresia è stata portata a conseguenze nefaste, ma non era figlia del liberalismo. Era figlia di un'altra visione».

 

Eppure alcune femministe di sinistra all'inizio si erano mostrate contrarie a lasciare campo libero alla provetta.

 

«Io ho lavorato molto con il movimento femminista, eppure constato che alcune sono divenute vittime dello spirito del tempo».

 

Qualche voce femminile non si è levata contro la provetta selvaggia?

 

«Su un libro curato dalla psicanalista Lorena Preta, una della relatrici - quasi tutte donne - racconta cose inaudite. Il 70% dei casi di inseminazione non ha successo, e il fallimento di queste pratiche ha effetti traumatici sulle donne, assai più gravi della mancanza di un figlio. Spesso veri e propri casi di psicosi. E inoltre la pratica delle tecniche di procreazione assistita si protrae per anni, perché non è che si ha successo al primo tentativo. Quindi non è affatto una passeggiata in carrozza. Al contrario è un tecnica che dà alla donna spesso una sensazione di deprivazione del corpo, che viene considerato più nella sua oggettività materiale, che nella sua concretezza carnale e anche spirituale. Moltissime donne subiscono questa pratica come un trauma profondo della propria femminilità perché hanno la sensazione di essere trattate come fossero messe in fila in una catena di montaggio».

 

Un esempio?

 

«La serie di test che devono subire prima di accedere alle tecniche. Trattate in qualche caso anche con una certa volgarità: magari con l'infermiera che procede all'inseminazione usando per l'embrione l'epiteto di "frittatina". Insomma tali procedure sono applicate in contesti in cui la disumanizzazione è veramente impressionante. Sicuramente dietro questa cosa c'è un grande business, di cui non si parla mai».

 

Ma non avere un figlio è una sofferenza...

 

«Lo capisco. Anch'io ho una figlia che desidererebbe un figlio, ma non ce l'ha. Eppure non ricorrerebbe mai a pratiche di questo tipo».

 

È cattolica?

 

«No, buddista. Non ricorre all'inseminazione artificiale perché pensa che i figli nascono da una relazione sessuale di due corpi. E conta moltissimo come questa cosa avviene. E il modo in cui un bimbo sta nell'utero materno per nove mesi, è decisivo per la sua vita futura».

 

E pensare che il far west della provetta permetteva l'utero in affitto...

 

«È ciò che avviene negli Usa con grande tranquillità, ma è una pura perversione. L'utero viene considerato come un contenitore meccanico qualsiasi che può essere un frigorifero, una cella a temperatura fissa. Diviene invece irrilevante il fatto che sia proprio la effettiva madre a tenerlo dentro la pancia. Mi sembro così banali le cose che dico, che sono stupefatto del fatto che non si sia stato una discussione vera. Per questo vedo con favore il referendum, è l'occasione per parlare di tutti questi problemi. Ritengono sbagliato non sfruttare questa occasione».

 

E infatti ne stiamo parlando e in modo assai approfondito e molto capillare...

 

«Intanto, bisognerebbe spostare uno dei temi della discussione: questo non è uno scontro tra laici e cattolici, è una questione che riguarda la visione dell'uomo che ciascuno di noi ha, sulla base delle sue esperienze, e sul convincimento che si è fatto del futuro di questa specie. È una questione che va oltre i confini delle confessioni, è principalmente una questione di rapporto con le nuove generazioni».

 

 

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Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio Stampa: Servizio Documentazione
Centro Spirituale – La Bellotta di Pontenure

Il referendum
e
la Legge 40 che regola la procreazione assistita

21 Maggio 2005

Fonte Ufficio Stampa - Comunicazione del Vescovo al Consiglio Pastorale Diocesano.

Mons. Luciano Monari, Vescovo

 

“In questa solitudine che ciascuno regala a se stesso, si perde il senso del essere-con… e la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole… sino alla riduzione al singolo individuo… Noi stiamo entrando in un’età caratterizzata dal primato del contratto e dall’eclissi del patto di fedeltà.” (cit. in G. Dossetti, “Sentinella, a che punto siamo della notte?”). 

1. Dopo dieci anni di discussioni, confronti, proposte, finalmente il 10 febbraio 2004 il Parlamento italiano ha votato e approvato, con una maggioranza trasversale, la legge 40 che regola la procreazione assistita. Praticamente subito, dopo l’approvazione della legge, è partita la raccolta di firme per l’abrogazione della stessa legge, una raccolta promossa dai radicali e favorita da alcune forze politiche. La Corte Costituzionale ha riconosciuta legittima la richiesta di referendum per quattro dei quesiti che erano stati proposti e il prossimo 12 giugno saremo chiamati a pronunciarci. In vista di questo importante appuntamento si è formato un Comitato Nazionale “Scienza e vita” per la difesa della legge al quale hanno aderito praticamente tutte le associazioni cattoliche. Questo Comitato ha invitato a non andare a votare come modo più efficace per impedire l’abrogazione della legge e questa posizione è stata accettata e rilanciata dal Consiglio Permanente della CEI nella riunione del 7-9 marzo 2005.

2. La legge 40/2004 non ci piace del tutto e non esprime la posizione della Chiesa sulla fecondazione in vitro. L’etica della Chiesa ritiene l’incontro sessuale dell’uomo e della donna come l’unico contesto degno della procreazione umana; non accetta quindi la fecondazione in vitro (FIVET) che invece la legge 40 accetta e cerca solo di disciplinare. Perché, allora, la difendiamo? Per un motivo semplicissimo: che in gioco c’è la vita o la distruzione di embrioni umani e siamo convinti che la società debba sempre difendere, quando è possibile, la vita umana. L’uomo nasce inerme e può vivere solo se qualcuno si prende cura di lui; se rifiutiamo il dovere della società di “prendersi cura” della vita umana debole, distruggiamo le fondamenta stessa della convivenza civile. Ora, tra l’embrione e l’uomo adulto c’è uno sviluppo progressivo, continuo e non è possibile determinare un punto a partire dal quale scatti il dovere di difesa della vita umana da parte della società. Ogni determinazione sarebbe arbitraria e cioè fondata non su elementi oggettivi ma sulla nostra volontà. A noi sembra che questa pretesa di decidere il punto a partire dal quale la tutela della vita umana è doverosa si configuri come pretesa di decidere chi deve vivere e chi deve morire. Siamo convinti che la società umana non ha un diritto di questo genere e che, quando se lo arroga, distrugge il patto che sta alla base della convivenza e che ci permette di avere (almeno un poco di) fiducia nella famiglia umana. Tutte le distinzioni tra embrione e preembrione, tra persona e individuo, che vengono avanzate per giustificare la soppressione di embrioni umani, sono solo giochi verbali per giustificare quello che si è deciso di fare. L’embrione è vita umana e se all’embrione si concede semplicemente di svilupparsi secondo le sue potenzialità quello che viene fuori è un uomo: nei confronti di questa vita umana in formazione ci sentiamo responsabili.

3. A questo punto siamo di fronte a un problema preciso che è quello del Referendum. Ci vengono proposti quattro quesiti riguardanti la legge 40 per decidere se di quella legge vogliamo abrogare alcune parti o no. Naturalmente questo non è l’unico problema morale o giuridico importante riguardo alla procreazione assistita; ci piacerebbe discutere sul senso della FIVET, sul rapporto scienza e fede, sul rapporto tra la procreazione e la sessualità, su cento altri problemi scientifici, etici, filosofici, culturali… e va bene. Ma qui, adesso, abbiamo di fronte un interrogativo preciso sul quale siamo chiamati a prendere posizione: vogliamo o no che sia abrogata la legge 40 nelle sue parti che limitano la produzione di embrioni a quella degli embrioni che si possono impiantare e che impedisce qualsiasi altro uso degli embrioni stessi? Per rispondere a questa domanda c’è bisogno di un chiarimento previo: che cosa succede se la legge non viene abrogata? E che cosa succede, invece, se la legge dovesse essere abrogata?

            Se la legge non viene abrogata continua la disciplina attuale, quella stabilita dopo l’entrata in vigore della legge 40/2004. In particolare:

            Al contrario, se le parti della legge 40 sottomesse a referendum dovessero essere abrogate, gli effetti sarebbero i seguenti:

4. Di fronte a questa ipotesi la posizione dei vescovi è semplice. Siamo convinti che sia un dovere della società proteggere la vita umana dal momento del concepimento fino alla sua fine naturale. Quindi siamo contrari all’abrogazione della legge 40 perché questa comporterebbe la produzione di embrioni soprannumerari e la loro conseguente distruzione; siamo contrari alla fecondazione eterologa perché altera la costituzione della coppia e, in un campo così delicato come è quello della paternità e maternità, inserisce un estraneo che non si assume nessuna responsabilità nei confronti del suo figlio naturale e spezza la comunione di padre-madre di fronte al figlio.

5. Posta questa posizione, nasce il problema di come opporci all’abrogazione della legge 40. La legge istitutiva del Referendum prevede che una legge regolarmente approvata dal Parlamento sia abrogata da un referendum solo se si verificano due condizioni:

Di conseguenza la legge rimane in vigore in uno dei due casi: se il numero dei votanti non raggiunge la maggioranza degli aventi diritto al voto; oppure se la maggioranza dei voti espressi è per il “no”. Entrambe queste possibilità sono previste dal legislatore ed è quindi legittimo servirsene. Non è pertinente quello che è stato scritto: “denigrare uno strumento democratico non è mai una decisione seria.” Su questo giudizio sono d’accordo, ma nel caso specifico la scelta del non-voto non è affatto “denigrare uno strumento democratico”; è invece usare una possibilità che il legislatore ha previsto, accettato e ratificato nei suoi possibili effetti.

Se si vuol dire che non andare a votare può essere una scelta di disinteresse e quindi una scelta che offusca l’ottica democratica, è vero. Ma allora si dovrebbe aggiungere che esattamente lo stesso vale per chi vada a votare senza aver preso coscienza precisa dei valori in gioco nei quesiti referendari; e si deve riconoscere che la obiezione non vale per noi. Se non andiamo a votare non è perché il referendum non c’interessi e nemmeno perché non sappiamo di che cosa si tratti. Sappiamo di che cosa si tratta e abbiamo fatto la scelta di difendere la legge approvata dal Parlamento. Scegliamo di difenderla nel modo che ci sembra democraticamente legittimo e più efficace e cioè non andando a votare per far sì che il quorum necessario dei votanti non sia raggiunto.

6. I vescovi del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, accogliendo l’invito del Comitato “Scienza e Vita”, hanno caldamente raccomandato l’astensione dal voto; e questo è parso a qualcuno una violazione della coscienza libera. Mi sembrano necessarie due riflessioni.

La prima è che una presa di posizione era desiderabile. Siccome ci si può democraticamente opporre all’abrogazione di una legge in due modi diversi – non andando a votare o votando ‘no – c’era inevitabilmente il rischio di una dispersione di voti: che cioè tra gli oppositori dell’abrogazione alcuni scegliessero di non votare e altri scegliessero di votare no. In questo modo l’opposizione al referendum si sarebbe spezzata in due con il possibile effetto che il referendum passasse anche in presenza di una maggioranza di oppositori. Quelli che andavano a votare ‘no’ avrebbero contribuito a fare scattare il quorum; e quelli che non andavano a votare avrebbero contribuito a non fare raggiungere la maggioranza dei voti contrari all’abrogazione. Qualcuno doveva pure scegliere quale delle due linee percorrere.

La seconda riflessione è che, a questo punto, la scelta è tra abrogare la legge o non andare a votare. La scelta di andare a votare e votare contro l’abrogazione diventa una scelta puramente mentale; la può fare chi non considera (non vuole considerare) l’effetto del suo voto. La conta dei voti non esprimerà in ogni caso la forza degli schieramenti perché molti dei contrari all’abrogazione non andranno a votare. Chi andrà a votare deve sapere che l’unico effetto della sua scelta sarà quello di contribuire a fare abrogare le parti della legge 40 sottomesse a referendum.

Ci si potrà lamentare che in questo modo siamo costretti a un’alternativa stretta che non piace. Ma questo non cambia i termini del problema. La democrazia si esprime attraverso forme concrete che, purtroppo, non sono mai perfette. Si può operare per istituire un tipo di referendum diverso da quello esistente, con regole diverse da quelle esistenti. Ma adesso le regole sono quelle, il funzionamento è quello determinato dalle regole esistenti e possiamo solo muoverci entro questo quadro. In ogni modo, non sarebbe saggio decidere per risentimento o irritazione: in gioco c’è qualcosa di grande, come il rispetto della vita umana e non sarebbe serio scegliere per motivazioni diverse da quelle che riguardano il rispetto dell’embrione umano.

A questo punto i cristiani debbono prendere posizione. La regola immediata dell’azione – la Chiesa l’ha sempre affermato – è la coscienza personale che ciascuno ha il dovere morale di formare il più rettamente possibile. Spero che nel decidere i cristiani tengano conto anche dell’indicazione dei vescovi e soprattutto delle motivazioni che hanno spinto i vescovi a parlare (quelle motivazioni che ho ricordato brevemente sopra). Poi, evidentemente, ciascuno si assumerà le sue responsabilità. Se qualcuno ritiene di dover permettere la soppressione di embrioni umani, voterà per l’abrogazione. Nelle parole del cardinale Ruini non era indicata alcuna sanzione ecclesiastica per i “disobbedienti”. Naturalmente ciascuno ha la responsabilità morale delle proprie scelte e, nella fattispecie, la responsabilità di contribuire a rendere legale o no la soppressione di embrioni umani.

7. La posizione dei vescovi è chiara. Diciamo “no” all’abrogazione della legge, senza ambiguità. E siccome non siamo stupidi – credo che il vangelo non ce lo chieda – diciamo no nel modo che appare essere il più efficace: un modo legalmente corretto (ho cercato di dimostrarlo sopra) e democraticamente efficace.

Se la legge 40 verrà mantenuta, ne saremo contenti; non perché abbiamo vinto contro i nostri avversari, ma perché la vita nascente dell’embrione umano avrà una tutela maggiore. E se invece la legge 40 verrà abrogata (nelle parti sottomesse a referendum), non soffriremo per la sconfitta della nostra parte ma perché sarà stata inflitta un’ulteriore ferita al patto di solidarietà che sostiene la vita sociale. Saremo di fronte a un altro passo verso la “deriva individualistica del diritto” che sembra aver sedotto la nostra cultura. Viviamo, come scriveva don Dossetti, la notte della comunità: i diritti dell’individuo, della singola persona prevalgono sul bene della società e dei valori che la società cerca di esprimere nella convivenza. Questa è la posta il gioco.

In concreto: invece di operare per costruire una società solidale, nella quale l’isolamento è superato e la persona può vivere rapporti fiduciosi con gli altri, stiamo cercando di dare ai singoli degli spazi di libertà individuali, che gratifichino la persona e la compensino per la sua ‘impotenza’ sociale. L’effetto non voluto ma prodotto è che sarà sempre meno forte il desiderio di impegnarsi per una modificazione dei rapporti sociali; ciascuno sarà portato a cercare e trovare la sua realizzazione nel complesso delle scelte private sempre più “senza regole”.

In questo modo non risolviamo affatto, come qualcuno ritiene, il problema della (in)felicità, anzi lo rendiamo ancora più grave. Quando il soddisfacimento dei desideri personali venga percepito come “diritto”, ogni infelicità sarà percepita come ingiustizia. Diventerà sempre più diffuso il risentimento contro la vita o contro il mondo o contro la società dei (ritenuti) “felici”. Insomma, stiamo aumentando pericolosamente il numero dei candidati all’ansia (non riesco a far valere i miei diritti; sono inadeguato/a), alla depressione (non ho la felicità che avrei diritto di avere), al risentimento (la vita non è stata leale con me). Purtroppo la vita ha una sua logica ferrea: se qualcuno si prende cura della vita, la vita si prende cura di lui; ma se qualcuno rifiuta la vita, finirà lui stesso per sentirsi rifiutato.

Non abbiamo interessi da difendere; se interessi sono in gioco in questa questione sono quelli, enormi, che girano intorno alla procreazione assistita. C’interessa solo che ci si prenda cura della vita umana; siamo convinti che l’embrione ha diritto alla nostra difesa e che noi abbiamo il dovere di garantirgli le condizioni indispensabili al suo sviluppo. Tutto qui.

8. Chiedo un’ultima cosa ai credenti: che il referendum non diventi occasione per pronunciare condanne all’interno della comunità cristiana. I motivi dell’intervento dei vescovi ci sono, e ho tentato di dirli. In queste occasioni è inevitabile che si manifestino contrasti, lacerazioni, sofferenze. Cerchiamo di non alimentarli con comportamenti aspri, con giudizi perentori nei confronti degli altri. Il confronto sul problema deve essere chiaro, senza ambiguità; il rapporto con le persone deve rimanere sereno e costruttivo; proprio perché non stiamo difendendo noi stessi o la nostra parte, ma il bene di tutti.

† Mons. Luciano Monari,
Vescovo di Piacenza-Bobbio

 Bellotta di Pontenure,  21 maggio 2005

 

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«Negando i diritti dell’embrione si adotta la logica di Hitler» (Romano Guardini)

«Scienziati e anche criminali»
Procreazione, pioggia di critiche sul ministro Udc

da: www.corriere.com/

La campagna referendaria si infiamma ed è scontro tra i sostenitori del sì e quelli che invitano ad astenersi il 12 e 13 giugno nel voto sulla legge che regola la fecondazione assistita. La polemica si allarga e coinvolge anche la legge sull'aborto.

E' stato l'ex ministro Maurizio Gasparri, nel corso di una conferenza stampa dei parlamentari di An (due terzi sono favorevoli all'astensione), a fare un parallelo tra fecondazione ed aborto. Se è lecito fare un referendum per la legge sulla fecondazione assistita, ha affermato, «è lecito anche discutere di altre leggi», come quella sull'aborto, perché «nessuna legge è intoccabile». Immediata la reazione dello schieramento referendario. Per Antonio Del Pennino, presidente del comitato promotore dei referendum, la legge 40 (fecondazione assistita) «può venire usata come grimaldello per toccare la 194 (aborto)».

Un'altra polemica l'ha provocata il ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione che, nel difendere la legge sulla fecondazione, ha affermato che «si può essere buoni scienziati e contemporaneamente dei criminali». Perché, ha spiegato, per fare ricerca scientifica a favore dei malati di Alzheimer, di Parkinson e di altre malattie, le cellule staminali embrionali non servono». I risultati migliori «sono ottenuti con le staminali non embrionali, settore nel quale l'Italia è leader nella ricerca ed è leader proprio su queste malattie».

Gli ha replicato la deputata Ds Giovanna Meandri: «Si può essere buoni politici e contemporaneamente approvare leggi, come la legge 40, punitive verso le coppie sterili e volutamente crudeli verso chi ripone negli sviluppi della scienza una speranza di guarigione».

Prosegue intanto lo sciopero della fame di un gruppo di ricercatori che chiedono iniziative immediate contro la mancata informazione sui referendum, iniziativa alla quale hanno preso parte anche i radicali.

 

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“Bambini su misura” come fonte di salvezza
L’approvazione britannica in materia solleva diverse questioni etiche

LONDRA, sabato, 14 maggio 2005 (ZENIT.org).- L’ultimo ostacolo legale alla possibilità di avere “bambini su misura” in Gran Bretagna è stato rimosso due settimane fa dalla deliberazione della House of Lords, secondo il quotidiano Telegraph del 29 aprile.

Il caso riguarda Raj e Shahana Hashimi, che avevano tentato di utilizzare la tecnica della diagnosi genetica preimpianto (PGD, acronimo in inglese) per creare un bambino le cui cellule staminali ombelicali potessero essere utilizzate per curare il loro figlio Zain. Il bambino è affetto da una malattia ematica per la quale deve essere sottoposto a frequenti trasfusioni.

La recente decisione su questo caso è l’ultima di un lungo iter legale che ha visto la famiglia Hashimi vincere un ricorso presentato nel 2003. Quella decisione era stata poi contestata da Josephine Quintavalle, direttrice dell’Organizzazione pro vita Comment on Reproductive Ethics. Ma con una decisione unanime i cinque giudici senatoriali hanno decretato che l’utilizzo della tecnica della PGD al fine di creare ciò che viene anche definito come “savior sibling” (“fratello salvatore”) è legittimo.

In un comunicato stampa del 28 aprile, Josephine Quintavalle ha dichiarato che la decisione della Camera dei Lords rappresenta un pericoloso precedente. “I giudici senatori hanno in sostanza decretato che, salvo il caso in cui vi fossero specifici divieti, la Human Fertilization and Embryology Authority può agire come crede”, ha affermato.

Il problema in questo caso - ha proseguito - è che non si tratta solo di creare bambini in laboratorio per avere tessuti compatibili. Questa decisione apre la porta alla possibilità di creare bambini su misura per qualsiasi motivo. “Secondo questa interpretazione della legge, la madre può fare richiesta sulla base di qualsiasi cosa ritenga utile di un embrione”, ha concluso Quintavalle.

La precedente vittoria della famiglia Hashimi aveva di fatto già aperto le porte in Gran Bretagna ai bambini su misura. E il Servizio sanitario nazionale, secondo il Telegraph del 25 novembre, coprirà adesso anche le spese necessarie alla creazione di bambini finalizzata a fornire cellule per i propri fratelli.

Il quotidiano ha informato che negli ultimi mesi, almeno tre autorità sanitarie locali in Inghilterra hanno accordato fondi pubblici alle coppie che volevano creare fratelli donatori. Secondo l’articolo, quattro tentativi di fecondazione in vitro, con relativa diagnosi genetica preimpianto, costano circa 20.000 sterline (29.400 Euro).

Qualche giorno dopo, il 29 novembre, il Times ha riportato il caso di una coppia che aveva concepito il primo bambino su misura del Regno Unito. Julie e Joe Fletcher si sono sottoposti ad una fecondazione in vitro, da cui è stato selezionato un embrione il cui cordone ombelicale sarà utilizzato come fonte di cellule staminali per il fratello affetto da anemia.

Sono la prima coppia ad aver avuto un figlio in questo modo, perché la famiglia Hashimi, sebbene abbia avuto il via libera, non è ancora riuscita a portare avanti una gravidanza, ha affermato il Times. Altre coppie britanniche hanno in effetti già dato alla luce dei “savior sibling”, ma lo hanno fatto negli Stati Uniti dove questa tecnica è lecita.

Così si “spostano i paletti”

Il 7 marzo, il Times ha riportato la notizia di un ulteriore allargamento della normativa che disciplina la creazione di embrioni. La Human Fertilization and Embryology Authority britannica ha autorizzato i medici ad effettuare operazioni chirurgiche su bambini creati su misura, al fine di estrarne il midollo osseo.

In precedenza era possibile utilizzare solo le cellule del sangue e quelle del cordone ombelicale. Ma secondo il quotidiano i vincoli sono stati tolti lo scorso anno senza dare alcuna informazione all’opinione pubblica. Si è avuto notizia di questo cambiamento solo attraverso alcuni documenti resi pubblici grazie alla normativa sulla libertà d’informazione.

A commento di questa modifica legislativa, Josephine Quintavalle ha detto che la Human Fertilization and Embryology Authority, anziché correggere il tiro, aveva “spostato i paletti”, senza consultare o neanche informare il pubblico. Ed ha aggiunto: “la donazione del midollo osseo è un’operazione invasiva e dolorosa soprattutto per un minuscolo neonato, che peraltro non ne trae alcun beneficio e non è in grado di dare il proprio consenso. L’idea che un bambino possa essere creato con questo particolare intento, va al di là della comprensione di cittadini civili e compassionevoli”.

Screening genetico per il cancro

I timori relativi ad un allargamento del ricorso alla tecnica della diagnosi genetica preimpianto sono stati confermati da un’altra decisione della Human Fertilization and Embryology Authority presa lo scorso anno. Secondo la BBC del 1° novembre, questa Autorità ha aperto alla possibilità di effettuare uno screening sul DNA finalizzato ad eliminare quegli embrioni che sono affetti da una predisposizione genetica al cancro.

Ai ricercatori della University College di Londra è stata data l’autorizzazione ad effettuare screening genetici per individuare una forma di cancro intestinale. Un genitore portatore del gene responsabile di questo tipo di cancro, normalmente ha una probabilità del 50% di passarlo al figlio. Coloro che possiedono questo gene possono sviluppare cancro al retto o al colon nel periodo adolescenziale.

Questa tecnica viene già utilizzata nell’individuazione di altre malattie quali la fibrosi cistica, che può svilupparsi nei bambini sin dal momento della nascita, secondo la BBC. Tuttavia, questo sembra essere il primo caso in cui questa tecnica diagnostica viene impiegata per una malattia che non si manifesta se non ad un’età più avanzata.

In merito a questa decisione il dr. Mohammed Tarannisi, direttore dell’ Assisted Reproduction and Gynecology Center di Londra, ha dichiarato alla BBC che essa avrebbe dovuto essere resa nota “ad un pubblico più ampio”. Al programma “Today”, della BBC Radio 4, ha affermato: “Si tratta di condizioni che possono o meno verificarsi dopo 20, 30 o 40 anni. È quindi una cosa giusta da fare? Non spetta alla Human Fertilization and Embryology Authority, o a tre dei suoi componenti, o persino ad un medico come me, prendere questo tipo di decisioni. Questo è un argomento che richiede di essere discusso in modo adeguato”.

La decisione dell’Autorità è stata criticata anche da altre organizzazioni, come riportato dal quotidiano Guardian il 2 novembre. “È estremamente difficile decidere se o in quali casi sia giusto ricorrere alla selezione genetica degli embrioni”, ha dichiarato Sue Mayer, direttrice dell’organizzazione GeneWatch UK. L’Autorità si è presa la responsabilità di decidere per proprio conto, senza coinvolgere nessun altro”.

Altre critiche sono state espresse dal dr. Callum MacKellar, direttore della ricerca dello Scottish Council on Human Bioethics. Secondo un servizio pubblicato dal quotidiano Scotsman lo stesso giorno, MacKellar ha avvertito che questa azione potrebbe “portare la società su un cammino molto scivoloso verso l’eugenetica”.

Rischi psicologici

Un recente articolo di Agneta Sutton, assistente universitario del Dipartimento di Teologia presso la University College in Chichester, Inghilterra, ha trattato delle questioni etiche relative al tema dei “savior sibling”. Nell’articolo, pubblicato sull’edizione n. 6 della rivista italiana di bioetica “Medicina e Morale”, osserva che sebbene il fine di salvare un bambino malato è in sé meritevole, “esso non può giustificare il ricorso a qualsiasi mezzo per ottenerlo”.

Sutton sostiene che la Human Fertilization and Embryology Authority non ha fornito prove sufficienti che dimostrino che la tecnica della diagnosi genetica preimpianto non comporti effetti dannosi sui bambini. Inoltre si chiede come un fratello di salvezza possa reagire alla notizia di essere stato concepito al fine di aiutare un altro bambino: “Questo è compatibile con la dignità umana del bambino?”. Potrebbe essere motivo di sofferenza psicologica per il “savior sibling”.

Anche da parte dei genitori la decisione di ricorrere ad un “savior sibling” pone qualche problema, ha aggiunto Sutton. Il bambino viene utilizzato come qualcosa di strumentale e la sua accoglienza da parte dei genitori è ben altro che incondizionata. Anche la connotazione di “salvatore” è una definizione non appropriata, ha sostenuto. Quando parliamo di un “fratello salvatore” ci riferiamo a qualcuno che ha compiuto un intervento attivo e volontario. Nel caso di bambini che sono selezionati come fonte di cellule, il “salvatore” è passivo ed è trattato come un oggetto.

Il Catechismo della Chiesa cattolica, al n. 2378, riguardo al tema della fecondazione in vitro in generale, avverte che “Il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono”, ed aggiunge: “Il figlio non può essere considerato come oggetto di proprietà”. Un avvertimento che rimane valido mentre le tecniche genetiche continuano ad estendere il loro raggio d’azione.

 

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Eterologa, mamme-nonne, diagnosi pre-impianto, clonazione, manipolazione degli embrioni: benvenuti nel mondo nuovo

Giuliano Ferrara, da Il Foglio, 25 aprile 2005

Tutte queste cose (e tante altre) si vogliono fare , dunque si possono fare; si possono fare, dunque si vogliono fare. Non tutti però siamo d'accordo. E dobbiamo ribellarci

Facciamo un piccolo elenco delle nuove possibilità offerte dal mondo nuovo, cosi, tanto per ricapitolare il giardino delle delizie che ci attende. Io, cittadino spagnolo, posso divorziare in re giorni da mia moglie, senza tante spiegazioni. Basta che il matrimonio sia stato celebrato da almeno tre mesi. Anche lei può arlo. Che problema c'è? Si chiama divorzio breve.

Io maschio spagnolo, olandese o belga, posso sposare un maschio secondo lo stesso identico rito civile che unisce in matrimonio le coppie eterosessuali. Se femmina, vale lo stesso principio. Per proteggere questo mio diritto lo Stato abolisce quattro parole sessiste e discriminatorie dal codice civile e dal diritto di famiglia: padre, madre, marito, moglie. Maschio o femmina, se sposo una persona del mio stesso sesso, posso adottare bambini. Se ho il desiderio di una famiglia biologica, posso ricorrere all'inseminazione cosiddetta eterologa. Nel caso di una coppia maschile, uno dei due (o tutti e due, felice mescolanza) ci masturbiamo, raccogliamo il seme. Poi ci procuriamo un ovocita femminile in affitto solidale, e in nove mesi abbiamo un figlio adatto ai nostri desideri. Visto che è in arrivo l'utero artificiale, si può provvedere anche senza l'affitto solidale di una donna. Se la coppia omosessuale è femminile, le cose sono più semplici: sarà un terzo a produrre il seme, una di noi partorirà dopo nove mesi dall'inseminazione artificiale.

Possiamo in ciascuno di questi casi scegliere a seconda di ciò che desideriamo. Questi protocolli medici valgono anche per le coppie eterosessuali, naturalmente, non ci sono discriminazioni in alcuna direzione. La tecnica e la legge (diagnosi preimpianto, aborto selettivo), con le protezioni note, ci consente di decidere secondo desiderio: decidere se sia maschio o femmina, se di un seme o dell'altro (vanno forte i danesi, e il ceppo vichingo), e comunque sano. Dunque possiamo scartare a piacimento vite e cromosomi sgraditi, sicuri dei complimenti della comunità e dei Lincei perché i nostri scarti serviranno gli scopi umanitari della ricerca scientifica.

Cittadina rumena, posso decidere una gravidanza verso i settantanni. E' un diritto. Bambino spagnolo, olandese, americano, ho viceversa il dovere non di essere atteso secondo natura, ma di rispettare il ciclo di ri­ produzione desiderante che mi ha fabbrica­to. E di vivere contento in un mondo nuovo che nessuno, se non gli scrittori di fantascienza e di fantamorale, ha ancora giustificato, spiegato. Ho due papa, due mamme, vengo da un paese lontano, ho gli occhi azzurri per scelta, ne parlerò con i genitori, con i coniugi, con i compagni di scuola. A spiegare questo mondo ci ha provato un filosofo olandese, che ha parlato del "parco umano" come di un nuovo orizzonte del possibile. Chi ha espresso dubbi, come Habermas e altri, ha parlato a nome di un pensiero considerato vecchio e stanco.

Se cittadino olandese o americano, a certe condizioni (per adesso), posso decidere o forse devo decidere su ordine di un giudice o di un comitato etico di mettere fine alla vi­ta malata di bambini fino'a dodici anni (e qui è realizzato il racconto di Philip K. Dick sulle pre-persone). Io, marito residente in Florida, posso decidere di mettere fine con la fa­ me e la sete a una vita cosiddetta vegetativa, posso interrompere le dormienti emozioni di una disabile con una decina di giorni di disidratazione, anche se i suoi genitori e fratelli e sorelle non lo vogliano. Ho la testimonianza orale di un cosiddetto testamento biologico. Che problema c'è? In Francia da trent'anni duecentomila aborti l'anno, nonostante la contraccezione più liberale del mondo. Duecentomila per trenta, fatevi il conto da soli. La legalizzazione, ci fu promesso, doveva porre fine allo scandalo e salvaguardare la salute della donna, non già inaugurare un metodo curioso per il "controllo delle nascite".

Scienziato britannico, posso donare a scopo terapeutico embrioni, manipolare cromosomi a piacimento. Sono metodologicamente definiti grumi di materia, ogni altra definizione è oscurantista. Scienziato della Corea del Sud, posso donare anche a scopo non direttamente terapeutico, e immaginare fanta-stiche chimere di laboratorio, incroci geniali della biotecnica. Sempre sotto la protezione della cultura corrente, nella portata larga del mainstream scientifico e morale.

Questa concentrazione di nuovi poteri si giustifica da sé in nome dei diritti, che sono l'assoluto contenuto nell'estremo relativi­ smo: un diritto stabilito da una maggioranza è di per sé giusto, basta a se stesso. Chi lo contesta è un cattivo teologo, un prete reazionario, uno strano animale laico e miscredente infervorato dal fanatismo delle guerre culturali. Tutta gente da evitare. In fondo, ci spiegano, si tratta di minoranze, di comportamenti e autorizzazioni che riguardano pochi, se proprio volete potete continuare a vivere all'antica, non si sa per quanto tempo, anche nel mondo nuovo. Non c'è ideologia, ci spiegano, non c'è attacco alla tradizione ed emancipazione dalla natura, ma eguaglianza di diritti emancipata dal criterio del giusto e dell'ingiusto, del buono e del cattivo: criteri vecchi, inservibili, bandiere abusate dell'assolutismo morale che il mondo liberale respinge a buon diritto. Anche gli antibiotici ci emancipano dalla natura. Dunque: che volete? I diritti di morte e di vita del mondo nuovo sono come la penicillina.

Tutte le cose qui elencate, e molte altre che lascio inesplorate, si vogliono fare, dunque si possono fare; si possono fare, dunque si vogliono fare. Per la prima volta, da laico, formulo una preghiera, ma ho già le labbra secche e so che non sarà esaudita: Benedetto XVI, aiutaci tu.

 

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Gli inganni dei referendum sulla legge 40

 

ROMA, domenica, 8 maggio 2005 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo per la rubrica di Bioetica l’intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

 

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Perché non recarsi alle urne il 12 e 13 maggio non significa mancare di senso civico? Le ragioni sono molte, e ben chiarite dalle tante affermazioni pronunciate in questi giorni dai rappresentanti del fronte trasversale del “doppio no”, cioè dell’astensione.

Cerchiamo di raccoglierle. Intanto non andare a votare ad un referendum è un diritto, insieme a quello di votare. Non si tratta infatti di elezioni politiche o amministrative, in cui lo stato chiama i cittadini ad eleggere i loro rappresentanti nelle sedi appropriate, e in cui astenersi equivale a rifiutare la propria collaborazione all’organizzazione dello stato stesso.

Qui è un gruppo di cittadini che chiamano gli altri ad intervenire per modificare, secondo una procedura straordinaria (la consultazione referendaria, appunto), una legge esistente. È lecito obiettare a questa chiamata, esprimere il proprio dissenso non solo rispetto ai contenuti del referendum (il “no”) ma anche rispetto al referendum stesso, che non si voleva. Ecco quindi l’astensione, consapevole e militante.

Inoltre, non andare a votare esprime un’obiezione sulle modalità con cui è stata eseguita la raccolta delle firme necessarie all’ammissione dei quesiti referendari. Spesso tale raccolta è stata fatta in modo ingannevole, arruolando persone ignare della reale posta in gioco o addirittura dicendo il falso, e proponendo slogan che venivano (che vengono) applicati “con superficialità o con malizia all’ambito della procreazione artificiale umana: ‘Perché non avere un figlio sano?’, ‘Milioni di malati guariranno con le staminali’, ‘Bisogna dare a tutti la possibilità di avere un figlio’, e così via (C. Navarini, Procreazione assistita?Le sfide culturali: selezione umana o difesa della vita, Portalupi Editore, Casale Monferrato 2005, pp. 30-32).

I quesiti referendari sono poi incomprensibili. L’unica parte dei quesiti che si può capire ad una semplice lettura è il titolo. E i titoli, in questo caso, sono quanto di più falso si possa immaginare.

Il primo quesito, ad esempio, porta questa intestazione: “ Per consentire nuove cure per l’Alzheimer, il Parkinson, le sclerosi, il diabete, le cardiopatie, i tumori”. Chi, di fronte ad una simile promessa, si ritrarrebbe? Eppure, l’inganno c’è, ed è di dimensioni colossali. Perché la “promessa” referendaria riguarda presunte terapie ottenibili mediante la distruzione di embrioni umani, per ricavarne cellule staminali.

La grande bugia scientifica è che le cellule staminali embrionali non sono una via promettente per trovare le cure indicate dal referendum: non esiste un solo studio attendibile sull’uomo che riporti risultati positivi per questa via, mentre esistono studi sull’animale che dicono il contrario, cioè che le cellule staminali embrionali sono poco governabili e altamente tumorigene. Al contrario, la letteratura è ricca di successi ottenuti con le cellule staminali “adulte”, reperibili nel sangue del cordone ombelicale fetale, nel midollo osseo, nel fegato, nel pancreas, nel cervello, nelle cornee, nei denti, nelle orecchie, nel tessuto adiposo…

Le cellule staminali adulte sono il futuro della ricerca, e sono moralmente lecite perché non richiedono la soppressione di embrioni. Infatti, anche se in un ipotetico futuro le cellule staminali embrionali si rivelassero “utili”, rimarrebbe il grave problema etico: non possiamo uccidere esseri umani – gli embrioni – per salvarne (forse) altri. La ricerca sull’embrione è già consentita dalla legge 40 (art. 13, c. 2), purché non danneggi l’embrione stesso, come richiede ogni sperimentazione su soggetti umani. Ogni vita umana, infatti, ha lo stesso valore e la stessa dignità, qualunque siano le sue condizioni: età, salute, razza, colore, intelligenza, forza, bellezza. Non possiamo dunque sostenere che la vita dell’embrione umano, solo perché più debole, vale di meno e può essere “sacrificata” per la ricerca. Come suonerebbe il referendum se la sua intestazione fosse: “Per la distruzione di esseri umani allo stadio embrionale a fini di studio”? O dovremmo piuttosto dire “a fini di lucro”?

Il secondo quesito si dichiara “ Per la tutela della salute delle donne”. I referendari chiedono di revocare il limite massimo di tre embrioni da produrre e trasferire in utero, previsto dalla legge 40, sostenendo che in tal modo le donne avrebbero maggiori possibilità di ottenere il figlio desiderato, senza sottoporsi a nuovi e continui cicli di fecondazione. Anche qui, non si ammette un dato di fatto, e cioè che le donne sono meglio tutelate dalla legge 40 di quanto non fossero in passato, o di quanto non sarebbero se il referendum passasse.

Dovendo produrre al massimo tre ovuli, infatti, si riduce proporzionalmente la necessità di ricorrere a pesanti stimolazioni ovariche per indurre farmacologicamente l’ovulazione, con i rischi gravi – a volte letali – per la donna che tale stimolazione comporta, spesso imprudentemente sottovalutati. Inoltre, ad una massiccia produzione di ovuli si accompagna generalmente una scarsa qualità degli ovuli stessi, buona parte dei quali vanno scartati o espongono ad un maggior pericolo di patologie il concepito. Trasferire tre embrioni, poi, offre la maggior percentuale di garanzie di “bambini in braccio”. Oltre, le statistiche dicono che non aumenta più il numero delle nascite, ma solo quello delle morti embrionali o fetali, e le complicazioni della gravidanza.

Anche in questo caso, dunque, le regole poste dalla legge 40 contribuiscono a rendere un po’ più simile alla generazione naturale, e quindi un po’ meno traumatica, la fecondazione artificiale per le donne, prima usate quasi come le cavie animali su cui si sono esplorate, per molti anni, le potenzialità della fecondazione in vitro, ottimizzando e potenziando la riproduzione a scopo di mercato.

Questo quesito contiene un altro punto decisivo, ovvero l’abolizione del divieto di eseguire la diagnosi preimplantatoria. All’inizio sembrava ovvio: la fecondazione artificiale è per chi è colpito dalla sofferenza della sterilità. Ma ora il quadro sta cambiando, o forse è già cambiato: si vuole utilizzare le pratiche per scegliere le caratteristiche del figlio, per ora in negativo (non avere alcune malattie), un giorno non lontano forse in positivo (avere le caratteristiche desiderate). Stiamo passando dunque dal desiderio del figlio al figlio del desiderio, dalla logica del dono alla logica della selezione umana. Infatti, specularmene alla volontà di scegliere i figli sani, c’è la volontà di eliminare i figli malati

Al di là del fatto che la diagnosi preimpianto non offre garanzie di salute dell’embrione, che presenta un consistente numero di falsi negativi, che causa comunque (qualunque sia lo stato di salute) la morte di molti concepiti per il suo grado di invasività, c’è un’evidenza inquietante: tale diagnosi rappresenta il punto più basso di una mentalità eugenetica ancora drammaticamente viva.

Il terzo quesito è identico al primo, con in più la cancellazione dei diritti del concepito sanciti dall’articolo 1, scomodo perché rende ragione di tutte le misure a difesa del concepito disseminate nella legge 40.

Il quarto quesito intende cancellare il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa. Tale tecnica è una di quelle più invocate da chi sostiene di essere “personalmente contrario”, ma comunque favorevole a consentire la pratica “per gli altri”. La fecondazione eterologa in effetti è raramente necessaria, e molti di coloro per i quali sarebbe “necessaria” non la vogliono, ritenendola una forma di accanimento, una strada troppo gravosa per avere comunque un figlio non biologico, almeno per uno dei due richiedenti. Molti preferiscono, a questa stregua, la più nobile via dell’adozione, che risponde al bisogno di una famiglia da parte di bambini che già ci sono, e che sono purtroppo numerosi.

La fecondazione eterologa, in altre parole, aggrava i problemi già insiti nelle tecniche di fecondazione artificiale, con pesanti ripercussioni sull’equilibrio sociale (come conciliare il diritto alla propria identità genetica del figlio con il diritto alla privacy del “donatore”?) e sulla famiglia, come dimostra il divieto di disconoscimento di paternità associato ovunque alla fecondazione eterologa. In troppe circostanze, in effetti, si sente di casi giudiziari in cui padri “unicamente sociali” hanno ad un certo punto percepito un’estraneità rispetto al figlio.

Non andare a votare ai referendum, quindi, esprime con chiarezza che il dibattito sulla questione dell’embrione, sul valore della vita umana e della famiglia non si può decidere a colpi di maggioranza, perché, come dice lo slogan del Comitato “Scienza & Vita”, “la vita non può essere messa ai voti” (www.comitatoscienzaevita.it).

E infine, non andare a votare è il mezzo più efficace affinché la legge 40 non cambi. Anche votare “no”, infatti, costituirebbe in realtà un favore ai referendari. Un favore economico, visto che i promotori del referendum (qualunque sia il suo esito) ricevono un bonus in denaro al raggiungimento del quorum. E un favore elettorale, dato che aumenterebbe il numero dei votanti, magari quel tanto che basta ad avere il 50% più uno degli elettori, senza tuttavia superare numericamente il numero dei “sì”.

La lotta fra il “sì” e il “no”, infatti, è impari. Le forze a disposizione di chi non vuole cambiare la legge 40 sono esigue, a confronto di chi, invece, la vorrebbe stravolgere completamente con i referendum. Questo perché la sproporzione fra i mezzi di informazione controllati dai due schieramenti è abissale. La sfida è epocale, e l’appello urgente: non andiamo a votare, perché la legge 40 è preziosa per continuare a riflettere su temi da cui dipende il futuro e la salute dell’umanità.


[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org . La dottoressa Navarini risponderà personalmente in forma pubblica e privata ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]

 

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Cellule staminali: la cura che viene da dentro
Parla il noto scienziato italiano Angelo Vescovi

ROMA, giovedì, 5 maggio 2005 (ZENIT.org).- Angelo Vescovi, uno scienziato italiano di fama internazionale che ha contribuito a scoprire le cellule staminali presenti nel cervello, afferma l’inutilità di creare embrioni per fini di ricerca o a scopo terapeutico e si dice fiducioso circa l’attuale applicazione medica delle staminali adulte.

Questo in sostanza l’intervento tenuto da Vescovi Il 28 aprile scorso nel presentare, all’interno della Sala delle colonne della Camera dei Deputati, il libro da lui recentemente pubblicato “La cura che viene da dentro” (Mondatori, 102 pagine, 14 Euro).

Vescovi, attualmente Condirettore dell'Istituto di Ricerca sulle Cellule Staminali all'Istituto S. Raffaele di Milano, e consulente della Commissione Britannica per le Cellule Staminali, alla Camera dei Lords (Inghilterra) e della Pontificia Accademia per la Vita, è stato supervisore del progetto del Ministero della Sanità italiana per la creazione di una banca di cellule staminali celebrali umane, così come Vicedirettore della “Neurospheres Ltd”, dell’Università di Calgary (Canada).

La stamina, ha rivelato all’inizio Vescovi, è come il filo della vita che le Parche, le tre divinità romane simboleggianti il Fato, secondo la tradizione classica, svolgono dal fuso, filano, e tagliano ogni qual volta un persona muore.

In effetti ha continuato Vescovi, le staminali sono le cellule della vita.

“Da staminalista non vedo alcun motivo per creare embrioni da ricerca e nemmeno da terapia – ha messo in guardia –. Soprattutto trovo scorretti coloro che si ammantano di autorevolezza scientifica, si abbottonano il camice bianco, salgono in cattedra …. E dicono il falso, dicono che non esistono alternative alle staminali embrionali”.

“Alcuni di questi sostengono che l’unica sorgente continua e abbondante di cellule per il trapianto sono le staminali derivate dagli embrioni umani”, ebbene, “ non è così”.

In particolare Vescovi nel collaborare ad uno studio condotto dagli scienziati dell'Unità di Neuroimmunologia dell'Ospedale S. Raffaele, guidati da Gianvito Martino, i cui risultati sono stati pubblicato sulla rivista “Nature” del 17 aprile 2003, aveva già dimostrato l’efficacia di cellule staminali alternative a quelle embrionali.

Infatti i risultati scientifici testimoniavano che le cellule staminali cerebrali iniettate nel circolo sanguigno dei topi con la forma sperimentale di sclerosi multipla, possono accedere al sistema nervoso centrale e riparare la mielina danneggiata nelle aree infiammate, aprendo così nuove e promettenti strade per lo sviluppo di terapie neuroprotettive per il trattamento di questa malattia.

Nel corso della presentazione del volume, Vescovi ha spiegato che terapie come quelle per i tumori del sangue, per il trapianto di pelle nelle grandi ustioni, di cornea e di osso di cartilagine, già impiegate nella pratica clinica, come cure salvavita, o in fase di sperimentazione avanzata, “usano proprio staminali adulte, la cui proliferazione in vitro o dopo il trapianto è notevolissima”.

Lo scienziato che si dichiara agnostico, anche se afferma di seguire ogni domenica sua moglie in chiesa insieme alle figlie, ha detto che, di fronte al dibattito sulle cellule staminali, non ha sopportato le numerose falsità sbandierate dalla disinformazione.

“Ho passato buona parte della mia vita a fare il ricercatore, e non riesco a sopportare la falsità, la disinformazione, anche una certa forma di ignoranza non genuina che intende presentare una tesi preconcetta che si basa su un’ideologia”.

“Sono agnostico e ciò nondimeno è scritto nei miei geni come nei vostri” il dovere di “rispettare la vita, soprattutto la vita umana”, ha spiegato.

“Non riesco a concepire l’idea che per salvare una vita se ne debba costruire una a bella posta per poi distruggerla”, ha ribadito lo scienziato.

Vescovi ha quindi criticato il documento del Comitato "Ricerca e Salute" che invita a votare “sì” ai quesiti referendari del 12 e 13 giugno circa la legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita, dicendo che “presentano in maniera distorta solo una parte del problema”.

Il ricercatore ha quindi spiegato che “la contrapposizione tra cellule embrionali e adulte si basa su un errore di fondo che è macroscopico, per qualsiasi ricercatore. Il fatto è che si considera che l’unica terapia possa nascere solo dalla manipolazione e trapianto delle cellule staminali come se non esistesse nient’altro”.

“Ma queste tecniche coprono al massimo il 30-40 per cento del problema, il rimanente 60 per cento si basa su tecniche non invasive e costituite da cellule staminali adulte”.

Vescovi ha poi spostato il discorso sulla questione dell’inizio della vita: “La cellula fecondata nel momento in cui i gameti si sono fusi, quello è il primo momento in 16 miliardi di anni di vita dell’universo in cui nasce la prima entità biologica che contiene il patrimonio genetico dell’essere umano”.

Lo scienziato ha in seguito rilevato che definire l'embrione “come un grumo di cellule”, come ha fatto la rivista scientifica internazionale Nature, significa fare appello ad un “progresso basato su un pensiero anti-scientifico e anti-razionale”, che alla fine diventa “oscurantista”.

“Oggi assistiamo a degli esempi di opposizione antiscientifica impressionanti”, ha rilevato l’autore del libro. “Non ci sono assolutamente problemi a creare la vita umana e distruggerla. La vita umana si può costruire, manipolare, distruggere, clonare, selezionare geneticamente, però ci sono problemi enormi a sacrificare il topo utilizzato per esperimenti medici”.

Alla domanda di ZENIT su che cosa farà nei giorni del referendum, Vescovi ha risposto: “Non andrò a votare perché spero che i referendum falliscano”.

 

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La disumanità della fecondazione artificiale nel Magistero di Giovanni Paolo II

 

ROMA, domenica, 10 aprile 2005 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo per la rubrica di Bioetica l’intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

“Ma è poi vero che il nuovo essere umano è un dono per i genitori? Un dono per la società? Apparentemente nulla sembra indicarlo. La nascita di un uomo pare talora un semplice dato statistico, registrato come tanti altri nei bilanci demografici”. Sono provocazioni lanciate da Giovanni Paolo II nella Lettera alle Famiglie del 2 febbraio 1994, di fronte ad una cultura che ha progressivamente tecnicizzato e strumentalizzato la procreazione, fino a renderla del tutto impersonale con la fecondazione artificiale.

Nell’immensa eredità di riflessioni che il Santo Padre ci ha lasciato sulla dignità della vita nascente e della generazione umana, possiamo attingere tutto quanto serve, anche alla semplice ricognizione intellettiva, per comprendere la sfida epocale, come da più parti è stata chiamata, che si sta giocando in Italia dopo l’approvazione della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, e che è giunta ad una tensione estrema in vista dei referendum abrogativi fissati per il 12 giugno.

La fecondazione artificiale, nonostante i limiti (ammirevoli e doverosi) posti dall’attuale normativa, resta per l’uomo una modalità intrinsecamente ingiusta di generare figli, una forma di sperimentazione in campo riproduttivo che tende a negare la profondità e il senso della procreazione, un ennesimo attentato alla salute della famiglia, origine e fondamento della vita sociale.

In questo senso, ignorare la chiamata al voto di giugno ha un doppio scopo: non modificare in modo peggiorativo la legge 40 – e il modo prevedibilmente più efficace di “dire di no” ai referendum è “non andare a votare” – e ribadire la posizione culturale dei difensori della vita. Questi, infatti, se si trovano di fatto ad appoggiare la legge 40 come misura “restrittiva” rispetto ai mali perpetrati dalla precedente anarchia sulle tecnologie riproduttive, intendono tuttavia confermare pienamente il loro “no” ad ogni tipo di fecondazione artificiale.

I “prezzi” da pagare per la fecondazione artificiale, infatti, sono vari, e tutti chiaramente indicati dal compianto Pontefice, e disseminati in tanti suoi memorabili interventi magisteriali.

In primo luogo, la fecondazione artificiale si “paga” con lo snaturamento dell’atto sessuale coniugale. È un tema di cui si parla poco, ritenendolo di difficile comprensione, scomodo, anche un po’ desueto. Eppure è la premessa ineludibile di ogni onesta discussione sul tema. Infatti, anche qualora si potesse evitare ogni perdita di embrioni nel processo di fecondazione “assistita”, il modo artificiale del concepimento rimarrebbe indegno di un essere umano, che ha il diritto di nascere da un vero atto di dono reciproco dei suoi genitori.

Nell’ Angelus del 31 luglio 1994, Giovanni Paolo II diceva che “in simili procedimenti l'essere umano viene defraudato del diritto a nascere da un atto d'amore vero e secondo i normali processi biologici, restando in tal modo segnato fin dall'inizio da problemi di ordine psicologico, giuridico e sociale che lo accompagneranno per tutta la vita”.

Il concepimento artificiale è anche indegno dell’amore coniugale, dal momento che il concepimento del figlio resta avulso dall’unione degli sposi, i quali divengono semplici fornitori di gameti. Il 6 febbraio 1999, il Santo Padre affermava che “c'è paternità e maternità anche senza la procreazione, ma la procreazione non può essere divisa dalla paternità e dalla maternità. Nessuno può separarla dall'amore di un uomo e di una donna che nel matrimonio si donano reciprocamente formando ‘una carne sola’. Si rischia, altrimenti, di trattare l'uomo e la donna non come persone ma come oggetti” ( Messaggio in occasione della Festa della Famiglia organizzata dalla diocesi di Roma, 6 febbraio 1999, n. 3).

L’atto fecondante, nelle tecnologie riproduttive, è in effetti quello del tecnico di laboratorio che “spia” le cellule immesse in provetta per vedere se è riuscito a “creare” un embrione. Jacques Testart, padre scientifico della prima bambina francese concepita in vitro, descrive questa “attesa” come qualcosa di eccitante, che lo costringeva (almeno all’inizio, quando si sentiva ancora un “pioniere”) a tornare più e più volte in laboratorio per cogliere quel magico istante in cui le “sue” cellule, da due, diventavano una, quella del nuovo individuo umano.

Nella fecondazione artificiale, in realtà, l’ unione da cui scaturisce l’unione dei gameti (quella fra i coniugi nell’atto sessuale) viene estromessa. Osservava Giovanni Paolo II, nel 2004, che “un gesto così ricco, che trascende la stessa vita dei genitori, non può essere sostituito da un mero intervento tecnologico, impoverito di valore umano e sottoposto ai determinismi dell’attività tecnica e strumentale” ( Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, 21 febbraio 2004, n. 2).

Così, mentre il tecnico osserva, forse con una punta di emozione, il momento del concepimento, i genitori sono drasticamente “tagliati fuori”, al punto da attivare un’interessante forma di auto-difesa: non si sentono genitori da quando il minuscolo essere inizia a vivere, ma da quando ha inizio l’eventuale gravidanza, dopo il trasferimento in utero, dopo la trepida attesa (questa sì) che l’embrione “attecchisca”, cioè che si impianti felicemente nella parete dell’endometrio.

Come affermava il Papa, “sempre di più emerge l'imprescindibile legame della procreazione di una nuova creatura con l'unione sponsale, per la quale lo sposo diventa padre attraverso l'unione coniugale con la sposa e la sposa diventa madre attraverso l'unione coniugale con lo sposo. Questo disegno del Creatore è inscritto nella natura stessa fisica e spirituale dell'uomo e della donna e, come tale, ha valore universale” ( ibidem).

Un ulteriore “prezzo” da pagare per la fecondazione artificiale è la rimozione del problema della sterilità e dell’infertilità. La legge 40 sancisce il rispetto della gradualità, cioè il ricorso alle tecnologie riproduttive solo quando tutte le vie alternative si sono dimostrate inefficaci, sia in senso terapeutico (nella cura della sterilità), sia rispetto alla prospettiva dell’adozione. Tuttavia, è un fatto che la possibilità stessa di servirsi della fecondazione artificiale spinge troppi ad abbracciarla frettolosamente, talora senza avere adeguatamente verificato la condizione di sterilità, senza avere sufficientemente approfondito metodi di autodiagnosi della fertilità come i cosiddetti “metodi naturali”, e senza avere promosso uno stile di vita che tuteli veramente la salute dal punto di vista riproduttivo.

Giovanni Paolo II aveva più volte messo in chiaro che “compito dello scienziato è piuttosto quello di investigare sulle cause della infertilità maschile e femminile, per poter prevenire questa situazione di sofferenza negli sposi. […] L’auspicio è che sulla strada della vera prevenzione e dell'autentica terapia la comunità scientifica – l’appello va in particolare agli scienziati credenti - possa ottenere confortanti progressi” ( ibid., n. 3).

Al contrario, l’interesse per la cura della sterilità e dell’infertilità sono andati continuamente calando con l’avanzare della mentalità “tecnologica” nella procreazione umana. Nel 2002, il Santo Padre denunciava il fatto che “mentre la ricerca biomedica continua a perfezionare metodi di fecondazione artificiale umana, sono pochi i fondi e le ricerche destinati alla prevenzione e al trattamento dell'infertilità” ( Lettera del Santo Padre Giovanni Paolo II al nunzio apostolico in Polonia in occasione della Conferenza Internazionale su “Conflict of interest and its significance in science and medicine”, 25 marzo 2002).

Ma il “prezzo” più drammatico da pagare per la fecondazione artificiale è senza dubbio la perdita cospicua e inevitabile di embrioni umani. L’enciclica Evangelium Vitae del 1995 smascherava il vero volto della fecondazione artificiale, affermando che “anche le varie tecniche di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita” (n. 14).

E continua: “Queste tecniche registrano alte percentuali di insuccesso: esso riguarda non tanto la fecondazione, quanto il successivo sviluppo dell'embrione, esposto al rischio di morte entro tempi in genere brevissimi” ( ibidem). Le statistiche parlano chiaro: sul totale dei trasferimenti di embrioni effettuati, la stragrande maggioranza non arriva alla nascita. Il III Rapporto ESHRE, relativo ai dati europei del 1999, parla di una perdita di embrioni pari all’89% (cfr. K.G. Nygren-A.N. Andersen, Assisted reproductive technology in Europe (1999), in Human Reprod, 2002, 17, 3270-3274).

Anche per i “sopravvissuti”, d’altra parte, i rischi non finiscono: vi sono chiare indicazioni nella letteratura scientifica di aumenti significativi delle patologie genetiche e congenite nei nati da fecondazione artificiale, proprio a causa del concepimento in vitro. Senza contare il destino incerto degli embrioni crioconservati, che, una volta soddisfatto il desiderio di maternità e di paternità dei loro genitori, spesso non “interessano più”, e vengono “soppressi o utilizzati per ricerche che, con il pretesto del progresso scientifico o medico, in realtà riducono la vita umana a semplice ‘materiale biologico’ di cui poter liberamente disporre” ( Evangelium Vitae, n. 14).

Il desiderio di un figlio da parte di una coppia di sposi non è dunque cosa buona? Lo è certamente, tuttavia non ogni mezzo per realizzare tale desiderio è buono, e in particolare non lo è un mezzo che di fatto, anche se non nelle intenzioni, riduce tale figlio a semplice oggetto di tale desiderio, pretendendolo come un diritto e cercandolo ad ogni costo, anche al prezzo di aberrazioni come quelle fin qui considerate. “Ciò significherebbe trattarlo alla stregua di una cosa!”, gridava Giovanni Paolo II nel citato Angelus del 1994. E sottolineava che i genitori “devono volere il figlio con un amore gratuito e oblativo, evitando di strumentalizzarlo ai loro interessi o alla loro personale gratificazione” (n. 1).

Equiparare, nei fatti, il figlio desiderato ad un personale possesso, ad uno “strumento di autorealizzazione”, produce infine quell’inquietante deriva eugenetica a cui stiamo assistendo, che ha portato dalla fecondazione artificiale per motivi di sterilità o infertilità alla sua rivendicazione per altre cause, in particolare per far nascere solo bambini privi di alcune malattie genetiche attraverso la diagnosi pre-impianto. Ovvero: scegliere gli embrioni apparentemente sani e eliminare quelli apparentemente malati. “Sotto questo profilo – diceva Giovanni Paolo II ai membri della Pontificia Accademia per la Vita nel 1998 – è doveroso denunciare l’insorgere e il diffondersi di un nuovo eugenismo selettivo, che provoca la soppressione di embrioni e di feti affetti da qualche malattia”, talora avvalendosi di dottrine infondate che vorrebbero posticipare l’inizio della vita personale in un momento successivo alla fecondazione.

E nel 2001 ribadiva: “una nuova tentazione si fa strada, quella di arrogarsi il diritto di fissare, di determinare le soglie di umanità di un'esistenza singola” ( Messaggio al Presidente della Settimane Sociali in Francia, 15 novembre 2001). Conseguentemente, “numerosi Paesi sono già impegnati sulla via di una selezione dei nascituri, tacitamente incoraggiata, che costituisce un vero eugenismo e che conduce a una sorta di anestesia delle coscienze, ferendo gravemente fra l'altro le persone portatrici di anomalie congenite e quelle che le accolgono”.

Ciò porta ad instaurare criteri selettivi e discriminatori assolutamente inaccettabili dal punto di vista morale, dal momento che la “grandezza di ogni essere umano […] non dipende dal suo aspetto esteriore o dai vincoli che intrattiene con altri membri della società”. Dipende invece dal suo valore intrinseco, un valore che non è determinato dal soggetto ma dalla realtà che supera il soggetto conoscente. E il relativismo etico è proprio uno dei tarli che erodono in profondità la capacità umana di riconoscere e accogliere la verità sulla persona, impedendole di recuperare il senso pieno della libertà - è la verità che rende liberi! – e di amare in modo autentico.

E l’uomo si muove così in mezzo ad altri uomini come se fosse solo, spaurito e diffidente, triste. Non riesce a stringere legami, a donarsi fino in fondo e totalmente, a formare famiglie sane. Nel Discorso ai Vescovi del Brasile del 2002, Giovanni Paolo II si chiedeva: “come imparare ad amare e a donarsi generosamente?”. E rispondeva: “nulla induce tanto ad amare, diceva san Tommaso, come il sapersi amato. Ed è proprio la famiglia, comunione di persone dove regna l'amore gratuito, disinteressato e generoso, il luogo in cui si impara ad amare”.


[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org . La dottoressa Navarini risponderà personalmente in forma pubblica e privata ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]

 

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Il senatore aveva annunciato il «no» nei referendum sulla fecondazione

Andreotti: «Mi inchino a Ruini e non voterò»

di Aldo Cazzullo, - 20/03/05 - www.corriere.it

«La Chiesa chiede compattezza per spiegare che l’embrione è vita. Prodi decide secondo coscienza? Bisognerebbe farlo sempre»

Presidente Andreotti, nel mondo cattolico c'è un ripensamento. Vescovi e intellettuali decisi a votare no al referendum considerano ora di astenersi. E lei?

«Ho cambiato idea. Non parteciperò al referendum per abrogare la legge sulla fecondazione assistita. Resterò a casa, seguendo l'indicazione del presidente dei vescovi italiani».

L'appello di Ruini era già stato formulato quando lei, due mesi fa, disse che sarebbe andato a votare.

«E' vero. In un primo tempo ho ritenuto di restare fedele al principio, sempre enunciato dai cattolici in politica, secondo cui partecipare al voto è un dovere».

Il principio non è più valido?

«No, su questo non ho cambiato idea. Ma nel frattempo c'è stato uno schieramento molto ufficiale da parte della Conferenza episcopale. E in questi casi fare il libero battitore a me non piace. Non sono un protestante. E mi inchino. Sono convinto che una certa compattezza del mondo cattolico sia utile anche al Paese, in questa fase in cui il concetto di modernità pare in libera uscita».

Che cosa intende?

«Pare che la modernità coincida con l'assenza di regole. Sembra che diventi norma ciò che è anormale; e una persona normale è considerata un eccentrico. Di fronte a una situazione del genere occorre unità. Occorre difendere il concetto della vita. E' un tema molto complesso ma anche molto profondo: il concepito è vita, l'embrione è vita».

Al Senato lei votò la legge sulla fecondazione assistita, facendo presente che applicando gli stessi principi si dovrebbe cambiare la legge sull'aborto.

«E' così. Le norme in vigore prevedono che si possa abortire legalmente sino al quarto mese. Ma un feto di tre mesi e mezzo ha diritto di vivere tanto quanto me, che ho ottantasei anni. Si deve rimettere in discussione il tema della vita nel suo complesso».

Lei dice: l'embrione è vita.

«Certo. L'embrione non è un pezzetto della madre, non è un brandello di una persona, non è come un dito. Questi sono pregiudizi da correggere. Sono andato a rivedermi in questi giorni una pubblicazione in inglese che trovai anni fa all'Università di Teheran. Si intitola La vita prima della nascita . La copertina è molto impressionante, si vede un piccolo essere. E all'interno se ne descrivono la sofferenza, la sensibilità, insomma la vita. Ne presi alcune copie e ne feci omaggio a colleghi che si occupavano dell'argomento. C'è una tendenza complessiva, nella legislazione e nella ricerca, a considerare con maggior attenzione questo tema, anche in settori progressisti del mondo cattolico. Penso ad esempio al lavoro di Adriano Ossicini».

Ma come si spiega questo richiamo all'ordine tra i cattolici?

«La Chiesa ha chiesto compattezza su un principio essenziale. Io sono disciplinato e rispondo. Non vivo questo come una contraddizione, ma come un valore civile. Di fronte a un appello della Cei così solenne, e ripetuto, avverto il dovere di fare la mia parte: in questo caso l'astensione non è assenza ma presenza. Non sto violando la Costituzione, che condiziona la validità del referendum alla partecipazione della maggioranza dei cittadini. Segno che è contemplata la possibilità di astenersi. Invitare all'astensione è lecito».

Monsignor Ruini gliene ha parlato di persona?

«No. Ci siamo visti due volte e abbiamo parlato d'altro. Devo dire che ho apprezzato la sua sensibilità e il suo rispetto. E' anche vero che non si trattava di occasioni propizie alla conversazione».

Quali occasioni erano?

«Una volta la commemorazione di Salvo D'Acquisto, l'altra la celebrazione dei quarant'anni dalla morte del cardinale Nigra, vicario di Roma».

Prodi invece andrà a votare.

«Prodi ha usato un'espressione ricorrente, che però a me non piace. Ha detto che voterà secondo coscienza. Ma ogni volta si deve votare secondo coscienza».

Lei ha deciso per chi voterà alle Regionali?

«Il voto è segreto».

Nel suo ripensamento ha contato l'insegnamento del Papa?

«Questo Papa ha contato molto per me. E non capisco perché lo si ritenga un conservatore. Sotto la sua guida la Chiesa ha fatto grandi passi avanti: nel rapporto tra fede e scienza; nelle revisioni storiche, come quella su Galileo; nelle relazioni internazionali, ad esempio con le chiese cinesi. Wojtyla è un Papa molto avanzato».

E' ancora in grado di governare la Chiesa?

«Innanzitutto, per certi versi la sua salute mi pare migliorata: vedo ad esempio che il tremito si è fermato. In ogni caso, il suo magistero può ancora essere ricco di insegnamenti, in particolare per i giovani. Vede, l'elezione di Giovanni Paolo II mi colpì moltissimo. Ma non perché fosse straniero; questo anzi mi apparve normale, vista la dimensione universale della cristianità. E' che era di un anno più giovane di me. Ero abituato a pensare il Papa come una persona anziana. Ecco, il Papa ha diritto di campare un anno in più di quanto camperò io».

 

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Il quorum ai referendum sulla legge 40 vale un milione di euro
Intervista al Coordinatore nazionale dei Giovani del Movimento per la Vita (MpV)

ROMA, martedì, 15 marzo 2005 (ZENIT.org).- La scelta di non andare a votare i referendum abrogativi della legge 40/2004, sostenuta anche dalla Conferenza Episcopale Italiana, farebbe risparmiare ai contribuenti italiani un milione di Euro.

Questa è infatti la cifra che dovrebbe essere corrisposta ai promotori dei referendum qualora si raggiungesse il quorum dei votanti (50% degli aventi diritto più uno).

“Pochi lo sanno – ha riferito a ZENIT Giorgio Gibertini, Coordinatore nazionale dei Giovani del Movimento per la Vita – ma se ai referendum non si raggiunge il quorum, non scatta il rimborso elettorale. Questo è un motivo in più per invitare i cittadini a non andare a votare”.

La legge che regolamenta i rimborsi elettorali e referendari è la n. 157 del 3 giugno 1999. In questa legge si dice che il rimborso referendario ai comitati promotori sarà dato solo se verrà raggiunto il quorum qualunque sia l'esito del referendum, ovvero sia che vincano i “si” sia che vincano i “no”.

“Anche per questo motivo – ha ribadito Gibertini – noi chiediamo alle persone di non andare a votare i referendum, perché andare a votare e dire ‘no’ può aiutare non solo a far vincere i ‘si’, ma anche a far prendere il rimborso referendario ai Radicali, ai Diesse e agli altri promotori dei referendum”.

“Data l’ideologia professata sappiamo di certo che questi soldi verranno utilizzati per campagne contro la vita e contro la famiglia. Si tratta di soldi pubblici che provengono dalle tasse pagate dai cittadini italiani”, ha rilevato l’esponente del MpV.

Può spiegarci cosa prevede la legge che regola i rimborsi elettorali e referendari?

Gibertini: Ecco cosa dice l'art. 4 della legge 157 del 03/06/99: “In caso di richiesta di uno o più referendum, effettuata ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione e dichiarata ammissibile dalla Corte costituzionale, è attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione di lire mille per ogni firma valida fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta e fino ad un limite massimo pari complessivamente a lire 5 miliardi annue, a condizione che la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto”.

Qual è dunque la cifra di denaro pubblico che finirebbe in tasca ai promotori del Referendum?

Gibertini: Facciamo un pò di contabilità spiccia. Mille lire sono 0,52 euro. Le firme che contano sono quelle "fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta", dunque non 750.000 firme, quelle raccolte, ma 500.000, quelle necessarie per fare il referendum. 0,52 centesimi moltiplicato per 500mila fa esattamente 260mila euro. Mezzo miliardo delle vecchie lire. Ovviamente per 4 che è il numero dei referendum ammessi fa due miliardi di vecchie lire. E questo ci fa capire anche il perché i Radicali, e chi per loro, promuovano sempre più di un referendum, cioè per prendere il rimborso elettorale più alto possibile.

Mi sembra uno spreco assurdo, anche perché una legge c’è già, votata dal Parlamento. Perché dovremo spendere ancora denaro pubblico per un referendum richiesto da coloro che non vogliono accettare il verdetto del Parlamento?

Da un punto di visto etico poi la situazione diventa insostenibile, perché con le nostre tasse già paghiamo gli aborti di stato ed ora vorrebbero farci pagare i capricci di provetta selvaggia e il rimborso elettorale per i radicali.

Che cosa si potrebbe fare in termini di aiuto alla vita e alle famiglie con l'equivalente del rimborso referendario?

Gibertini: Con due miliardi di vecchie lire ovvero un milione di euro e qualcosa in più? Guardi, le dico solo che “Progetto Gemma”, nato in seno al Movimento per la Vita italiano nel 1994, è un progetto di adozione prenatale a distanza: donatori anonimi adottano una mamma in attesa per 18 mesi versando ai nostri centri che aiutano queste mamme con 160 euro mensili.

Dal 1994 ad oggi, grazie a “Progetto Gemma”, abbiamo visto nascere oltre 8mila bambini. Ecco: con un milione di euro si potrebbero far nascere 350 altri bambini e far rinascere alla vita, alla fiducia ed alla speranza 350 famiglie, tanti mamme e papà tentati dall'aborto. Questo è un semplice ma concreto aiuto alle famiglie, questa è una semplice ma concreta legge di politiche familiari.

Il Presidente Azeglio Ciampi ha indicato le culle vuote come uno dei problemi più grandi del nostro Paese. Ebbene il “Progetto Gemma” è un esempio di come si possono ridurre le culle vuote senza ricorrere a “provetta selvaggia”.

 

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FECONDAZIONE: MONS. SGRECCIA, "NON ANDRO' A VOTARE" AL REFERENDUM

(AGI) - CdV, 9 mar. 2005 - "E' corretto e molto opportuno astenersi sul prossimo referendum sulla procreazione assistita.
   Personalmente ritengo di non andare a votare". Lo ha affermato mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per il quale "e' legittimo non votare, perche' al referendum, la legge istitutiva, non prevede un obbligo".
   "Non si tratta - ha spiegato il presule ai microfoni di 'One O Five Live', il canale in Fm della Radio Vaticana - di eleggere un Parlamento. Si tratta di pronunciarsi in favore o in senso contrario ad una libera consultazione". "Liberamente - ha aggiunto - si puo' andare a votare e altrettanto liberamente si puo' non andare. Soprattutto se una persona e' contraria, non solo al senso dei quesiti referendari ma anche al fatto su come e' stato preparato questo referendum e su come e' stato formulato, su cose che sono talmente importanti e vitali di carattere morale di difficile spiegazione. Personalmente ritengo di non andare a votare perche' sono contrario al fatto, oltreche' al merito".
   Secondo mons. Sgreccia, "le quattro domande referendarie sono tutte, qualora approvate, peggiorative della legge 40 sulla procreazione assistita varata dal Parlamento italiano".
   "Quella sulla diagnosi pre-impiantatoria dell'embrione di carattere selettivo eugenetico - ha spiegato - e' storicamente piuttosto infausta". "E' chiaro, quindi, - ha affermato ancora il presidente della Pontificia Accademia per la Vita - che i quesiti del referendum, se approvati, comporterebbero un peggioramento della legge. Un ritorno al caos precedente alla legge, creando un obbligo morale di dire no. Chi dice, come il mondo cattolico ma non solo, che il referendum non andava fatto e non andava posto in questo modo, si rifiuta di andare a votare".
   Secondo Mons. Sgreccia, "il rischio di una crociata puo' dipendere dagli schieramenti di partito. Noi dobbiamo aiutare la gente a pensare. Anzi, dico, che anche dopo il referendum, qualunque sia l'esito, auspicandone tuttavia il suo rigetto, bisognera' continuare a spiegare alla gente lo spessore di questi problemi etici offrendo un' informazione profonda e corretta a partire dalla tutela giuridica dell'embrione".
   Non andra' a votare al referendum nemmeno il prof. Antonio Maria Baggio, docente di scienze sociali della Gregoriana e firmatario del manifesto del comitato "Scienza e Vita". "L'invito a non votare - ha spiegato il prof. Baggio a 'One O Five Live' - riguarda non solo i cattolici ma tutti i cittadini interessati alla questione.
   Bisogna tenere inoltre conto che far mancare il numero legale e' prassi corrente nelle aule parlamentari. Quindi, nota il prof. Baggio, non capisco certi politici che hanno motivato il loro andare a votare no, dicendo di non rinunciare al diritto di voto. Ma e' cio' che fanno abitualmente in Parlamento non partecipando ad una votazione".
   Il prof. Baggio e' convinto che "ci sono rischi di strumentalizzazioni di parte. Va evitato questo rischio. A sinistra bisogna capire che votare si' al referendum sulla procreazione assistita non e' un atto di sinistra. Storicamente la sinistra si costruisce attorno alla difesa dei piu' deboli.
   Ma allora chi e' piu' debole di colui che non ha voce, che non e' ancora nato, come l'embrione?". "Non chiediamo alla sinistra - e' questo l'invito del docente della Gregoriana - di rinunciare ai propri principi, ma di scoprirli in modo piu' profondo e motivato rispetto ai problemi della nostra epoca.
   Cosi' come ad alcuni settori piu' liberali del centrodestra".
   Per il prof. Baggio, e' necessario, dunque, "evitare lo scontro a livello di destra-sinistra, di laici contro cattolici".

 

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REFERENDUM PROCREAZIONE: INVITO RUINI ALL'ASTENSIONE ACCENDE CLIMA

 ROMA - Il richiamo del cardinale Camillo Ruini alla ''compattezza'' dei cattolici nell'astensione per non peggiorare la legge sulla fecondazione assistita accende il confronto sui referendum, ancor prima di sapere in quale data si svolgeranno.

Sono soprattutto i Ds e i Radicali a protestare per quella che considerano un'indebita interferenza del presidente dei vescovi nella politica italiana e per una presa di posizione che, per Gavino Angius, ricorda i tempi della guerra fredda.

Le parole di Ruini non sono giunte di sorpresa, perche' la simpatia del vertice della Cei per l'astensione era gia' emersa, tanto da alimentare la polemica dei promotori che temono pressioni ecclesiastiche per fissare la data dei referendum il piu' tardi possibile, in modo da favorire l' astensione.

Mentre questa possibilita' e' stata smentita dal coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, che pur orientato personalmente all'astensione ha detto che la data dovra' essere tale ''da non scoraggiare il voto'', la novita' e' nel fatto che la presa di posizione di Ruini al consiglio permanente della Cei e' stata forte quanto esplicita: il presidente dei vescovi chiama i cattolici ad una ''grande compattezza'' nell'astensione ai referendum, e chiude la strada a chi pensava di votare 'no', visto che cosi' si potrebbe ''favorire sia pure involontariamente il disegno referendario'' attraverso il raggiungimento del quorum.

A seguito della presa di posizione esplicita per l'astensione, le polemiche che prima covavano sotto la cenere contro i vescovi si sono fatte esplicite. Quelle piu' colorite sono quelle dei radicali, che con Daniele Capezzone e Marco Cappato si dicono certi che i cattolici disattenderanno l' appello del cardinale. Ma duri sono anche i Ds: per la segreteria parla il coordinatore Vannino Chiti, che denuncia le parole di Ruini come ''anacronistiche interferenze'', mentre Angius, capogruppo al Senato, parla di attacco alla laicita' dello stato e sostiene che ''era dai tempi della guerra fredda che non sentivamo un tale richiamo all' unita' dei cattolici in politica''.

Di fatto, quindi, l'appello di Ruini apre un ulteriore capitolo dei difficili rapporti fra i Ds e almeno quella parte della Margherita di tradizione cattolica e democristiana, che dovrebbe essere sensibile alle posizioni dei Vescovi. Cosi' ad esempio Giuseppe Fioroni ricorda ai Ds che entrambi i partiti ritennero legittima l'astensione ai tempi del referendum per l'estensione alle piccole imprese dell'articolo 18 sui licenziamenti, quindi non possono considerare illegittima la stessa scelta sulla fecondazione.

Mentre in posizione intermedia si colloca Roberto Villetti, dello Sdi, che, pur sostenendo i referendum, riconosce la legittimita' del pronunciamento dei vescovi e invita ad evitare di trasformare il voto in crociata o in uno scontro fra laici e cattolici.

Su questo punto, la verde Luana Zanella lamenta che ''la parola della Chiesa'' possa ''trasformarsi in propaganda'', mentre Pino Sgobio, del Pdci, afferma la necessita' della ''battaglia per la laicita' dello stato''.

Chi si dichiara esplicitamente sulle posizioni di Ruini e' Riccardo Pedrizzi, senatore di An, convinto che ''la morale non si possa mettere ai voti''. Anche Francesco Giro, responsabile di Forza Italia per il mondo cattolico, giudica ''inaccettabile'' quello che chiama ''l'attacco concentrico che la sinistra rivolge al cardinale Ruini''.

 

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UN DOPPIO NO CONTRO I NUOVI BARBARI

di Claudio Prandini (webmaster del sito) 

Ho deciso di aderire all’appello, proponendolo anche ad altri, del neonato comitato “Scienza e vita” e di astenermi dalla partecipazione al voto per quanto riguarda i quattro referendum sulla procreazione assistita (abrogazione parziale legge 40/2004)

La mia decisione di aderire a tale appello si basa, oltre che su una determinata visione ontologica dell’uomo, sui seguenti punti:

1.  Piano della laicità. Ciò significa che si può partire da una visione laica del problema, che vede nella carta dei diritti dell’uomo dell’ONU (1948), la sua massima espressione. Questo vuol dire che, l’essere umano, di cui l’embrione n’è l’inizio,  ha dei diritti inalienabili. Il diritto alla vita, alla non mercificazione e ad avere dei genitori biologici certi e riconoscibili, rientra tra questi primissimi diritti dell’essere umano. Stesso discorso per il fatto che l’embrione non può essere usato come cavia per sperimentazioni varie. Se dovessero passare i sì ai quattro referendum la strada verso l’eugenetica umana, come già avviene da anni per alcuni animali da allevamento, sarebbe più che mai aperta! …E non voglio che un domani ci sia un “uomo da allevamento” o la selezione da “Terzo Reich”! Dietro a tale ambizione umana si nasconde una visione prometeica dell’uomo, che è una visione di potenza dell’uomo sull’uomo ad iniziare proprio dalla manipolazione genetica e dall’embrione. Diceva Nietzsche, un filosofo dell’ottocento e padre di un certo pensiero laicista di oggi, che: “La maggioranza degli uomini non ha diritto all'esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori” (in: La volontà di potenza, 1901). La vera disgrazia sarebbe, invece, che un tale pensiero divenisse espressione della nostra società di ”superuomini”. (sarebbe interessante sapere chi siano oggi gli "uomini superiori" a cui Nietzsche faceva riferimento? Penso che avremmo molte sorprese nel vedere la nuova composizione dell'Olimpo odierno, sia a livello di business che etico-politco!)

2.  Piano della politica. Da questo punto di vista penso che sia meglio astenersi che andare al voto. Il nocciolo della questione è strategico, occorre, in altre parole, far fallire il quorum dei referendum, per evitare che anche uno solo possa passare! La costituzione italiana prevede, fra l’altro, questa possibilità come espressione “politica” del popolo, di fronte ad un referendum (o a più referendum) di cui non condivide l’intento di coloro che l’hanno promosso. Inoltre credo che, l’istituto del referendum, sia il mezzo meno appropriato per disciplinare una materia così complessa e delicata, come la procreazione assistita.

3.  Piano legislativo. La legge 40 sulla procreazione assistita va difesa non perché sia perfetta, ma perché rappresenta il minimo indispensabile per la difesa dell’essere umano fin dal suo concepimento. Se qualcuno vuole cambiare questa legge vada in parlamento e li, se ha la maggioranza, potrà farlo!

 

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Astenersi dal votare i referendum sulla legge 40 non è “antidemocratico” o “antieducativo”

Il Direttore di Studi Cattolici invita per quel giorno a recarsi a pregare nelle chiese e nei santuari

ROMA, martedì, 1 marzo 2005 (ZENIT.org).- Il Direttore di Studi Cattolici , Cesare Cavalleri, afferma che astenersi dall’andare a votare per i quattro referendum abrogativi sulla legge 40/2004 non è “antidemocratico” o “diseducativo” ma un modo per permettere alla società italiana “di non smarrire quel minimo etico che consente a una società di chiamarsi ‘civile’”.

“Nella storia (nella vita) dei popoli – esordisce l’editoriale da lui firmato e apparso sull’ultimo numero della rivista (Studi Cattolici, n. 528, Febbraio 2005) – vi sono dei tornanti che, nel tempo, rivelano la loro decisività perché cambiano l’ethos collettivo, il modo di pensare della gente e, quindi, di organizzare la società”.

Nell’articolo dal titolo “Verso il referendum sulla procreazione artificiale”, Cavalleri ripercorre poi brevemente i due precedenti referendum in Italia sul divorzio nel 1974 e sull’aborto nel 1981, ricordando come essi abbiano “modificato la struttura della famiglia” e “inferto una ferita che sanguina tuttora” alla società italiana, andando a ledere tutti i diritti oltre a sradicare quello fondamentale alla vita.

Da quando in Italia, nel 19 maggio del 1978 è entrata in vigore la legge 194 che autorizza l’interruzione volontaria di gravidanza, a tutt’oggi sono stati molto più di 4.000.000 gli aborti effettuati. Mentre, secondo quanto rilevato dal “Movimento per la Vita”, ogni anno in media vengono vendute nel nostro Paese circa 20.000 confezioni della pillola del giorno dopo.

Di fronte ad un “terzo tornante gravido di conseguenze” come la battaglia referendaria che intende parzialmente abrogare la legge 40/2004 sulla fecondazione medicalmente assistita, Cavalleri avverte sul pericolo di smarrire per sempre “quel minimo etico che consente a una società di chiamarsi ‘civile’”.

I quattro referendum riguardano: il limite alla ricerca sperimentale sugli embrioni; le norme sui limiti all'accesso alla procreazione medicalmente assistita; le norme sulle finalità, sui diritti dei soggetti coinvolti e sui limiti all'accesso (in particolare per la cancellazione totale dell'art. 1 della legge sui diritti del concepito); il divieto di fecondazione eterologa.

Cavalleri pur affermando che non si tratti di “una buona legge”, perché “sacrifica embrioni per ottenere la fecondazione e ammette la fecondazione artificiale omologa che la legge naturale esclude”, tuttavia riconosce che “essa dà riconoscimento giuridico a quel minimo etico che consente a una società di chiamarsi ‘civile’”.

Di fronte al pericolo del “deterioramento di una legge già di per sé insoddisfacente”, Cavalleri ha quindi riflettuto sulle due alternative che si prospettano: “Una massiccia maggioranza di No all’abrogazione proposta”, oppure il “far fallire il referendum per mancanza del quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto”.

A tal proposito ha affermato che “il No ai quattro quesiti referendari significherebbe l’esplicita volontà di mantenere in vigore una legge che, come abbiamo detto, andrebbe comunque migliorata in senso contrario alle proposte referendarie. L’astensione ‘attiva’, invece, non significa approvazione della legge, e vanifica le manovre peggiorative dei promotori dei referendum”.

Partendo dai casi di diserzione alle urne per i referendum avutisi nella storia recente d’Italia, Cavalleri ha affermato che l’astensione “non avrà ripercussioni diseducative su una popolazione che ha ampiamente dimostrato di conoscere le regole e le risorse del metodo democratico”.

“L’impegno a favore della vita fin dai primi istanti del concepimento deve trovare nuove strade per agire nel sociale e per promuovere adeguati riconoscimenti legislativi”, soprattutto dopo il referendum, avverte Cavalleri, spiegando che “in questa azione, i cattolici hanno un ruolo di responsabilità per lavorare accanto ai cittadini autenticamente pensosi del bene comune”.

E’ per questo, conclude, che nel giorno del referendum “i cattolici consapevolmente boicotteranno il voto non per andare al mare, ma, accogliendo il suggerimento di padre Livio di Radio Maria, per recarsi in chiese e santuari a pregare perché la Madonna interceda presso il suo divin Figlio, affinché la società italiana recuperi dignità morale e giuridica”.

 

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Clonazione: persino l’ONU smentisce i referendari

ROMA, domenica, 27 febbraio 2005 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo per la rubrica di Bioetica l’intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

Un quesito dei referendum parzialmente abrogativi della legge 40 chiede l’annullamento del divieto di clonazione umana. Il referendum intende mantenere il divieto di produrre “esseri umani identici”, cioè di eseguire la clonazione riproduttiva, ma vuole abrogare il divieto di clonazione cosiddetta terapeutica, eseguita per trasferimento di nucleo.

Se si va oltre il condizionamento psicologico favorevole che parole come “terapia” possono indurre nella percezione comune, stupisce la messa al bando della clonazione riproduttiva e non di quella terapeutica, dal momento che, come precisa il documento sulla clonazione inviato dalla Santa Sede agli Stati membri dell’ONU il 27 settembre 2004, “la clonazione riproduttiva e la clonazione ‘terapeutica’ o ‘a fini di ricerca’ non sono due tipi diversi di clonazione: esse coinvolgono lo stesso processo tecnico di clonazione e differiscono unicamente negli scopi da perseguire” (cfr. Documento sulla clonazione umana inviato dalla Santa Sede agli Stati membri dell’ONU , ZENIT, 21 ottobre 2004).

Più coerentemente, la decisione del VI Comitato dell’ONU (59° Assemblea Generale) diffusa il 18 febbraio 2005 bandisce ogni clonazione umana, sia riproduttiva che terapeutica (o a fini di ricerca), e stabilisce il testo per una dichiarazione dell’ONU in merito. Il risultato è stato raggiunto a prezzo di lunghe discussioni e polemiche. Basti pensare che la redazione di un documento ufficiale sul tema della clonazione è allo studio dell’ONU dal 2001, e che non è stato possibile, nemmeno dopo quattro anni di dibattito, giungere al progetto di una risoluzione, giuridicamente vincolante per gli Stati membri.

Si è arrivati infatti ad un documento non vincolante (non-binding Declaration). Alcuni Stati avrebbero preferito un documento vincolante che vietasse la sola clonazione riproduttiva, invece di un’estensione del divieto a quella “terapeutica” che lasci tuttavia gli Stati liberi di mantenere invariate le legislazioni nazionali sulla ricerca scientifica.

Nonostante il limite posto dal carattere non vincolante, la posizione assunta dall’ONU risulta maggiormente significativa rispetto a quella che avrebbe potuto avere con una soluzione legale “minimalista”, poiché non preclude la possibilità futura di pervenire a posizioni legislative sulla clonazione davvero rispettose della vita e della dignità umane. L’ammissione della clonazione “terapeutica”, invece, barattata con il divieto di clonazione riproduttiva, avrebbe chiuso ogni porta a eventuali miglioramenti.

Il testo votato, infatti, appare decisamente in controtendenza non solo rispetto alla cultura imperante nei paesi a economia avanzata, che non a caso hanno votato in maggioranza contro la decisione del Comitato, ma anche alla luce della tragica tradizione ONU in materia di diritto alla vita. Non a caso, la copertura mediatica dell’evento è stata piuttosto scarsa, così come evasivo è parso l’atteggiamento in proposito dei sostenitori dei referendum sulla legge 40.

È dunque straordinario che, grazie all’influenza esercitata da alcuni paesi occidentali, sia stato possibile coinvolgere positivamente un grande numero di paesi membri, soprattutto fra quelli in via di sviluppo. L’Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, l’Arcivescovo Celestino Migliore, ha commentato positivamente il fatto che una grande maggioranza di Paesi abbia “riaffermato la sua chiara determinazione a proteggere la vita umana” (cfr. “Un Comitato dell’ONU raccomanda di proibire tutti i tipi di clonazione umana” , ZENIT, 20 febbraio 2005).

La decisione è stata presa, infatti, su una bozza di testo approvata con 71 voti favorevoli, 35 contrari e 43 astensioni. Inutile dire che un ruolo determinante è stato quello ricoperto dagli Stati Uniti, la cui rappresentante ha dichiarato, dopo il voto, che con questo documento la comunità internazionale “ha richiamato tutti i paesi membri a proibire ogni forma di clonazione umana e a introdurre senza indugio legislazioni pertinenti […]. L’azione del Comitato è stata un passo importante sul cammino della cultura della vita, assicurando che i progressi scientifici siano a servizio della dignità umana. […] La ricerca medica deve procedere, ma in modo etico. Nessuna vita umana deve essere prodotta per poi essere distrutta a beneficio di altri”. Gli Stati Uniti, ha affermato la rappresentante, “hanno sempre sottolineato l’incompatibilità di qualunque clonazione umana con la dignità umana e la sacralità e la difesa della vita umana” (United Nations, 59th General Assembly, VI Committee, 28th Meeting, Legal Committee Recommends Un Declaration On Human Cloning To General Assembly , Press Release GA/L/7231, 18/02/2005 ).

L’Italia è stata fra i pochi paesi occidentali e ad economia avanzata che si sono schierati compattamente a fianco degli Stati Uniti, insieme ad Australia, Austria, Germania, Irlanda, Liechtenstein, Svizzera. Non solo. Ha avuto una posizione chiara e netta anche a proposito dell’emendamento suggerito dal Belgio sulla terminologia da usare nella Dichiarazione: il Belgio auspicava, nel paragrafo 2 del Preambolo, la sostituzione del termine “vita umana” con quello di “essere umano”, allo scopo di indebolire la pregnanza del divieto di clonazione. È infatti da tutti condiviso che, fin dal primo istante dopo la fecondazione, siamo di fronte a una “vita umana”, cioè ad un organismo vivente della specie umana. Il termine “essere umano”; invece, viene qui utilizzato come qualcosa di più forte.

Come tale, osservava la proposta belga, dovrebbe essere oggetto di valutazione all’interno delle singole nazioni, le quali potrebbero ad esempio stabilire che l’essere umano “vero e proprio” – in altre la parole la persona degna di tutela – inizia in un momento diverso rispetto alla semplice “vita”, configurando così deroghe al generale divieto di clonazione e di ricerca con gli embrioni. Questo emendamento è stato approvato, e confluirà nel documento finale. Tra coloro che si dichiararono contrari figurava l’Italia, con Australia, Irlanda, Stati Uniti e molti paesi in via di sviluppo.

È stata un’Italia coerente e coraggiosa, quella che si è vista all’opera nel Comitato dell’ONU, che si è dimostrata più incline verso il bene integrale dell’uomo che verso gli interessi economici e ideologici connessi alla sperimentazione sull’embrione umano. La stessa Italia traspare in alcuni punti della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, che all’articolo 13, c. 3c vieta ogni forma di clonazione umana, e punisce con severe ammende tutti i tentativi di realizzare vite umane a partire da un’unica cellula, come accade appunto nella clonazione (L. 40/2004, art. 12, c. 7).

I promotori del referendum, al contrario, vorrebbero distinguere fra clonazione riproduttiva e terapeutica. Sostengono che la ricerca con le cellule staminali embrionali, ottenibili anche mediante clonazione, sia una grande promessa di guarigione per milioni di malati, quando è risaputo che nemmeno la sperimentazione su cavie animali ha dato finora risultati positivi (cfr. Koerbling M., Eastrov Z., Adult stem cells for tissue repair – a new therapeutic concept? , “New England Journal of Medicine”, 329, 2003, pp. 570-582) e anzi ne ha dati di negativi (cfr. Marx J, Mutant stem cells may seed cancer, “Science”, 301, 2003, pp. 1308-1310).

Ritengono che la ricerca sulla clonazione umana “terapeutica” non vada giudicata in base a criteri etici ma unicamente in base a criteri scientifici, i quali tuttavia suggeriscono l’abbandono delle infruttuose ricerche con le staminali embrionali, che rappresentano unicamente un ostacolo all’intensificazione degli studi sulle portentose staminali “adulte” (cfr. Knight J., Biologist fear cloning hype will undermine stem-cell research, “Nature” 430, 2004, p. 817).

Rivendicano la “neutralità” della ricerca scientifica, eppure si oppongono invariabilmente alla clonazione di tipo riproduttivo, ritenendola, incoerentemente, “pericolosa” e “indegna” dell’essere umano. Sul piano etico, tuttavia, la clonazione terapeutica è perfino più grave di quella riproduttiva, perché oltre ad essere contraria alla dignità umana nella modalità di esecuzione del “concepimento”, che si risolve nella creazione di una “copia genetica” di una persona esistente, elimina il concepito per presunti scopi terapeutici.

Quali sarebbero poi tali benefici terapeutici? L’obiettivo è notoriamente quello di trarre da tali cloni cellule staminali embrionali compatibili con quelle del “donatore” di nucleo. Eppure, oltre ai menzionati insuccessi della ricerca con staminali embrionali, l’utilizzo di tali cellule provenienti da cloni presenterebbe i rischi di anomalie associati alla pratica stessa del trasferimento di nucleo, che potrebbe produrre embrioni vitali ma con cellule anomale, cioè portatrici di errori genetici dovuti alla mancanza del rimescolamento cromosomico proprio del processo di fecondazione.

Nella clonazione, infatti, il punto di partenza non sono i patrimoni genetici materno e paterno, presenti in numero dimezzato nei gameti che si uniscono per formare il nuovo individuo, ma unicamente quello dell’individuo “originale”, da cui si trae il nucleo di una cellula somatica per introdurlo in una cellula uovo enucleata e attivata mediante un procedimento chimico.

Tale modalità riproduttiva asessuata esiste in natura come forma primitiva di propagazione della specie, appunto per il minore apporto di “novità” dovuto alla mancanza di un doppio corredo cromosomico cui attingere. Le infinite combinazioni geniche realizzabili a partire da due gameti sono un sistema ingegnoso ed efficace per assicurare la biodiversità necessaria alla salute del genere umano e contribuiscono all’unicità dell’identità (non solo biologica) della persona umana.

Laddove il rimescolamento genetico è ridotto da frequenti matrimoni con consanguinei è stata verificata la presenza di un maggior numero di patologie di origine genetica e congenita. Questo è ad esempio un problema presente nella cultura islamica, dove i matrimoni fra cugini di primo grado sono comuni. Le autorità di vari paesi islamici, in conseguenza di ciò, tentano di scoraggiare la deprecabile consuetudine.

Non si tiene dunque in adeguata considerazione il fatto che i problemi genetici derivati dalla scarsa o mancata innovazione genomica nella riproduzione si possono manifestare anche nella clonazione effettuata a scopo di ricerca, dal momento che cellule di cloni utilizzate per eventuali terapie su soggetti umani prolificherebbero, portando probabilmente più patologie di quante si speri di curare (cfr. Booth,P.J. et al., Numerical chromosome errors in day 7 somatic nuclear transfer bovine blastocysts, “Biology of Repropduction”, 68, 2003, pp. 922–928).

Anche se tali ricerche fossero foriere di buoni risultati applicativi, resterebbero gravemente immorali per la alterata produzione e sistematica soppressione di esseri umani allo stato embrionale. Ma curiosamente mali morali estremi e ribellione della “natura” vanno spesso di pari passo.

Così, si può affermare con sicurezza che uccidere vite umane innocenti deliberatamente è un crimine che non conosce attenuanti o giustificazioni, e la cui gravità ha necessariamente pesanti ripercussioni sugli uomini che compiono tali atti e su tutta la società. La distruzione programmata degli embrioni in vitro, talora creati appositamente a questo scopo, e addirittura clonati per sottolinearne il valore puramente strumentale, non produrrebbe un reale progresso nella ricerca scientifica, mentre sopprimerebbe la dignità umana in due modi: nella vita fisica dei piccoli clonati e nell’interiorità della coscienza dell’uomo, sacrificate a un delirio di onnipotenza faustiano.

 

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Limiti etici e opportunità della genetica
Parla il professor Augusto Pessina, Docente di Microbiologia

ROMA, lunedì, 21 febbraio 2005 (ZENIT.org).- Si possono sacrificare embrioni per salvare altre vite? E’ vero che le cellule staminali embrionali sono più efficaci di quelle adulte? Quando inizia la vita, al concepimento, o più tardi? E se non inizia al concepimento come può essere definito l’embrione e che diritti ha?

Per cercare di approfondire e chiarire i termini della discussione ZENIT ha posto alcune domande ad un esperto, il professor Augusto Pessina, Docente di Microbiologia e responsabile del Laboratorio di Colture Cellulari, Istituto di Microbiologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Milano, Vice-Presidente della Associazione Italiana Culture Cellulari (AICC) , branch nazionale della European Tissue Culture Society (ETCS) e membro dello Scientific Advisory Board of NICB (National Institute for Cellular Biotechnology), Università della città di Dublino (Irlanda).

Circa la pretesa di alcuni a poter sviluppare e condurre esperimenti sugli embrioni, sulla base della convinzione che le cellule staminali embrionali potrebbero guarire diverse gravi malattie, il professor Pessina ha detto che: “Tutti i successi raggiunti finora (non solo sperimentali ma anche in clinica) li dobbiamo alle staminali da adulto”.

“L’applicazione clinica di queste cellule staminali somatiche ha già dato risultati apprezzabili in campo ematologico ed è ricca di prospettive anche in altre numerose patologie soprattutto perché la possibilità di usare cellule autologhe elimina i problemi immunologici quali il rigetto”, ha proseguito.

“Già si impiegano in clinica sia cellule staminali che progenitori a ristretta potenzialità differenziativa per rigenerare i componenti ematici, la cute, i tessuti osseo e cartilagineo (anche mediante biomateriali di supporto alla crescita cellulare ) e i risultati ottenuti con staminali somatiche (da midollo osseo, sangue cordonale, muscolo, tessuto nervoso ed altre nicchie) sono veramente notevoli sia in studi preclinici che , in alcuni casi, clinici”.

“Anche in Italia numerosi interventi compiuti con staminali adulte stanno suscitando tante speranze. E perfino in Brasile sta iniziando uno studio che prevede 600 pazienti con gravi cardiopatie selezionati per essere trattati con cellule staminali autologhe”, ha raccontato.

“Se si vuole accelerare l’uso clinico soprattutto per quelle terribili malattie degenerative del sistema nervoso – ha proseguito il professore –, occorre investire su queste linee di ricerca che hanno già dato risultati positivi nell’animale”.

“E’ molto interessante che sia nata in Italia una associazione che sostenga la ricerca sulle staminali adulte che trova tra i primi promotori Loris Brunetta , presidente della associazione talassemici”, ha affermato sempre a ZENIT il professor Pessina.

“Certo occorrerà anche vigilare perché non si faccia della sperimentazione incontrollata! Ma ormai ogni giorno le riviste scientifiche riportano risultati di grande interesse che riguardano quasi esclusivamente le staminali adulte e non le cosiddette cellule staminali embrionali”.

A questo proposito, il professor ha sottolineato che “è essenziale fare chiarezza su termini che da un punto di vista biologico sono sbagliati perché non si possono chiamare ‘staminali’ le cellule della ‘inner massa’ di un embrione allo stadio di blastocisti!”, ha precisato Pessina.

“Le vere cellule staminali – ha continuato il professore – sono quelle ‘somatiche’ che rappresentano, per loro intrinseca natura, le cellule a funzione omeostatica in grado cioè di rigenerare i tessuti danneggiati o comunque soggetti a rinnovo come avviene fisiologicamente per i numerosi compartimenti di un organismo adulto sano”.

“Le cellule embrionali di cui si parla sono totipotenti ed hanno una funzione cellulare completamente diversa: esse sono finalizzate ad originare non solo tutti i tipi cellulari ma anche la loro strutturazione tridimensionale in organi ed ancora a stabilire quelle relazioni adeguate alla ‘generazione’ di un individuo completo sia dal punto di vista biologico che psicologico”.

“Proprio questa totipotenza rende, tra l’altro, queste cellule embrionali molto più difficili da governare con più possibilità di sfuggire al controllo e per esempio dare origine a tumori”, ha spiegato.

Alla domanda se l’embrione è una persona, il professor Pessina ha illustrato due punti-chiave: “Primo, la vita umana inizia con la fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo, nel ventre materno o in laboratorio e va quindi difeso il suo diritto alla vita e all’esclusività e all’inviolabilità del patrimonio genetico”.

“Secondo è vietato eliminare una vita umana anche allo scopo di curarne un'altra”.

Nella “Dichiarazione sulla produzione e sull’uso scientifico e terapeutico delle cellule staminali embrionali umane” della Pontificia Accademia per la Vita (24 agosto 2000), si afferma che anche se dall’asportazione della massa cellulare interna della blastocisti – causa della morte dell’embrione –, potesse scaturire un bene per altri, ciò non giustificherebbe la violazione dei diritti umani insita in questa pratica: “Un fine buono non rende buona un’azione in sé cattiva”.

Pessina nel chiarire il primo di questi due punti ha affermato che esso “ha solide basi biologiche perché dalla fecondazione alla nascita il processo biologico rappresenta un ‘continuum’ indiscutibile e come sostiene Moraczewski,1983 ‘il feto è persona fin dal momento in cui si costituisce la prima cellula dell’individuo, lo zigote’, quindi lo zigote è una persona umana esistente in atto” .

“Purtroppo molte posizioni ideologiche, dalle quali non sono esenti scienziati di fama, hanno cercato di volta in volta di scardinare questa posizione netta e lineare perché la sua demolizione farebbe cadere ogni remora giuridica e morale permettendo di trattare gli embrioni come un normale insieme di cellule paragonabili a quelle delle unghie! Ma dal punto di vista biologico non è così”, ha continuato.

In merito alla legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, il professor Pessina ha affermato che: “Il merito centrale è quello di aver posto alcune regole chiare laddove non ne esistevano”.

“Regole che in qualche modo cercano di mediare tra la dignità della madre e della coppia e quella del concepito che non è considerato un ‘ammasso’ cellulare ma un soggetto di diritto”.

“Sicuramente essa evita che vi possano essere embrioni congelati il cui destino è nella quasi totalità la morte”. Si stima che all’incirca siano 150.000 gli embrioni crioconservati.

Qualora i referendum abrogativi avessero esito positivo, Pessina è convinto che “sarebbe un danno enorme: Prima di tutto dal punto di vista educativo della coscienza di tutti. Questo ci farebbe non solo ritornare senza regole ma farebbe passare in molti quella ‘falsa coscienza’ di aver fatto un passo avanti verso la ‘libertà’ e i diritti civili”.

“Ma che passo di libertà sarebbe quello di un popolo che non tutela la vita umana e usa i suoi figli per farne degli esperimenti scientifici? Sarebbe peggio di prima della legge perché parrebbe come automaticamente stabilito che l’embrione non ha diritti”, ha spiegato poi.

“Si ritornerebbe per esempio al congelamento di enormi quantità di embrioni che molti, abituati alle catene di montaggio, chiamano ‘di scarto’, e la cui presenza ispirerebbe all’infinito quel sentimento umanitario che porta molti a dire ‘ormai ci sono’ quindi usiamoli al meglio”.

“Che tradotto significa uccidiamoli invece che lasciarli morire e usiamo le loro cellule per le ricerche biomediche”, ha detto Pessina.

Il professore ha quindi richiamato una immagine molto cruda usata dal grande biologo Erwing Chargaff poco prima di morire, il quale sosteneva “quello che vedo nel prossimo futuro è un gigantesco mattatoio una Auschwitz molecolare, in cui anziché denti d'oro verranno estratti enzimi ed ormoni”. “Speriamo che la sua profezia non si realizzi”, ha commentato il professore.

Su come voterà ai referendum Pessina ha risposto: “Poiché come è stato sottolineato da qualcuno non andare a votare significa dare più forza al ‘no’ io non andrò a votare”.

“Sono convinto che sia la scelta più adeguata e democratica perché esprime anche un dissenso circa la legislazione che regola il referendum in Italia che deve essere assolutamente rivista. Non è affatto rinuncia ad un diritto ma l’estremo modo per affermarlo”, ha infine concluso.

 

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Il business dell'embrione

di Riccardo Cascioli - il Timone n. 34, giugno 2004

Dietro al paravento della ricerca scientifica "per il bene dell'umanità" si nascondono i soliti interessi economici. Un vergognoso mercato dell'embrione che spesso l'opinione pubblica ignora.
Una battaglia in nome della libertà e dell'autonomia della scienza? Un dovere per dare speranza ai tanti malati di malattie oggi incurabili? Ma per favore, non scherziamo: la verità è che dietro l'uso degli embrioni si muove un mercato dai profitti inimmaginabili, attuali e promessi.
Il professor Angelo Vescovi, direttore dell'Istituto di Ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele di Milano, lo ha denunciato pochi mesi fa riferendosi alla ricerca sulle cellule staminali embrionali: «Ci sono in gioco fortissimi interessi economici, grandi multinazionali che spingono perché nei laboratori si possa procedere liberamente nella direzione della ricerca sulle staminali embrionali. Il business delle linee staminali embrionali si sta sviluppando soprattutto in Gran Bretagna e nei Paesi in cui questi esperimenti sono permessi».
Basta vedere la battaglia scatenatasi per l'approvazione in ambito di Unione Europea del VI Programma quadro per la ricerca (2002-2006): il 60-70% dei progetti interessati al finanziamento europeo - secondo quanto riferito dal vice-ministro italiano dell'Istruzione, Università e Ricerca scientifica, Guido Possa - riguardano proprio la ricerca sugli embrioni. Valore: 8-10 miliardi di euro. Se consideriamo che stiamo parlando soltanto dell'Europa e soltanto dei fondi pubblici comunitari, possiamo intuire che vorticoso giro economico ci sia dietro alla ricerca sull'embrione. "La corsa all'oro del XXI secolo si chiama brevettazione delle scoperte genetiche", disse qualche anno fa il neurologo e scrittore Guglielmo Brayda. Non sono neanche immaginabili, infatti, i guadagni dei primi laboratori che riusciranno a produrre "pezzi di ricambio" per i vari organi umani.
Quando CloneAid - il laboratorio legato alla setta dei Raeliani - ha annunciato nel dicembre 2002 l'avvenuta clonazione (peraltro mai provata) di un essere umano ha visto schizzare i suoi profitti alle stelle. CloneAid infatti già offre da anni i "servizi" di vendita di ovuli umani (5mila $), di "banca delle cellule" (50mila $) e di clonazione di bambini (200mila dollari). Sono almeno qualche centinaio le persone già in lista d'attesa, con guadagni solo per CloneAid stimati in almeno 50 milioni di dollari.
Ma il mercato dell'embrione non si limita alla ricerca sulle cellule staminali e ai fantasmagorici possibili guadagni futuri; al contrario esiste un fiorentissimo commercio legato soprattutto al desiderio di figli di chi non può averli naturalmente. Casi che hanno fatto parlare molto sono ad esempio quelli degli "uteri in affitto", con annessi "viaggi della speranza" in alcuni stati americani dove la pratica è ammessa. Grande scalpore suscitò nel 2000 il caso della coppia italiana che spedì (per corriere) cinque embrioni negli Usa per essere impiantati nell'utero di una donna, che poi ha dato alla luce una coppia di gemelli, ovviamente riportati in Italia. Costo dell'operazione: 150mila euro, di cui 25mila quale compenso per la donna che ha prestato il suo utero.
Meno clamoroso, ma ormai molto comune invece, l'uso degli embrioni per la fecondazione in vitro. Con un importante risvolto: un famoso ricercatore britannico, Robert Winston, ha ammesso che la tecnica della fecondazione artificiale - proprio per i guadagni che permette - viene applicata ormai anche a donne che, con altre terapie, potrebbero concepire naturalmente. Proprio in Gran Bretagna un trattamento per la fecondazione artificiale costa almeno 3mila euro, con il risultato - dice Winston - che nessun dottore ha più interesse a curare l'infertilità.

 

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Associare la battaglia per il referendum alla difesa della libertà di ricerca è una "mistificazione"

http://staminali.aduc.it/php_newsshow_0_4090.html

Associare la battaglia per il referendum contro la legge 40 sulla procreazione assistita alla difesa della liberta' di ricerca e' una "mistificazione". Parola di uno dei massimi esperti nel campo della ricerca sulle staminali, il co-direttore dell'Istituto per la ricerca sulle cellule staminali del san Raffaele di Milano, Angelo Vescovi. "C'e' l'idea preconcetta che alla scienza e' permesso assolutamente tutto. In realta' alla scienza deve esser permesso moltissimo, ma essa vive nella societa' in cui si sviluppa e deve saper stare alle regole che la societa' le impone nell'ambito di una discussione equilibrata". Dare delle regole alla scienza, come nel caso della legge 40 sulla procreazione, ha proseguito il ricercatore, "non significa violare la liberta' di ricerca". Quindi, "marcare la battaglia del referendum come una battaglia in favore della liberta' di ricerca e' una mistificazione, anche perche' l'alternativa esiste ed e' rappresentata dalla ricerca e l'utilizzo delle cellule staminali adulte".

 

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Non sempre tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente ammissibile

Intervento di un ginecologo italiano su “Procreazione assistita: problemi e prospettive”

ROMA, martedì, 15 febbraio 2005 (ZENIT.org).- “Non sempre tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente ammissibile. Il bene morale è di gran lunga superiore al bene materiale”, ha affermato il dottor Orazio Piccinni, medico chirurgo, specialista in Ostetricia e Ginecologia a Bari.

In una Comunicazione presentata al Convegno “Procreazione assistita: problemi e prospettive” svoltosi a Roma all’Accademia dei Lincei, lo scorso 31 gennaio, il dottor Piccinni nel raccontare di quando nel 1989 praticava la Fecondazione in Vitro (FIVET), ha affermato: “Mi sono sentito molto potente, pervaso da quel delirio di onnipotenza che gli operatori del settore conoscono bene specialmente quando si annuncia ad una coppia sterile l’esito positivo”.

“Un po’ più tardi però la mia potenza si è trasformata in angoscia dovuta all’impossibilità di realizzare fino in fondo il progetto di vita per la gran parte degli embrioni prodotti (90 su 100). Mi sono convinto allora che l’amore vero comincia quando il figlio è concepito secondo i giusti canoni della dignità umana, nel matrimonio e in un rapporto unitivo e procreativo”, ha affermato.

Il ginecologo ha sottolineato che “se si considera il feto come paziente, si deve anche rispettare l’embrione, suo precursore, come persona e paziente nella procreazione assistita”.

“Tale rispetto dovuto, non è solo appannaggio dei cattolici, ma di tutti i laici e dello stato laico, fondato su nobili principi a tutela della vita fin dal concepimento ( lo afferma perfino la legge 194/’78)”.

Piccinni ha continuato precisando che “l’embrione, è un soggetto di diritti, soggetto particolarmente debole e quindi non in grado di difendersi da solo” e che è imbarazzante constatare i cambiamenti nel linguaggio (preembrione, ammasso di cellule, prezigote, ootide, ovulo fecondato, ovulo) per “stravolgere gli stadi iniziali naturali della vita umana”.

Dopo aver spiegato come già nei primi minuti e nelle prime ore in seguito all’unione di spermatozoo e ovulo si definisce dove spuntano la testa e i piedi e da quale parte si formerà la schiena e la pancia ovvero gli assi del corpo, il ginecologo ha rilevato come “anche se i due nuclei non si sono ancora fusi, questi stanno già dialogando con messaggi”.

Messaggi, ha spiegato, “per mezzo dei quali si scambiano le informazioni necessarie al processo la cui totale autonomia e il cui evidente finalismo unitario sono già più che evidenti manifestazioni di una individualità e di una identità uniche e nuove che non muteranno nel tempo”.

Piccinni ha messo in guardia sui rischi della FIVET che “prevede il sacrificio di un gran numero di embrioni”. Inoltre, “molti test positivi di gravidanza sono destinati precocemente a negativizzarsi a causa di un aumentato numero di aborti biochimici o clinici nei primi tre mesi”. Risulta quindi che “su cento embrioni prodotti ne nascono massimo quindici” e spesso “le pazienti non conoscono questo dato, così come l’aumento dal 2 al 6 % delle malformazioni”.

“Se io fossi un embrione pretenderei più garanzie di sopravvivenza. In questo senso la FIV, per numero di vite soppresse, è indubbiamente peggiore della interruzione di gravidanza”, ha affermato il ginecologo.

Piccinni ha quindi attaccato la soppressione degli embrioni nella “selezione eugenetica preimpianto” prevista dalla FIV, per “il mancato rispetto della vita”. Affermando che avviene così che embrioni – pazienti malati di thalassemia, vengano immolati per curare e dare la vita a quelli non thalassemici.

“Mi chiedo – ha concluso il ginecologo – il thalassemico non ha il diritto di vivere e nascere se concepito? Specialmente con le migliorate aspettative di vita attuali. Guarire una persona, eliminandone un’altra, è un paradosso imperdonabile, così come accade nella clonazione terapeutica”.

 

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INTERVISTA a Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita: «Referendum, astensione militante»

da Avvenire (Marina Corradi)

Il presidente del Movimento per la vita spiega la scelta, non ancora formalizzata, di far  mancare il quorum

Ha detto l'onorevole Andreotti: al referendum bisogna votare, e votare no. Replica Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita e fra i massimi punti di riferimento del fronte in difesa della legge 40: «Non esiste alcun impegno morale di votare. L'astensione è un comportamento pienamente legittimo. In ogni caso è importante che quanti sono mossi dall'obiettivo comune di conservare questa legge facciano, circa l'astensione o il voto, una scelta identica, e tutti poi vi si adeguino. Se si decide per l'astensione, come sembra molto probabile, andare poi a votare no da parte di alcuni cattolici sarebbe una scelta irresponsabile». Un boomerang da psicanalizzare. 

La decisione per l'astensione non è nei fatti già presa?

Non formalmente. Ci si riunirà attorno a un tavolo, se ne discuterà ancora. Per quanto mi risulta, però, il 90% del fronte cattolico è propenso a non andare a votare. 

Andreotti sembra sollevare una questione di principio: i cattolici vanno, sempre, a votare.

Questo è vero per le elezioni politiche. Per il referendum si va sì alle urne ma per tutt'altra cosa: non si tratta di scegliere i propri rappresentanti, ma di abrogare una parte di una legge approvata in Parlamento. Impossibile non cogliere la differenza. Non fare scattare il quorum è un meccanismo pienamente democratico, si usa in Parlamento e si può dunque usare anche in una consultazione popolare. Mi lasci aggiungere poi che il raggiungimento o no del quorum è comunque una questione di democrazia formale. La democrazia sostanziale invece è, come dice il Papa, l'uguaglianza fra tutti gli esseri umani. La legge 40 tratta appunto di questa questione di democrazia sostanziale, il che renderebbe, qualora già non lo fosse pienamente nell'ottica dei meccanismi della democrazia, comunque moralmente lecita l'astensione. Una finezza, anche questa, che non può sfuggire. 

Ricorrere all'astensione, potrebbero dire gli avversari, significa avvalersi anche del peso di quelli che non sanno, di coloro a cui la questione non interessa, di chi andrà al mare, quel giorno.

Personalmente non trovo così criticabile, di fronte a una materia complessa come la procreazione assistita, chi non se la sente di cancellare la delega affidata col voto al Parlamento. Dopo un lungo lavoro il Parlamento ha approvato una legge, e chi non si sente sufficientemente competente, non votando, può anche significare: mantengo la mia delega, mi fido. Legittimo. Piuttosto, mi auguro che l'astensione come in altri casi possa castigare la tendenza all'abuso dello strumento referendario. Perché prendere una legge come questa, dibattuta e combattuta come questa, e metterla - per esempio per quanto riguarda la ricerca sugli embrioni - dentro un quesito di referendum, un semplice sì o no, è affidare alla volontà della maggioranza qualcosa di enormemente delicato e complesso. 

I primi sondaggi in circolazione dicono che per tre dei quesiti il "sì" all'abrogazione è di poco in vantaggio, mentre per quanto riguarda i diritti dell'embrione sarebbe in maggioranza il "no". Questi numeri non vi fanno pensare che forse si potrebbe rischiare il confronto?

Non credo troppo a questi sondaggi. Non vorrei che fossero degli specchietti per allodole. Ti fanno credere una cosa per ottenerne un'altra. Colgo in giro un certo gusto per la confusione. Ai cattolici si richiede un supplemento di consapevolezza. Ad errori antichi non aggiungiamone di nuovi, complici i media laicisti. 

La scelta dell'astensione non potrebbe comunicare all'esterno un'idea di debolezza, di arroccamento, di rifiuto della battaglia aperta? Qual è la percezione delle proprie forze all'interno del fronte pro legge 40?

Nessuna debolezza. L'astensione che abbiamo in mente è astensione militante. Tutto il contrario che lavarsene le mani. Certo, se non avessimo di fronte la situazione mediatica che vediamo, per cui su questa legge si è fatta una grande opera di disinformazione e di bugie, forse saremmo arrivati a conclusioni diverse. Ma stando le cose come stanno, astensione significa un profondo impegno a difendere la legge 40. Con la coscienza, che vado scoprendo ovunque in giro per l'Italia, di lavorare a una battaglia che finalmente unisce al di là dei partiti, e crea una nuova e insperata intesa anche con parte della cultura laica. 

Astensione, dunque. Senza paura di analogie con casi precedenti, di craxiana memoria. Lei cosa proporrebbe di fare a chi non andrà a votare quel giorno?

Ho in mente qualcosa, forse un grande pellegrinaggio ad Auschwitz, il luogo massimo della discriminazione dell'uomo sull'uomo. Vorrei un gesto, per quel giorno, clamorosamente laico. 

 

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Eugenetica ed eutanasia pediatrica

ROMA, domenica, 13 febbraio 2005 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo per la rubrica di Bioetica l’intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

Che cosa accomuna la “genetica buona” prefigurata dai referendum sulla procreazione medicalmente assistita e la “buona morte” praticata legalmente in Olanda? A prima vista, la distanza tra le due sembrerebbe notevole: la selezione preimplantatoria su base genetica intende eliminare embrioni cui viene perfino negato lo statuto personale, mentre l’eutanasia olandese è offerta su richiesta a pazienti consapevoli, in stato terminale, colpiti da sofferenze intollerabili, e dopo attento consulto medico.

Si tratterebbe insomma di problematiche molto diverse, accomunate solo dal “buon senso” con cui si impediscono forme di assistenza considerate - estensivamente - di accanimento. Perché far nascere bambini malati o deformi? Perché condannare un morente a prolungare le sue sofferenze? Difendere la vita in queste circostanze, si dice, è “crudele”.

La questione si fa particolarmente interessante quando, per ragioni anagrafiche, i due ambiti si avvicinano, arrivando quasi a toccarsi. Certi neonati prematuri, ad esempio, sono praticamente dei feti fuori dell’utero, gravati da serie patologie e da danni talora permanenti, e spesso sono anche dei morenti, le cui sofferenze sono oramai da tutti riconosciute (cfr. C.V. Bellieni, L’alba dell’«io». Dolore, desideri, sogno, memoria del feto, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2004). Frequentemente la loro prematurità è conseguenza di “selezioni mancate”, cioè di anomalie genetiche già diagnosticate durante la gestazione, e – se passasse il referendum sulla diagnosi genetica preimplantatoria – individuabili anche prima.

D’altra parte, tanti morenti che chiedono – e in alcuni paesi ottengono – di morire per porre fine alle loro sofferenze non sono così liberi come sembra. La maggior parte di loro, infatti, accuditi da personale e famigliari amorevoli, assistiti da cure palliative adeguate, revocano spontaneamente le loro richieste eutanasiche. Altri, invece, non chiedono nemmeno di morire, eppure vengono sollecitamente “aiutati” ad anticipare la morte. Significativamente, ciò avviene soprattutto dove l’eutanasia è stata legalizzata per “regolamentare” pratiche già invalse nell’uso ed uscite dalla “clandestinità”.

Proprio in Olanda, infatti, la percentuale di eutanasie non consensuali è straordinariamente alta, sebbene non precisamente quantificabile in quanto non contemplata, anzi esclusa, dalla legge vigente. Ai malati in fase terminale vengono infatti sospese come prassi comune l’alimentazione e l’idratazione artificiali, considerate “inutili”, e vengono aumentate le dosi di sedativi allo scopo di affrettare la morte, ritenuta in molti casi la miglior “soluzione”.

Le cure palliative sono scarsamente praticate, dal momento che l’eliminazione del paziente rappresenta un metodo più rapido ed economico di gestione della malattia terminale, e che la condizione del morente viene per lo più ritenuta “indegna di essere vissuta”.

Particolare scalpore ha suscitato, il 30 agosto 2004, la notizia del protocollo sperimentale avviato da una clinica di Groningen che, d’accordo con la magistratura, aveva ricevuto l’autorizzazione ad applicare la pratica dell’eutanasia anche ai bambini sotto i dodici anni segnati da gravi patologie e malformazioni, compresi i neonati, che immediatamente sono divenuti i destinatari privilegiati della “sperimentazione”. L’iniziativa non è rimasta un caso isolato: a fine novembre l’ospedale universitario di Groningen ha messo a punto le linee-guida ad uso dei propri operatori per eseguire l’eutanasia pediatrica, e a dicembre l’Associazione dei Medici Olandesi ha chiesto al Ministro della Salute di offrire lo stesso strumento a tutti i medici dei Paesi Bassi.

Come un’onda che si propaga, anche il Belgio sta considerando attentamente l’estensione dell’eutanasia ai bambini e in generale ai non consenzienti, mentre altri paesi europei si stanno loro affiancando per ridurre a loro volta “il numero dei disabili”. Ci si chiede persino se non sia il caso di consentire l’eutanasia volontaria a chi, pur non affetto da insopportabili dolori fisici, ritiene che la sua vita non abbia più valore, cioè sia afflitto dal “male di vivere” più che da una malattia in senso canonico.

Già nel 1997, un sito inglese pro-life riportava il caso di una donna olandese cinquantenne, malata di cancro della mammella con metastasi ossee, epatiche e polmonari, che non voleva essere ricoverata per timore di essere “pietosamente” uccisa. Il medico che la seguiva l’aveva rassicurata a riguardo. Eppure, è bastata una sua assenza di qualche ora dall’ospedale perché un collega, ignaro dei timori della donna, aumentasse le dosi di morfina fino a causarne celermente la morte, che con un normale dosaggio – pur essendo perfettamente efficace nel togliere il dolore – non sarebbe sopraggiunta prima di una settimana. Una settimana che la donna avrebbe voluto vivere per intero.

In altre parole, a meno di tre anni dall’entrata in vigore della prima legge al mondo sull’eutanasia – quella olandese del 2002 – la “dolce morte” ha abbandonato il volto con il quale si era presentata, quello “democratico”, e ha rivelato il vero volto, tragicamente simile a quello con cui si era manifestata in tutta la sua violenza fra il 1939 e il 1941 in Germania: quello dell’eutanasia “di Stato”, in cui la legge decide che alcune persone, in quanto malate, disabili, deformi o incompetenti non sono degne di vivere.

In controtendenza è stata la tempestiva Mozione del Comitato Nazionale per la Bioetica italiano, con la quale, il 28 gennaio 2005, il Comitato ha voluto prendere radicalmente le distanze da simili comportamenti, precisando come “all’infuori dei casi di rinuncia all’accanimento terapeutico, ogni intervento di carattere intenzionalmente eutanasico nei confronti di minori, non sia lecito né bioeticamente né giuridicamente” (Comitato Nazionale per la Bioetica, Mozione sull’assistenza a neonati e a bambini afflitti da patologie o da handicap ad altissima gravità e sull’eutanasia pediatrica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 28 gennaio 2005, n. 5).

In particolare, si riafferma la condanna totale dell’eutanasia “a carico di bambini nati con handicap, anche particolarmente severi, dato che la compromissione della cosiddetta qualità della vita non ne giustifica in alcun caso, né eticamente né giuridicamente, la soppressione” ( ibidem).

Varie sarebbero infatti le conseguenze aberranti della pratica: esse costituirebbero “una biasimevole pratica selettiva”, indurrebbero una minore percezione del “dovere di solidarietà sociale verso i portatori di handicap e lo loro famiglie”, e infine “potrebbero demotivare la ricerca nei confronti della prevenzione e della terapia dell’handicap medesimo” (( ibidem).

Sulla stessa linea si muoveva un intervento dell’Accademia Americana di Pediatria (AAP) nel 2000. In relazione all’esigenza di sviluppare le cure palliative nei bambini (che richiedono spesso metodologie specifiche), l’Accademia precisava che “l’AAP è preoccupata per i dati relativi all’eutanasia non consensuale di bambini e neonati e al suicidio assistito per gli adolescenti. L’AAP non condivide la pratica del suicidio assistito e dell’eutanasia per i bambini e per gli adolescenti” (America Academy of Pediatrics, Palliative Care for Children, “Pediatrics”, 106, 2 August 2000, pp. 351-357).

La presenza di patologie e di malformazioni, anche molto gravi, dunque, non elide la fondamentale dignità e il valore dell’essere umano dal concepimento alla morte naturale. La selezione umana su qualunque base (genetica, sanitaria, morfologica, razziale, politica, religiosa) è uno dei prodotti più aberranti della volontà di potenza e di dominio dell’uomo sull’uomo, ossia dell’uomo sganciato dall’imprescindibile riferimento alla realtà.

Gettare un embrione “anomalo” (eutanasia preimplantatoria), ridurre selettivamente una gravidanza (eutanasia prenatale), effettuare l’eutanasia neonatale, infantile, e qualunque pratica eutanasica e selettiva nei confronti degli esseri umani: sono crimini le cui conseguenze non mancheranno di manifestarsi pesantemente.

Perché la società civile possa essere davvero a misura d’uomo, i sofferenti, infatti, “vanno difesi, come soggetti deboli, contro tutte le indebite e violente prevaricazioni che possono essere poste in atto nei loro confronti e che ne minaccino il loro diritto alla vita” (Comitato Nazionale per la Bioetica, Mozione…cit., n. 6).

 

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La morte della moralità

Benjamin D. Wiker - Articolo pubblicato su Crisis (Luglio/Agosto 2004) con il titolo The Death of Morality

 E' difficile ottenere attenzione in un era che usa superlativi per descrivere i detersivi e la maionese. Forse parlare in modo semplice e diretto potrebbe rivelarsi una tale stranezza che le parole potrebbero recuperare il potere che appartiene loro. Eccovi serviti: incombe ora su di noi la più grande crisi morale che ci sia mai stata.

Non mi riferisco alla strage quotidiana di migliaia di bambini o all'interminabile parata di novità carnali che sulle piazze urlano per un  riconoscimento; e neanche alla ridefinizione del matrimonio per includere l'indefinita unione di qualsiasi cosa. Queste sono conseguenze, in diversa misura, della crisi morale che attraversiamo.

La reale crisi morale è questa: che noi, fra tutti gli esseri umani che abbiano mai vissuto, siamo di fronte alla fine della moralità come tale. L'aborto e l'infanticidio esistevano anche prima, come l'omosessualità e la pedofilia. La monogamia eterosessuale vita natural durante era soprattutto un mandato cristiano e quindi non è difficile trovare nella storia variazioni sulla definizione di matrimonio. Se questi mali fossero tutto ciò che ci affligge, noi ci troveremmo di fronte solo ad una brutta ricaduta nelle tenebre del paganesimo. Ma al di sotto di questi mali giacciono delle tenebre in confronto alle quali persino le tenebre del paganesimo sono luce: il rifiuto della natura umana  stessa e quindi il rifiuto di tutta la moralità.

 

Le vere tenebre

E' difficile mettere a fuoco il cuore di queste tenebre quando i nostri occhi devono continuamente abituarsi a nuove ondate di tenebra morale. Ci sono ancora alcune forme ed elementi  visibili nell' attuale panorama morale, e i nostri occhi possono distinguere le cose grazie a quel poco di luce che rimane. Ad esempio, noi giudichiamo il matrimonio omosessuale una distorsione del matrimonio eterosessuale. Tuttavia, se vogliamo avere qualche speranza di una nuova alba, dobbiamo riconoscere quella tenebra "senza forma e senza sostanza" nella quale, come in un vorace buco nero, la luce è così rapidamente fagocitata. Per quanto difficile, quindi, dobbiamo capire cosa significhi rigettare la natura umana, cioè, trattare gli esseri umani come se, in definitiva, fossero una cosa "senza forma e senza sostanza".

Come fare? Come mettere a fuoco ciò che equivale a una negazione? Forse per mezzo di un'illustrazione. Recentemente, alcuni scienziati guidati da Tomohiro Kono, un biologo dell'Università dell'Agricoltura di Tokyo, hanno creato cuccioli di topo senza l'introduzione di sperma. Hanno fatto questo usando due ovuli femminili e "truccando" geneticamente uno di essi affinché funzionasse come se i suoi geni venissero da uno spermatozoo. Ci sono voluti 457 ovuli "ricostruiti", 371 dei quali sono sopravissuti per essere impiantati nelle femmine, 10 dei quali hanno dato luogo a una gravidanza. Solo uno, una femmina chiamata Kayuga, è diventato adulto - e, piuttosto stranamente, dopo essersi accoppiata con successo con un maschio, ha avuto una cucciolata alla vecchia maniera. Il titolo più frequente per la storia di Kayuga? "La fine dei maschi".

Pensate che sia lunga la strada dai topi all'uomo? Allora non conoscete la vera storia delle tecniche di fertilizzazione in vitro iniziate con i topi ed ora normalmente usate sull'uomo.  La fertilizzazione in vitro fornisce, invece, un'altra storia carina sullo stesso punto. Quando ero un adolescente, non molto tempo fa, c'era una battuta basata sulla tendenza dei sociologi  ad annunciare l'ovvio come se fosse una rivelazione statistica. "Il 50% delle persone sposate sono donne" proclamavamo con scientifica magnificenza. Questo succedeva prima che gli uomini volessero sposare altri uomini o, ancora più importante, prima che due donne potessero evitare il matrimonio con un maschio grazie alla fertilizzazione in vitro.

La negazione della mascolinità significa la fine di tutte le distinzioni morali basate sulla sessualità. Lungo tutta la storia dell'umanità, la distinzione fra maschio e femmina è stata la distinzione principale nonché la più naturale, ed è quella sulla quale si fonda ogni distinzione morale riguardo la sessualità e il matrimonio (per quanto maldestramente siano state tracciate e difese queste distinzioni). Se la distinzione maschio / femmina non è più né necessaria né naturale, allora tutte le distinzioni morali che provengono da essa devono nello stesso modo essere distrutte. Un divieto del matrimonio gay non sarà necessario, il matrimonio stesso sparirà presto alla stregua della carta pergamena, delle carrozze e dei fonografi.

Quello che abbiamo di fronte, quindi, è la sostituzione più veloce che ci sia mai stata delle questioni morali con delle questioni tecniche, cosicchè la domanda morale "Dovremmo fare questo?" lascia il posto alla domanda puramente tecnica "Possiamo fare questo?". Siccome il "possiamo" diventa sempre più efficace tecnicamente, il "dobbiamo" esalerà il suo canto del cigno, appassirà e poi sparirà.

 

Genesi incompiuta

Dobbiamo considerare da un punto di vista teologico questo fenomeno senza precedenti per poterne vedere tutta la sua portata. Ciò per cui stiamo lottando, con capacità tecniche sempre più grandi, è il completo smantellamento di ciò che Dio ha così stabilmente ordinato nella creazione. E' come se ora vedessimo la storia della creazione al contrario, ciò che ha forma torna informe, la luce torna tenebra.... Per tornare al nostro esempio, tutte le distinzioni  morali riguardo la sessualità ( la capacità naturale di procreare, di "diventare una sola carne" (Gen 2,24) nell'unione di un uomo ed una donna) vengono dalla sessualità stessa. Da questa distinzione fondamentale deriva non solo la vera definizione di matrimonio e la sua perfezione, ma anche la proibizione dell'adulterio, del sesso prima del matrimonio, dell'omosessualità, della contraccezione, dell'incesto, della masturbazione, della bestialità e della pornografia. Ciò che viene proibito è, in un modo o nell'altro, una perversione della fondamentale distinzione sessuale naturale.

Senza questa distinzione non può emergere nessuna distinzione morale. Gli angeli, come puri spiriti, non sono divisi in maschio e femmina. Non è loro proibito l'adulterio perché non possono commetterlo. Non sono tormentati dalle controversie sull'omosessualità perché non hanno sesso.

Diamo in mano all'uomo il mezzo tecnico per manipolare la sessualità umana come argilla (formare uomini dalle donne e donne dagli uomini con la chirurgia transgender, o fare "ossa delle mie ossa, carne della mia carne" attraverso la clonazione, o "essere fecondi e moltiplicarsi" attraverso la modificazione genetica degli ovuli ) e la naturale divisione fra maschio e femmina è pressoché cancellata. Il risultato ultimo non è la creazione di puri spiriti, ma la creazione di demoni sessuati senza genere, come il cantante rock Marilyn Manson che mescola l'appetito indiscriminato per il piacere sessuale con la brama del disordine stesso quale negazione dell'ordine creato. E' stato con grande acume teologico che Mel Gibson ha fatto apparire satana come androgino nel suo film "La passione di Cristo". L'androginia è la negazione del genere, la negazione della distinzione fra maschio e femmina voluta da Dio.

Nel cercare di rimuovere la naturale distinzione fra maschio e femmina voluta da Dio, ci siamo trasferiti dalla perversione alla ribellione cosmologica. La perversione distorce ciò che è naturale, pur presupponendolo. Gli attivisti omosessuali che ora cercano di servirsi del nome e dei vantaggi del matrimonio monogamo presuppongono che il matrimonio è un'unione permanente ed esclusiva fra due esseri umani, ma questa stessa nozione emerge dalla verità che l'unione sessuale di un uomo e di una donna produce un' unione vivente indissolubile e permanente, un figlio. Aggiriamo la necessità sessuale per un uomo e una donna di fare un figlio, copriamo la distinzione maschio / femmina con così tanta vernice, e il matrimonio come istituzione morale semplicemente cadrà in disuso. Ed eccoci arrivati alla fine del matrimonio - anche nella forma pervertita del matrimonio omosessuale.

Possiamo definire tutto questo come ribellione cosmologica e non come semplice perversione per due motivi. Primo perché non costituisce una semplice distorsione  di ciò che è naturale. L'antica omosessualità, così come la troviamo fra i greci, elevava il piacere sessuale fra uomini al di sopra del piacere sessuale fra uomo e donna, ma faceva ancora affidamento sul rapporto eterosessuale per la procreazione secondo i dettati della natura. Maschio e femmina erano distorti, ma non distrutti. Noi, d'altra parte, nella nostra ribellione contro la natura, stiamo cercando di distruggere il maschio e la femmina come tali.

Secondo perché in tutto questo si coglie più di una semplice vampata di zolfo. Come puntualizzava C. S. Lewis nel suo Screwtape Letters (Lettere a Berlicche),  satana non può creare, e poiché ogni tentativo di produrre ordine sarebbe una mera imitazione della sapienza e  potenza divine, allora il maligno distrugge per ribellione. Sembra che stiamo inesorabilmente andando verso l'abisso dell'androginia sessuale e della procreazione asessuata.  Marilyn Manson non è un caso isolato di perversione. Egli/ella è una delle facce della fine della moralità, delle tenebre verso le quali stiamo precipitando, al di là di ogni distinzione morale, al di là del bene e del male.

Ma se questa è la fine della moralità, quando ha avuto inizio il progetto di disfare tutte le distinzioni morali?

 

L'inizio della fine

Sarebbe facile incolpare il famoso filosofo Friedrich Nietzsche per aver dato inizio alla distruzione della moralità.  Fu lui, dopotutto, che notoriamente dichiarò che tutte le distinzioni morali sono arbitrarie in quanto derivanti dalla volontà di potenza di una particolare persona o nazione e non dalla natura. Da qui la sua famosa opera Al di là del bene e del male (1886)

Nonostante la sua efficace prosa filosofica e gli effetti prodotti sui suoi connazionali e sugli intellettuali liberali, la colpa non è da attribuire a Nietzsche. Nietzsche non fu un profeta filosofico, ma un astuto lettore dei tempi che raccolse e idolatrò una tendenza prometeica già esistente in occidente.

Faremmo meglio a spostarci in Inghilterra, e non in Germania, ed esaminare gli argomenti di Francis Bacon (1561-1626) e poi di Charles Darwin (1809-1882).  Bacon è giustamente considerato uno dei più importanti fondatori della scienza moderna. Sarebbe più giusto, poiché lui stesso non ebbe un laboratorio e non fece scoperte, definirlo il fondatore dell'aspetto prometeico del moderno spirito scientifico.

Bacon asseriva che sia la scienza che la filosofia si erano finora dimostrate completamente inefficaci e sterili poiché gli esseri umani avevano stupidamente ritenuto che la natura, così come si presenta, fosse il criterio sia del pensare che dell'agire. Contro questo, Bacon asseriva che "deve essere aperta una nuova via per la comprensione umana interamente differente da quella finora conosciuta". Il nuovo approccio alla natura? Sostituire l'accettazione passiva dell'ordine naturale con sperimentazioni e manipolazioni della natura in cui "attraverso l'arte e le mani dell'uomo ella (la natura personificata) è spinta fuori dal suo stato naturale e modellata." La verità quindi, non deriva dall'accettazione e dalla contemplazione della  natura; piuttosto, la verità è ciò che noi facciamo. La natura diventa l'argilla; lo scienziato, alla stregua di una divinità, diventa il vasaio che rimodella la natura secondo la sua volontà. 

Passando sopra a tutte le precedenti controversie filosofiche e teologiche, Bacon assicurava i suoi discepoli, "Sto lavorando per porre il fondamento, non di qualche dottrina o setta, ma del potere e dell'utilità dell' uomo." Il potere e l'utilità, come Nietzsche riconobbe qualche secolo dopo, non si domandano "Cosa è bene e cosa è male?", ma piuttosto "Cosa voglio?". L'importanza attribuita alla volontà va al di là del bene e del male e crea, grazie al potere tecnologico, il più grande dominio sulla natura di tutti i tempi. La domanda non è più cosa si dovrebbe fare ma cosa si può fare. Se anche Bacon non applicò i suoi argomenti direttamente sulla manipolazione della natura umana - se si esclude qualche vaga promessa sulla possibilità che la medicina avrebbe potuto garantire l'immortalità in questo mondo - non ci vuole molto per fare il passo successivo. Se la natura è come l'argilla, allora lo è anche la natura umana?

Darwin  è quasi pari a un santo per il secolarismo moderno e la venerazione culturale tributatagli ha scoraggiato i cristiani, specialmente i cattolici, dal criticarlo.  Avrebbe potuto essere diverso se avessimo capito la vera importanza della sua teoria. Se Bacon evocò lo spirito di una illimitata manipolazione tecnologica della natura , fu Darwin che si concentrò particolarmente  sulla fondamentale malleabilità della natura umana. Egli fornì l'argomento che soggiace alla apparente stabilità della natura umana, noi in definitiva siamo argilla informe plasmata e riplasmata migliaia di volte dai capricci della selezione naturale.

Darwin stesso si rese conto della natura allarmante della sua  teoria e saggiamente evitò ogni menzione della natura umana nella sua opera principale L' origine della specie attraverso la selezione naturale (1859). Il suo silenzio terminò con il suo L' origine dell'uomo e la selezione sessuale pubblicato 12 anni dopo la prima edizione de L' origine della specie. Ne L' origine dell'uomo chiarì che tutto quello che noi consideriamo specificamente umano può essere spiegato come il risultato della selezione naturale: la ragione, la moralità, la coscienza, la religione, la musica, l'arte e persino la distinzione fra maschio e femmina è derivata dallo stesso processo casuale che ha modellato la varietà di becchi dei fringillidi delle Galapagos.

Ma quello che la natura plasma per caso, l'uomo può plasmarlo per perseguire i suoi fini. Dopotutto, Darwin ricordava al lettore, tale manipolazione della natura avviene già fra gli allevatori di animali attraverso la selezione artificiale. Se ci prendiamo una tale "cura scrupolosa" dei nostri "cavalli, cani e gatti," non dovremmo applicare la scienza della selezione artificiale anche sugli esseri umani? Per il bene della razza, sosteneva Darwin, dobbiamo prendere in mano la nostra evoluzione. In tal modo Darwin difese piuttosto chiaramente l'eugenetica, sebbene fu suo cugino Francis Galton, affascinato da L' origine della specie , che coniò il termine. 

Se uniamo Bacon a Darwin, abbiamo l'essenza del tentativo contemporaneo di ricreare la natura umana secondo un'immagine sinora annunciata. Se il dimorfismo sessuale - maschio e femmina - è semplicemente il risultato delle mutazioni casuali su una catena del Dna fra i nostri antenati biologici, allora non c'è motivo di opporsi alla pressione tecnologica per ridefinire i legami sessuali o semplicemente per cancellarli del tutto.

Così  nella nostra società assistiamo a una grande divisione fra coloro che rifuggono con orrore di fronte all'ultima macabra manipolazione della natura umana considerandola innaturale e coloro che gioiscono di fronte alle stesse manipolazioni considerandole indici di liberazione dell'umanità dalla natura; fra coloro che si sottomettono felici al destino della biologia e coloro che credono che il nostro destino sia avere un completo dominio sulla biologia. Questa non è una battaglia da poco; veramente è difficile vedere quale potrebbe essere battaglia più grande.

 

La fine della morale cattolica

Se i cattolici ancora faticassero a vedere questo, forse potrebbe essere di aiuto esporre la situazione in modo più diretto. La morale cattolica si basa sulla legge naturale. La legge naturale, come ha chiarito S. Tommaso, è semplicemente la legge del nostro essere, cioé, la serie di "doveri" morali che scaturisce dall' "essere" della nostra natura particolare. Il progetto di Bacon e Darwin di trattare la natura umana come argilla plasmata da qualsiasi cosa, dalla chirurgia plastica alla manipolazione genetica, è un attacco diretto alla legge naturale perché è un attacco diretto alla nostra natura. Se dovesse avere successo, la morale cattolica verrebbe mostrata come priva di ogni fondamento, buona solo per la pattumiera della storia accanto al geocentrismo tolemaico, come  una teoria ben congegnata che l'analisi scientifica ha dimostrato basarsi su un fondamentale errore circa la natura.

"I cattolici pensavano," dirà qualche professore di storia  con un sorrisetto compiaciuto in un futuro non troppo lontano, "che la stessa natura umana  fosse qualcosa tipo un dato eterno, che stabiliva una sorta di limite invalicabile, e che dai "dati eterni" (risatina!) della natura umana derivasse qualcosa definita "morale" (e qui il professore avrà bisogno di sillabare questa strana parola). Questo è un errore in qualche modo comprensibile. Così come è evidente che il sole sorge, allo stesso modo essi ritenevano che gli esseri umani potessero essere creati solo nella stessa maniera che è comune fra gli altri animali. Questa mancanza di immaginazione era dovuta a una mancanza di tecnologia. Notiamo questo modello in molte aree. I telescopi hanno permesso agli uomini di vedere la vastità del cosmo e quanto essi sono un puntino insignificante, di conseguenza hanno abbandonato la convinzione che la terra fosse al centro dell'universo. Allo stesso modo le nuove tecnologie genetiche hanno reso chiaro il concetto: "Il nostro unico limite è la nostra immaginazione".

Poi il professore si appoggerà sul podio, pausa ad effetto, e indosserà un 'espressione avvilita. "Se anche questo può essere stato un errore in qualche modo comprensibile, i cattolici andarono oltre e costruirono su questo errore un intero sistema di persecuzione. Poiché essi potevano procreare solo attraverso l'atto animale del rapporto sessuale - un processo che era esso stesso una sorta di lotteria! -  essi condannavano, perseguitavano, cacciavano,  attaccavano qualsiasi altro tipo di espressione sessuale. Noi tutti possiamo essere grati che quei giorni sono finiti."

 

Fantascienza?

Sembra fantascienza? Una semplice tattica allarmistica? Bene, provate questo esercizio letterario. Leggete il classico di Aldous Huxley  Il mondo nuovo, la profetica satira fantascientifica scritta nel 1932. Huxley cercò di raffigurare un mondo da incubo nel quale il piacere sessuale era stato separato dall'amore attraverso l'uso della contraccezione e della provetta per la creazione di esseri umani . La storia si svolgeva 600 anni nel futuro, ma ahimè, alla fine del 20° secolo, gran parte della profezia era divenuta una realtà che non aveva quasi alcun effetto sui lettori, e quel grido di allarme oggi sembra semplicemente bizzarro. Io so questo perché come professore delle superiori ho provato a usare Il mondo nuovo nelle mie classi. Huxley immaginava che la produzione industriale di esseri umani avrebbe trasformato il sesso in una semplice attività ricreativa (ma Huxley immaginava  un sesso libero per tutti completamente eterosessuale!) Per quanto riguarda l'aspetto tecnico delle cose, mai impressionare una classe superiore con lo spettro dei bambini creati in provetta perché scopriremo che un numero sempre più grande di studenti stessi è, in un modo o nell'altro, figlio della provetta.

Riguardo la distruzione dei paletti morali, la realtà della scienza sta superando la fantascienza. Per questa ragione, tutto ciò che serve per il trionfo del male, e la conseguente negazione della distinzione fra bene e male, è un ottimismo compiaciuto, un "Oh, questo non lo faranno mai!". Abbastanza presto persino questo sarà così ben consolidato da sembrare superato in rapporto con ciò che appare all'orizzonte. Una volta eliminato il concetto che la natura umana è un dato e quindi che la nostra vera natura pone un limite a quello che possiamo e dovremmo fare, allora la distinzione tra fantascienza e scienza reale è solo temporale. Questo dovrebbe essere chiaro data la velocità con la quale la fantascienza e divenuta realtà nell'ultimo  mezzo secolo.

Questo rende facile essere dei profeti. Prevedo che entro 10 anni avanzate tecniche chirurgiche e di clonazione dei tessuti porteranno i consumatori a poter scegliere quanti e quali ruoli sessuali assumere. Segnatevi queste parole sul calendario. 

 

La fine della fine

Non voglio dare ai lettori la falsa impressione che l'unica distinzione morale che viene attualmente cancellata sia quella tra maschio e femmina. Per fare un altro esempio, anche più sconcertante, viene ora tecnicamente ridefinita la demarcazione tra esseri umani e animali. Secondo il progetto di Bacon e Darwin, gli esseri umani sono solo una forma transitoria in più adottata dalla materia. Quindi, come Darwin ha chiarito nel suo L' origine dell'uomo, la distinzione "essere umano" ha un fondamento effimero, non eterno. Ma proprio questa distinzione è il fondamento del comandamento "Non uccidere". Il divieto dell'omicidio di esseri umani innocenti presuppone che: 1) uccidere un moscerino, una mucca e un essere umano sono atti molto differenti e 2) che c'è una reale differenza fra esseri viventi e non viventi. Senza queste distinzioni, il divieto di uccidere esseri umani è semplicemente un tabù parrocchiale e senza fondamento.

Ovviamente, la diffusione dell'aborto ha immensamente contribuito a ridurre gli esseri umani a semplice materia, semplice roba di cui disporre secondo il proprio vantaggio. Dall'aborto deriva tutta l'industria volta all'uso di tale "tessuto" per scopi medici. Gli scopi medici includeranno presto la salute e la bellezza, cosicché tale tecno-cannibalismo si propagherà fino ai prodotti in vendita nella locale farmacia. Poiché la domanda cresce, specialmente la domanda di carne sempre migliore, non solo le donne saranno pagate per far crescere "tessuto fetale", ma i laboratori farmaceutici includeranno allevamenti di embrioni.

Uccidere e non uccidere, umano e non umano, vivente e non vivente, luce e tenebra - tutte queste distinzioni che emergono dal racconto della Genesi  torneranno nel nulla, un nulla al di là del bene e del male. "Dovremmo farlo?" significherà quindi solo "E' economicamente realizzabile?"

 

L'ultima battaglia

Questa è la vera crisi morale, la più grande possibile, poiché dal suo esito dipende l'esistenza della morale stessa. La buona novella è che, paradossalmente, questa è ancora una crisi; cioè, la natura umana non è ancora stata distrutta. E' ancora possibile che la natura umana possa essere salvata dalle rovine del progetto di ricostruirla secondo la nostra volontà.

Per i cattolici è un'importante chiamata alle armi. Quasi solo il cattolicesimo, all'interno della cristianità, fonda i suoi argomenti morali sulla legge naturale e di conseguenza ha combattuto quasi da solo per evitare che ciò che Dio ha unito e distinto nella creazione finisse a pezzi nel caos. Per fare un esempio significativo, quasi da solo il cattolicesimo ha rigettato il divorzio fra unione sessuale e procreazione attraverso la contraccezione e la fertilizzazione in vitro. Come dovrebbe essere chiaro da quanto detto, questo divorzio, che sembrava così innocente persino al protestantesimo evangelico, è stato l'inizio della fine della moralità riguardo la sessualità. Che la consapevolezza di questo possa portare a un grande momento ecumenico.

Possiamo attenderci, quindi, una grande battaglia fra coloro che considerano la natura umana come l'origine di tutte le distinzioni morali e coloro che considerano la natura umana come argilla da plasmare. Sarà per tutta l'umanità l'ultima battaglia, poiché è una battaglia sull' esistenza dell'umanità stessa.

Benjamin D. Wiker è un decano del Discovery Institute e docente di scienza e teologia alla  Franciscan University di Steubenville. Egli è l'autore di Moral Darwinism: How We Became Hedonists e Architects of the Culture of Death insieme a Donald DeMarco (Ignatius). Attualmente sta lavorando a un libro intitolato The Meaning-Full Universe. Il suo sito web è www.benjaminwiker.com .

 

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Mcl in campo per il non voto: campagna capillare

Avvenire, 10 Febbraio 2005 

Il Movimento cristiano lavoratori scende in campo per l'astensione, attraverso una capillare campagna, nei referendum sulla fecondazione assistita. «Un referendum che non abbiamo voluto, che abbiamo politicamente e moralmente avversato. Quindi niente prediche sulla partecipazione: il voto referendario è costituzionalmente diverso dal voto elettorale» dichiara il presidente nazionale Carlo Costalli, anticipando la proposta che farà al consiglio generale del Movimento che si terrà ad Assisi il 26 e 27 febbraio. «Non andremo a votare e faremo una campagna referendaria attiva e civile perché è in discussione la salvezza di vite umane». Intanto una possibile intesa politica di revisione della legge in Parlamento sembra sempre più lontana.

A sbilanciarsi è di nuovo il Ministro delle Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, favorevole ora anche alla fecondazione eterologa. «Non si può negare il diritto delle coppie ad essere genitori» fa sapere il Ministro, che ribadisce anche il suo si a crioconservazione e ricerca sulle cellule embrionali. Una posizione che il sottosegretario alla Salute, Cesare Cursi, giudica «incredibile», considerando che «l'apertura alla fecondazione eterologa snaturerebbe del tutto l'impianto dell'attuale legge sulla fecondazione assistita». E perché, aggiunge Cursi, si tratta comunque di una fecondazione «innaturale». Dure anche le repliche del segretario nazionale giovani del Movimento per la vita, Giorgio Gibertini. «Il Ministro forse non sa bene di cosa sta parlando. - dichiara - In un'epoca in cui sembra che l'identità genetica sia importantissima si vogliono per legge generare figli senza una madre o un padre biologici?».

 

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I vescovi siciliani sulla procreazione «La legge 40 non va modificata»

Avvenire, 10 Febbraio 2005 

Il referendum rischia di peggiorare la legge 40 sulla fecondazione assistita. Prende posizione la Conferenza episcopale siciliana riunita alcuni giorni fa a Modica, in provincia di Ragusa, per la sessione invernale dei lavori. «In piena consonanza con l’episcopato italiano – scrivono i vescovi dell’isola – manifestiamo la nostra contrarietà ad eventuali modifiche dell’attuale legge sulla procreazione medicalmente assistita peggiorative rispetto all’insegnamento etico della Chiesa. L’attuale legge, in effetti, sebbene così com’è non corrisponda a tale insegnamento, ha tuttavia il merito di salvaguardare alcuni suoi principi e criteri essenziali, che al contrario non vengono salvaguardate da nessuna delle proposte di modifica contenute nei quattro quesiti ammessi al referendum dalla Corte Costituzionale».

Il giudizio della Cesi nei loro confronti pertanto non può che essere negativo. I vescovi siciliani, presieduti dal cardinale Salvatore De Giorgi, hanno anche auspicato «che la campagna referendaria abbia a svolgersi con serenità e civile rispetto per le diverse opinioni» e hanno invitato «chi ne ha la competenza a dare il proprio contributo di corretta informazione sia sui problemi e i valori messi in gioco dai quesiti ammessi al referendum sia sulle diverse possibilità di cui ogni cittadino, nel caso specifico del referendum, può legittimamente avvalersi per manifestare la propria opinione». Un richiamo preciso alla deontologia dei mezzi di comunicazione per favorire un dibattito corretto che tenga conto di tutte le posizioni in campo, non solo di quelle favorevoli al referendum.

 

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PROCREAZIONE: REFERENDUM USO EMBRIONI; AL VIA COMITATO PER NO PRIMA MANIFESTAZIONE PUBBLICA A VENEZIA

(ANSA) - VENEZIA, 5 FEB - Parte da Venezia una iniziativa per dire no al referendum che consentirebbe, secondo i promotori, il commercio indiscriminato degli embrioni. A dare vita ad un "comitato per il no al referendum sul commercio degli embrioni", presentato oggi, sono stati il Codacons, Listaconsumatori e Verdi Colomba. Gli organizzatori contestano che la vittoria di questo referendum consentirebbe nuove cure per malattie gravi come l'Alzheimer, il Parkinson. In realtà - spiegano - questo referendum darebbe il via libera all'utilizzo di embrioni umani per motivi di profitto e favorirebbe soltanto gli interessi miliardari delle case farmaceutiche. "L'impiego di cellule staminali a fini terapeutici - ha dichiarato Carlo Rienzi, presidente del Codacons - può avvenire senza sfruttare gli embrioni e senza clonazione. Per le terapie possono essere infatti impiegate le cellule del sangue del cordone ombelicale e per talune malattie anche le cellule del midollo spinale dell'individuo adulto". Il comitato, i cui componenti hanno sostenuto la raccolta delle firme, parteciperà a tutte le trasmissioni televisive sull'argomento per far votare no limitatamente a questo referendum. Altre iniziative sono previste prossimamente a Firenze e a Roma.

 

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L’eugenetica da Auschwitz ai giorni nostri
Programmi mortali che colpiscono nascituri e neonati

WASHINGTON, D.C., sabato, 5 febbraio 2005 (ZENIT.org).- La vulnerabilità della vita umana è stata rimarcata la scorsa settimana da due importanti commemorazioni. Giovedì scorso in Polonia, il 60° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz ha riportato alla mente ancora una volta gli orrori del programma di sterminio del Regime nazista. E, negli Stati Uniti, i gruppi pro-vita hanno organizzato eventi per ricordare la decisione del 1973 della Corte Suprema che ha legalizzato l’aborto per tutti e nove i mesi di gravidanza.

“Trentadue anni dopo, il male insito nella sentenza Roe contro Wade persiste, e il sangue degli innocenti continua a macchiare la nostra Costituzione”, ha declamato il cardinale William Keeler nella sua omelia domenicale del 23 gennaio, alla Basilica del National Shrine of the Immaculate Conception di Washington. “La perdita di più di 40 milioni di bambini non nati incombe sulla nostra coscienza nazionale”.

La soppressione di vite innocenti continua ad un ritmo sostenuto in molte zone. La BBC ha riportato il 23 gennaio che alcuni medici olandesi hanno ammesso di aver soppresso, dal 1997, 22 bambini (nati) malati terminali. Nessuno dei dottori è stato denunciato, nonostante l’eutanasia per i bambini sia illegale nei Paesi Bassi.

I dettagli di questi delitti sono stati riportati in uno studio pubblicato dalla Dutch Journal of Medicine, dal quale risulta anche la soppressione di bambini affetti da spina bifida. Da un sondaggio risulterebbe che ogni anno vengono soppressi dai 15 ai 20 neonati disabili, ad opera di medici olandesi, ma la maggior parte di questi casi non viene riportata all’attenzione dell’opinione pubblica, secondo la BBC.

L’uso olandese di eliminare bambini deformi è stato riportato anche da un articolo del Telegraph di Londra del 26 dicembre. Eduard Verhagen, primario di pediatria dell’Ospedale Groningen, ha preso le difese di queste azioni, sostenendo che la somministrazione di veleno ai bambini offriva loro una “opzione umana” che gli consentiva di non essere costretti a soffrire. Verhagen ha affermato che il Governo olandese stava elaborando normative che avrebbero consentito ai medici di praticare l’eutanasia sui bambini.

Ma il Vescovo cattolico di Groningen, Wim Eijk, ha riferito al quotidiano britannico che lo Stato non ha alcun diritto di autorizzare i medici a porre fine alla vita dei bambini, i quali sono incapaci di dare il loro consenso alla propria morte.

“Al fine di ridurre la sofferenza”

“Questo è un incubo darwiniano e una grave violazione delle leggi di Dio”, ha dichiarato un portavoce del Vescovo. “Significa superare i confini considerati finora invalicabili da ogni ordinamento. L’eutanasia per i bambini, in circostanze in cui non è possibile perseguire o assicurare il consenso degli interessati. È un terreno scivoloso che potrebbe portare i medici ad acquisire il diritto di imporre la vita o la morte, e potrebbe diventare un motivo per estenderlo a tutti”.

Le preoccupazioni sulle prospettive di un ulteriore allentamento delle norme sull’eutanasia sono state confermate da un servizio del British Medical Journal del 8 gennaio. Un’inchiesta triennale, commissionata dalla Royal Dutch Medical Association, ha concluso che i medici dovrebbero poter aiutare a far morire le persone che, sebbene non fisicamente malate, “soffrono nel vivere”.

La legge che regola l’eutanasia non prevede espressamente che il paziente debba avere una determinata condizione fisica o mentale, ma solo che il paziente deve star “soffrendo in modo disperato e insopportabile”, osserva l’articolo. Ma nel 2002, la Corte Suprema ha stabilito che un paziente deve avere una “condizione fisica o mentale classificabile”. La decisione era intervenuta dopo che un dottore era stato accusato di aver aiutato una paziente di 86 anni a morire, la quale non era malata, ma ossessionata dal suo declino fisico e dalla sua “disperata” esistenza.

Jos Dijkhuis, il professore di psicologia clinica che ha diretto l’inchiesta, ha affermato: “Prendiamo atto che il compito del medico è di ridurre la sofferenza. Pertanto non possiamo escludere preventivamente questi casi. Dobbiamo guardare oltre per vedere se possiamo porre un limite, e se sì, in che misura”. Tuttavia, il rapporto ammette che i dottori mancano di una sufficiente specializzazione in questo campo.

L’articolo cita Henk Jochemsen, Direttore del Lindeboom Institute for Medical Ethics, che si oppone all’eutanasia. Secondo quest’ultimo nel rapporto vi sarebbero segnali pericolosi. Jochemsen ha avvertito che secondo il rapporto, “come società dovremmo dire alle persone che hanno la sensazione di aver perso il senso della propria vita: giusto, è meglio che te ne vai”.

Ottenere il “miglior” figlio possibile

Altre recenti dichiarazioni sembrano voler tornare ad una mentalità che ricorda i programmi nazisti per il miglioramento della qualità della razza. “Se hai in programma di avere un figlio, dovresti avere il miglior figlio che puoi ottenere”, ha affermato Julian Savulescu durante un seminario dello scorso anno presso l’Università di Melbourne in Australia.

Secondo un servizio apparso il 16 novembre sul quotidiano The Age, Savulescu, professore dell’Università di Oxford, e del Murdoch Children's Research Institute, ha invitato i genitori ad utilizzare le tecnologie genetiche per ottenere il “miglior” figlio possibile.

Savulescu ha prefigurato il giorno in cui i genitori potranno utilizzare queste tecniche persino per selezionare determinati tratti comportamentali ed altre caratteristiche. Egli ha raccomandato ai genitori di compiere le loro scelte sulla base di ciò che considerano come “la miglior opportunità per il proprio figlio”.

In Gran Bretagna, una ex presidente della Associazione per la pianificazione familiare, la baronessa Flather, ha auspicato che i poveri evitino di avere un gran numero di figli, secondo il Times del 5 dicembre. La Flather, attualmente Direttrice del Marie Stopes International, una delle più grandi cliniche abortiste britanniche, è stata immediatamente accusata di sostenere l’eugenetica.

Negli Stati Uniti, la pratica della selezione degli embrioni per l’eliminazione di quelli che presentano difetti genetici sta ottenendo sempre maggiore consenso. In un servizio del Wall Street Journal del 23 novembre, si osserva che a tale tecnica selettiva oggi si ricorre di più, perché il servizio sanitario pubblico ne copre gli alti costi. La diagnosi genetica preimpianto (DGP) può costare dai 3.000 ai 4.000 euro, oltre alla fecondazione in vitro che costa circa 6.000 euro.

Eliminare i difetti attraverso la procreazione

Circa 1.500 bambini nel mondo sono nati attraverso tecniche di DGP, secondo Yury Verlinsky, direttore del Reproductive Genetics Institute di Chicago. “La DGP sta avendo un boom”, ha aggiunto William Kearns, direttore del Shady Grove Center for Preimplantation Genetic Diagnosis di Rockville, nel Maryland.

Dall’altra parte dell’oceano, in Scozia, le coppie potranno presto ricorrere alle tecniche di DGP, attraverso il Servizio sanitario nazionale, secondo quando riferito dal quotidiano Scotland on Sunday lo scorso 19 dicembre. Dalle diagnosi preimpianto effettuate, sin dall’introduzione di questa tecnica, da medici della Glasgow Royal Infirmary sono nati cinque bambini, e l’ospedale ha chiesto il finanziamento pubblico per poter applicare questa tecnica ad un numero maggiore di coppie.

Questa richiesta è stata fortemente criticata da Ian Murray, direttore della Society for the Protection of the Unborn Child in Scozia. “Ci opponiamo fortemente a questa tecnica per ragioni di principio e riteniamo assai deplorevole che la Glasgow Royal Infirmary stia richiedendo finanziamenti”, ha dichiarato. “Non ha alcun valore terapeutico ed è assimilabile all’eugenetica. Non reca alcun beneficio alle persone disabili: semplicemente le uccide”.

“Sessanta anni fa condannavamo i dottori nazisti per l’eugenetica”, ha ricordato Murray. “E la diagnosi genetica preimpianto non è nulla di diverso.”

In un editoriale del quotidiano Scotsman del 27 dicembre, Dec Katie Grant ha sottolineato che la DGP non riguarda la cura di malattie: “La malattia viene cancellata, non attraverso la riparazione di un gene fasullo, ma attraverso la creazione di più embrioni, che vengono poi selezionati al fine di eliminare quelli difettosi e impiantare quelli sani”.

“L’idea di eliminare i difetti attraverso la procreazione è eugenetica pura e semplice”, ha scritto Grant, “e noi procuriamo a noi stessi e alla società un grave disservizio ricorrendo ad eufemismi per nascondere il nostro imbarazzo di fronte alle connotazioni negative che caratterizzano l’eugenetica sin dai tempi di Hitler”.

Usare l’ingegno umano per aiutare le persone a vivere meglio è un obiettivo lodevole, ha commentato. Ma “è giusto che gli esseri umani agiscano da creatori e poi da esecutori?”, si è chiesta. Per quanto sbagliata questa tecnica possa essere, si sta diffondendo ad un ritmo notevole.

 

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Bugie statistiche

da: Il Foglio 3.2.2005 - Francesco Agnoli

Daniele Capezzone è certamente un abile oratore, facilitato, con uguale certezza, dall'assenza di qualsiasi vincolo alla verità (che infatti a suo dire non esisterebbe). Contraddittoriamente, però, propone "verità" quanto mai dogmatiche, presentate con assoluta seriosità ed insistenza. Ha sostenuto infatti, e continuerà a farlo, vista la somiglianza esistente tra un suo discorso ed il successivo, che neppure la Chiesa ha riconosciuto per secoli la dignità dell'embrione: infatti "rifiutava il battesimo a qualcosa che non avesse sembianze pienamente umane". Menzogna palese, dal momento che l'acqua del battesimo, come ognun sa, va spruzzata sulla testa del neonato e non sulla pancia di una donna! Con la stessa levità Capezzone in più occasioni si serve di sondaggi fasulli per dare ragione alle proprie teorie, per convincere gli oppositori che sono in minoranza. Ha sempre cifre aggiornate e precisissime su tutto. Così racconta che l'introduzione della 194 ha fatto calare gli aborti legali del 44% e quelli clandestini del 79%. Vuole cioè farci credere che si conosca il numero preciso degli aborti clandestini, sia precedenti al 1978 che attuali, come se non fossero, appunto, clandestini! E' una vecchia tattica, che dura da 30 anni. Infatti data almeno dal 1971. In quell'anno il Psi presentò al Senato una proposta per l'introduzione dell'aborto legale, libero, e gratuito, affermando che vi erano in Italia tra i 2 e i 3 milioni di aborti annui, e che circa 20.000 donne all'anno morivano a causa di questi interventi. Nel successivo progetto di legge, sempre socialista, presentato alla Camera il 15/10/'71, il numero degli aborti annui rimaneva stabile, mentre quello delle donne morte per pratiche abortive clandestine saliva, chissà come, a 25.000. Tali cifre venivano riprese come attendibili da tantissimi giornali ("Corriere della sera" del 10/9/'76: da 1,5 a 3 milioni di aborti clandestini l'anno; "Il Giorno" del 7/9/'72: da 3 a 4 milioni l'anno…). Anche sotto la pressione di questi presunti dati nacque la 194, che legalizzò l'aborto. Se le cifre suddette fossero state vere, una volta divenuto lecito e gratuito, l'aborto si sarebbe dovuto diffondere ancor più. Invece nel 1979 quelli legali furono ufficialmente, né 1, né 4 milioni, ma 187.752! Quanto poi alle donne morte per pratiche clandestine basterebbe consultare, per esempio, il Compendio Statistico Italiano del 1974: vi si legge che in Italia, nell'intero anno, sono morte 9.914 donne tra il 14 e i 44 anni, e cioè in età feconda. Fossero decedute anche tutte per aborto clandestino, cosa assolutamente assurda, non sarebbero comunque né 20.000 né 25.000! Oggi sappiamo che buona parte della campagna pro choice, in Italia come in USA, si basò su menzogne premeditate. Lo raccontano personaggi insospettabili, come Norma Mc Corvey, detta Roe, cui si deve appunto la legalizzazione dell’aborto in America. Il suo caso pietoso di donna povera, tra riformatorio e lavori precari, amanti ed Lsd, venne usato dagli abortisti con estrema spregiudicatezza per convincere l’opinione pubblica. Si puntò sul sentimentalismo, sulla sua storia personale, arricchendola di colorite invenzioni, come il fatto che fosse stata vittima nientemeno che di uno stupro di gruppo. Lo stesso uso dei casi estremi e pietosi fu fatto, in Italia, con le donne di Seveso, e viene riattualizzato oggi con Luca Coscioni. Tali strategie sono state svelate anche dal celebre Bernard Nathanson, fondatore a New York della "Lega d'azione per il diritto all'aborto", nel 1968, e direttore, all'epoca, della più grande clinica per aborti del mondo, il Crash. Costui, dopo aver effettuato, tramite i suoi medici, ben 75.000 aborti, di cui 15.000 di sua mano, ha riveduto le sue posizioni, ed ha tra l'altro affermato che una delle menzogne per convincere l'opinione pubblica era l'impiego di "sondaggi fittizi" e la falsificazione dei dati sugli aborti clandestini e le donne morte a causa di essi. "Purtroppo l'informazione inesatta e tendenziosa rimane per gli abortisti il metodo migliore di propaganda" (B. Nathanson, "Aborting America", 1980). Sempre Nathanson ricorda altre strategie utilizzate all’epoca da lui stesso e dai compagni di strada: sviare il discorso dal campo scientifico a quello ideologico, accusando la Chiesa di posizioni preconcette e moralistiche; spiegare che i cattolici debbono distinguere tra questioni puramente e solamente religiose e leggi dello Stato; affermare che tutti i mezzi di informazione sono schierati con la Chiesa, "arrogante e prepotente"... Le stessa "litanie" che ognuno può ancor oggi sentire, trent'anni dopo, ascoltando Radio Radicale.

 

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Giuristi e scienziati fanno appello ai diritti dei nascituri
E mettono in guardia sui rischi eugenetici della fecondazione in vitro

ROMA, martedì, 1° febbraio 2005 (ZENIT.org).- Pur partendo da scuole e concezioni diverse, giuristi e scienziati riunitisi a Roma il 31 di gennaio, hanno espresso le loro perplessità nei confronti di proposte di variazioni peggiorative della legge 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita, oggetto di prossimi referendum abrogativi.

Organizzato dall’Istituto per la Documentazione e gli Studi Legislativi (Isle) con il Patrocinio del Presidente della Repubblica, il Convegno dal titolo “procreazione assistita: problemi e prospettive” (www.laprocreazioneassistita.it) ha visto i diversi relatori difendere con chiarezza i diritti dei nascituri, fin dal concepimento.

Il professore Giorgio Oppo, docente emerito della Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università “La Sapienza” di Roma, facendo riferimento agli embrioni sacrificati dalla tecnica ha precisato che: “Il fatto che la distruzione del principio di vita sia opera di chi lo ha formato non è per sé, e per qualunque etica o diritto, una esimente ma una aggravante come l’uccisione o mutilazione del proprio figlio”.

In merito alla legge 40, il professore ha spiegato che “Il tentativo di avvicinamento alla natura e di rispetto della natura è apprezzabile e conforme all’ispirazione della Costituzione che privilegia la famiglia come società naturale”.

Pierangelo Catalano, professore di Diritto Romano a “La Sapienza” ha sottolineato come già nel diritto romano si riconoscessero i diritti del nascituro fin dal concepimento.

Catalano ha ricordato che già Giustiniano sosteneva che nell’interesse della res pubblica, “il pretore deve favorire colui che sta nel ventre della madre ancor più di quanto debba favorire il fanciullo”. Secondo il professore è evidente come “il diritto romano si richiama all’interesse pubblico e al vantaggio del concepito”.

Catalano ha poi rilevato come sotto gli Imperatori Settimio Severo e Antonino Caracalla “l’aborto volontario era punito con la pena dell’esilio”, e che fu lo stesso Caracalla a “far crescere la civitas conferendo la cittadinanza a tutti gli uomini liberi”.

A questo proposito il docente di Diritto Romano ha riportato il dialogo tra il Rabbi Jehudà e l’Imperatore Antonino, forse Marco Aurelio (secondo altri Caracalla), che si trova nel Talmud.
L’Imperatore chiese al Rabbi: “Da quando viene introdotta l’anima nell’uomo, dall’ora del concepimento o dall’ora della formazione (dell’embrione)?”.

Gli rispose il Rabbi: “Dall’ora della formazione”. Allora l’Imperatore replicò “è mai possibile che un pezzo di carne stia tre giorni senza sale, senza andare a male? Certo deve essere dall’ora del concepimento”.

Ed il Rabbi: “Questo mi ha insegnato Antonino e vi è un passo biblico che lo conferma, come è detto: Mi hai donato la vita e mi hai usato misericordia e la tua visitazione conservò il mio spirito”.
Sui pericoli di derive eugenetiche della fecondazione in vitro ha poi preso la parola il professore di Diritto Penale all’Università di Milano, Luciano Eusebi.

“La valutazione degli embrioni in vitro nella fase anteriore al trasferimento in utero implica uno screenig di tipo eugenetico”, ha detto Eusebi, osservando poi che le diagnosi prenatali e il patrimonio di conoscenze genetiche che si è in grado di ottenere, potrebbero essere utilizzate per operare una selezione a esistenza già avviata.

Il professor Eusebi ha rilevato come il rischio della diffusione di prassi eugenetiche precoci sia stato già stato sollevato dall’associazione Disabled People’s International – Europe, con il documento “Le persone con disabilità discutono della nuova genetica” (www.dpieurope.org ).

In proposito il professore ha ricordato che l’articolo 11 della Convenzione di Oviedo sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina afferma testualmente che “è vietata qualsiasi forma di discriminazione nei confronti di una persona a causa del suo patrimonio genetico”.

 

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I rischi umani e sociali insiti nelle tecniche di fecondazione artificiale

ROMA, martedì, 1° febbraio 2005 (ZENIT.org).- L’avanzamento delle conoscenze scientifiche, in campo medico, offrono un grande beneficio alla salute e allo sviluppo delle persone. Le tecniche di fecondazioni in vitro, soprattutto se non vincolate da limiti precisi, presentano però grandi rischi dal punto di vista umano e sociale.

E’ quanto sostiene Francesco Agnoli, professore alla scuola cattolica Sacro Cuore di Trento in un agile libricino intitolato "La fecondazione artificiale", e pubblicato dalle “Edizioni Segno" (Udine, 85 pp., 7 euro; info@edizionisegno.it).

In una intervista concessa a ZENIT, Agnoli ha voluto affrontare le questioni più concrete e scottanti, sui possibili pericoli corsi dalle donne con la fecondazione artificale la donna; sul fatto che i bambini nascono meglio che con metodi naturali; e sul destino degli embrioni.

Replicando alle parole espresse dall’onorevole Laura Cima, Segretaria alla Commissione Esteri della Camera, secondo cui la legge 40 è ingiusta, perché pone troppi divieti, Agnoli ha affermato che “in realtà è vero il contrario: ne pone troppo pochi!”.

“La stessa onorevole Cima nel 1992 definiva la fecondazione artificiale una ‘sperimentazione selvaggia che ha come oggetto donne e bambini e che rappresenta un giro d'affari non indifferente’”, ha poi aggiunto.

Secondo l’autore del libro “La fecondazione artificiale procede per tentativi, sulla pelle delle donne e dei bambini, con costi economici altissimi. E nei casi in cui il bambino viene alla luce, vi è prima uno spreco assurdo di vite umane sotto forma di embrioni; un calvario fisico e psicologico per la coppia, che porta, non di rado, a problemi psicologici, depressione, conflittualità tra i coniugi ecc.”

Dal punto di vista della salute Agnoli ha scritto che le tecniche di fecondazione presentano “un rischio enormemente più alto che in natura per la salute fisica, oltre che psichica, dei bambini che dovessero nascere”.

“Si corrono rischi di malattie degenerative, nel corso degli anni, del sistema neurologico e del cuore; che nel caso di parti trigemini, piuttosto frequenti, i bimbi rischiano deficit fisici e/o mentali”.

“Vi sono poi tutta una serie di altre possibili complicazioni, come il retinoblastoma, la paresi cerebrale, l'atresia dell'esofago, i difetti del tubo neurale ecc”, ha riferito poi a ZENIT.

Agnoli ha inoltre denunciato i rischi di deriva eugenetica insita nella selezione degli embrioni e nel tentativo di definire a priori tutte le caratteristiche fisiche del nascituro.

“Si tratta di una concezione assurda della paternità e della maternità” sostiene l’autore del libro, anche perché è nota la non fruibilità delle cellule staminali embrionali, ed “accettare l’idea che forse sarebbe possibile risolvere una serie di malattie uccidendo embrioni, cioè altri esseri in divenire, vite umane, è inaccettabile”.

Nel libro vi è una sezione dedicata alla storia, dove vengono analizzati i documenti scritti da persone favorevoli alla fecondazione in vitro (FIV), tra cui Mary Warnock e Carlo flamini, e dove Agnoli racconta gli esperimenti compiuti negli anni passati, in un clima di completo Far West della provetta.

L’autore del libricino narra come il ginecologo romano Severino Antinori abbia fatto partorire, sotto il flash dei fotografi cui erano stati venduti i diritti, Rosanna Della Corte, di anni 63: una donna vedova presentatasi con un contenitore contenente sperma del marito congelato dieci anni prima (con tutti i danni che la crioconservazione comporta sulla vitalità del seme).

Sempre di Antinori racconta di quando fece sì che una ragazza siciliana di nome Manuela, portasse "in grembo l'embrione frutto degli ovociti della madre e degli spermatozoi del patrigno".

Agnoli tratteggia anche le moltissime storie di dolore e di sofferenza che si celano dietro queste pratiche mediche, ma l’intenzione principale del libricino è quella di spiegare in maniera semplice ed accessibile a tutti le problematiche storiche, scientifiche e morali connesse alla fecondazione in vitro.

 

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Bugie staminali

Angelo L. Vescovi, Il Foglio 22.1.2005

Angelo L. Vescovi è uno dei più importanti studiosi del mondo nel campo delle cellule staminali. Pronuncierà questo intervento il 31 gennaio all’Accademia dei Lincei al convegno sui “problemi e le prospettive della procreazione assistita” organizzato dall’Isle

Una delle ragioni alla base dello scontro sulla legge che regolamenta la produzione di embrioni umani riguarda la possibilità di utilizzarli al fine di isolare cellule staminali embrionali pluripotenti. Essendo queste cellule in grado di produrre qualunque tipo di cellula matura dei tessuti del nostro organismo, esiste la possibilità che le cellule staminali embrionali possano essere utilizzate per lo sviluppo di numerose terapie rigenerative ad oggi incurabili, quali il diabete, il morbo di Alzheimer eccetera. Questa tesi è sicuramente logica e sostenibile fintanto che si accetti il fatto che si sta parlando di prospettive future e non di terapie già esistenti o in rapido divenire, e che si sta parlando di una delle numerose vie percorribili.

Purtroppo, il messaggio che incautamente viene trasmesso al grande pubblico e al legislatore è di ben altra natura e diametralmente opposto a quello che la realtà dei fatti ci propone.

Ci viene infatti spesso spiegato il contrario del vero, e cioè che le cellule staminali embrionali rappresentano se non l’unica (concetto che comunque in molti propongono), sicuramente la via migliore per lo sviluppo di terapie cellulari salvavita. Si allude spesso, nemmeno troppo velatamente, al fatto che le terapie a base di cellule staminali embrionali sarebbero addirittura già disponibili.

Non posso mancare di notare come un tale approccio è totalmente infondato e pone il cittadino, presto chiamato a decidere sulla validità della legge sulla fecondazione assistita, di fronte ad un dubbio dilaniante: lasciare morire milioni di persone o permettere l’uso degli  embrioni umani per generare cellule salvavita? Ovviamente, in un contesto simile la natura dell’embrione umano viene stravolta, negata e banalizzata fino a renderlo un semplice “grumo di cellule”, qualcosa di sacrificabile ignorando gli enormi problemi etici che questo sacrificio solleva.

In realtà il sacrificio non è per nulla necessario.

Non ci sono terapie “embrionali”

A dispetto di un oggettivo, significativo potenziale terapeutico, non esistono terapie, nemmeno sperimentali, che implichino l’impiego di cellule staminali embrionali. Non è attualmente possibile prevedere se e quando questo diverrà possibile, data la scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività di queste cellule, che ci impediscono di produrre le cellule mature necessarie per i trapianti, e data la intrinseca tendenza delle staminali embrionali a produrre tumori.

Secondo, ma non meno importante, esistono numerose terapie salvavita che rappresentano realtà cliniche importanti, quali le cure per la leucemia, le grandi lesioni ossee, le grandi ustioni, il trapianto di cornea. Tutte queste si basano sull’utilizzo di cellule staminali adulte. Inoltre, sono in fase di avvio nuove sperimentazioni sul paziente che implicano l’utilizzo di cellule staminali cerebrali umane.

Terzo, le terapie cellulari per le malattie degenerative non si basano solo sul trapianto di cellule prodotte in laboratorio. Esistono tecniche altrettanto promettenti basate sull’attivazione delle cellule staminali nella loro sede di residenza. Saranno quindi le cellule del paziente stesso che si occuperanno di curare la malattia, una volta stimolate con opportuni farmaci. Ovviamente, trattandosi delle cellule staminali del paziente stesso, i problemi di rigetto che, ricordiamolo, possono esistere col trapianto di staminali sia embrionali che adulte, in questo caso non sussistono.

Quarto: la produzione di cellule staminali embrionali può avvenire senza passare attraverso la produzione di embrioni. Sono infatti in corso studi grazie ai quali è possibile deprogrammare le cellule adulte fino a renderle uguali alle staminali embrionali senza mai produrre embrioni. Si tratta di una procedura che ha la stessa probabilità di funzionare della clonazione umana, ma scevra da problemi etici e che produce cellule al riparo da rischi di rigetto.

Da quanto descritto sopra, emerge molto chiaramente la seguente conclusione: il dibattito riguardante la legge sulla fecondazione assistita deve avvenire in assenza delle pressioni emotive e psicologiche che, artatamente, vengono fatte scaturire dalla supposta inderogabile necessità di utilizzare gli embrioni umani per produrre cellule staminali embrionali che rappresenterebbero l’unica o la migliore via per la guarigione di molte malattie terribili e incurabili.

Questa affermazione è incauta non solo perché fondata su concetti facilmente questionabili ma anche in relazione all’esistenza di linee di ricerca, di sviluppo e di cure almeno altrettanto valide, molto più vicine alla messa in opera nella clinica corrente e prive di controindicazioni etiche. Il dibattito sulla legge deve quindi incentrarsi sugli aspetti relativi alla dignità dell’embrione e al suo riconoscimento come vita umana a tutti gli effetti.

In questo contesto, mi permetto di concludere che, nella mia scala di valori di laico e agnostico, il diritto alla vita dell’embrione precede inequivocabilmente il diritto alla procreazione.

 

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Mons. Riboldi e la fecondazione artificiale: «La persona va difesa sin dall'inizio»

[intervista rilasciata a Gian Guido Vecchi, Corriere della sera, 19 gennaio 2005]

«lo sono d’origine bríanzola, sa? E dalle mie parti, a Triuggio, i bambini si contavano a grappoli, mia nonna arrivò a tredici, la mamma ad otto. Quindi, da questo punto di vista, mi spiace, io sono uno che è nato nell'Ottocento...».

Monsignor Antonio Riboldi, vescovo‑emerito d’Acerra, ha la voce ironica e il tono deciso di chi ha passato la vita ad evitare eufemismi o mezze parole, che si trattasse di camorra o convinzioni etiche. «Per me un bambino è una creatura nata da un papà e da una mamma, sa, se fosse possibile preferirei mantenere il vecchio metodo naturale... ».

E quindi, monsignore, che farà al referendum? «Non voterò, poco ma sicuro. Mi astengo. Non ci vado».

Motivo? «L'astensione è un'arma. Attenzione: il mio non è un modo per dire "ni'', non voglio assolutamente ritirarmi dalla battaglia, anzi. è la forma di rifiuto più netto di una cosa che non accetto». Con l'obiettivo di invalidare i referendum? «Chiaro, I'astensione serve a questo. Io sono solo uno, non rappresento certo milioni di persone, ma faccio quello che mi dice la mia coscienza. Del resto è una cosa permessa, no? E se tanti non votano può anche mancare il quorum».

Ma della legge sulla fecondazione cosa ne pensa? «Ci sono cose che dal punto di vista cristiano non vanno, è vero che non si tratta di una legge cattolica, la stessa fecondazione in vitro... Ma almeno non la si peggiori, si rispetti quella persona umana che è il bambino. Pensi ad uno cui dovessero dire: tu sei figlio dell'eterologa. Cosa dovrebbe pensare? Ma allora di chi sono figlio, che avete fatto di me, una cosa nata in laboratorio? Non possiamo farci prendere la mano dalla tecnologia».

Ma cosa teme di più in questi referendum? «La confusione, questo è il vero pericolo, e qui parliamo di una materia nella quale non è permesso sbagliare. Il bambino non è una cosa, è una persona che deve avere un’identità precisa e un'origine chiara. Ci vuole semplicità».

Sì, ma che cos'è la semplicità? «Guardi, io parlo della semplicità che avrebbero le parole di mia nonna, di un contadino, la povera gente farebbe questi discorsi. Proviamo a pensare davvero: chi ha ragione? Le nostre mamme povere e intelligenti o chi arriva a manipolare la vita, l’origine della vita? Del resto anche le esperienze sull'aborto e sul divorzio mi fanno pensare di tener ferma una condotta molto chiara...».

In che senso? «Che ci hanno un po' ingarbugliato le idee, il sì era il no e il no era il sì, la gente non capisce, specie quando si tratta di quesiti così complessi».

E capirà questa posizione? «lo sento di fare una battaglia per l'uomo, mi sono sempre sentito veramente bene quando ho potuto difendere una persona dalla camorra, dalla mafia, dalla povertà, dall'ingiustizia. La persona va difesa sin dall'inizio. E se dicono che sono medievale, pazienza».

Beh, lei non ha la fama d'essere un prete medievale. «Ma sì, questo sì! E se la mia scelta vuol dire essere fuori strada, meno male».

 

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I CONFINI DELL'ETICA NON SI BARATTANO

A PROPOSITO DEI REFERENDUM SULLA PROCREAZIONE ASSISTITA
 

Giuseppe Anzani  - Famiglia Cristiana

Il referendum con il quale i radicali volevano cancellare totalmente la legge sulla procreazione assistita è stato bocciato dalla Corte costituzionale. 
La ragione è evidente: senza regole, si tornerebbe al far west, in un campo dove è in gioco la vita umana nascente, la sua dignità, i suoi diritti elementari; si tornerebbe alla provetta selvaggia, alle madri-nonne e agli uteri in affitto, alla possibilità di clonare embrioni come fossero pecore Dolly.

Ci sono limiti etici, ci sono limiti giuridici che non si possono sopprimere senza diventare disumani. Questa è una prima lezione.

A seguire, i princìpi etici restano identicamente il discrimine di fondo per valutare anche i quattro referendum "minori" affidati alla decisione dei cittadini. Essi investono solo alcune parti della legge, ma non per questo sono poco importanti: uno di essi vorrebbe poter usare gli embrioni, anche clonandoli e poi "uccidendoli", per prendere le cellule staminali e farci sopra le sperimentazioni; un altro vorrebbe poterne fabbricare senza limite di numero, e congelare e selezionare; il terzo caccerebbe fuori l’embrione dal novero dei soggetti umani che meritano protezione giuridica; il quarto darebbe licenza di mettere al mondo un "figlio d’altri" (fecondazione eterologa) e di tenerselo. 
Dite se è poco.

Fra il sì e il no passa ancora una frontiera di civiltà. Di fronte ai tentativi di annacquare la verità, di dissimularla dietro gli slogan che insultano la legge senza riportarne il contenuto, un rimedio c’è: è sufficiente prendere il testo scritto, cancellare con un pennarello le parole che i referendum vorrebbero cancellare, e vedere cosa cambia, cosa passa dal giorno alla notte.

Sostengono alcuni che difendere quelle norme è una posizione cattolica, abolirle è invece una posizione laica. È falso.

Ci sono, infatti, mille ragioni squisitamente laiche per confermare quelle difese irrinunciabili alla dignità della vita, per rifiutare la clonazione di esseri umani, per non trattare i figli "fabbricati" come cose che si usano e si gettano, per non cancellare i diritti degli esseri umani viventi.

Nell’orizzonte della laicità dello Stato, che ha il compito di regolare secondo giustizia le libertà reciproche e di proteggere i reciproci diritti minacciati dall’arbitrio altrui, le pratiche che oltraggiano la vita urtano i fondamenti giuridici stessi sui quali la società stessa consiste. Altro che legge cattolica; per i cattolici è già un errore la provetta in sé stessa, e se una difesa questa legge richiede è per la ragione che essa limita, almeno, talune gravi aberrazioni. Questa linea di resistenza è stata chiaramente espressa dalla Conferenza episcopale italiana per voce del suo presidente, il cardinale Camillo Ruini.

Si può aggiungere che nel momento in cui i cittadini, cattolici o no, sono chiamati a decidere che cosa è giusto e che cosa è ingiusto nelle regole che si danno, viene comunque chiamata in causa anche la coscienza etica, per tutti. Schivare l’incrocio, rimaneggiare la legge in Parlamento, assecondando i quesiti quanto basta per placarli senza andare al voto, è impraticabile.

Il Parlamento ci ha lavorato per sette anni, fino all’estenuazione, e l’ultimo voto di approvazione, traversando gli schieramenti partitici, ha sfiorato i due terzi del consenso. Proporgli di sconfessarsi il giorno dopo è fuori coerenza.

E d’altra parte, le norme di cui si discute per il sì e per il no non sono come il prezzo dei tappeti o dei lampadari: sono confini etici sui quali non si baratta.

Voti dunque il popolo, o meglio, decida. Perché si può decidere anche rifiutando il voto (dal 1997 in poi, nei referendum non è mai stato raggiunto il quorum), mandando a monte il tentativo d’altri di cancellare ciò che si ritiene giusto mantenere.

 

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