È POSSIBILE UN ISLAM EUROPEO?
SI, SE IL DIALOGO È SINCERO!
C'È PERÒ UN PROBLEMA CAPITALE: LA FORMAZIONE DEGLI IMAM
(a cura di Claudio prandini)
PREMESSA
"L'altruismo non è nella natura degli americani. Siamo interessati solo a noi stessi, alla nostra prosperità e la forma che abbiamo scelto per ottenerla è l'impero globale". (Gore Vidal, scrittore americano) |
Purtroppo già da un paio d'anni in occidente, complice anche una certa stampa abile nel creare certi clichè paranoici, quando si parla di Islam si pensa subito al terrorismo o al kamikaze che si fa esplodere. Affrontare in modo manicheo (noi buoni e democratici mentre loro cattivi e terroristi) il problema del rapporto tra occidente e mondo islamico è fuorviante e menzognero. La realtà è invece più complessa di quanto possa apparire superficialmente da entrambi gli schieramenti. Partiamo intanto da alcuni gesti simbolici che sono stati sottolineati e giudicati storici e addirittura epocali compiuti da Giovanni Paolo II nei confronti delle altre religioni, come ad esempio la visita alla sinagoga di Roma e al muro del pianto di Gerusalemme o la visita ad una moschea, rovesciamento simbolico di ogni spirito di crociata e simbolica condanna di ogni tentazione a concepire il rapporto con l'islam in termini di scontro tra civiltà.
Nella primavera del 2003, quando era ormai evidente che Bush avrebbe attaccato l'Iraq, Giovanni Paolo II espresse la sua contrarietà alla guerra e disse parole che poi sarebbero passate alla storia: «Mai, mai, mai il futuro dell'umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra». Benedetto XVI, nel suo viaggio in Germania (settembre 2006), è stato ancora più esplicito: "L'Islam è sempre più sospettoso? In talune circostanze sempre più aggressivo? E' perché l'Occidente lo spaventa. Lo seduce, certo, con i progressi della scienza e della tecnica; ma subito dopo lo colpisce con il cinismo laicista, con la dittatura del relativismo, con il dileggio del sacro, con l'assenza di un vero «timore di Dio». Non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli si aspettano e che tutti noi desideriamo. La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il rispetto di ciò che per altri è cosa sacra" (vedere qui). Qui risiede il nocciolo della questione: l'occidente relativista «spaventa» le culture che non sono funzionali al suo modo di esistere! La storia dei pellerossa americani ne è una prova: o ti lasci assimilare dalla civiltà dei bianchi oppure il tuo destino è scomparire per sempre, con la benedizione della Bibbia in mano naturalmente!
E se volessimo portare altre prove più vicine a noi, eccole: ben pochi sanno che alla fine degli anni 90 venne stilato un documento più o meno segreto nel quale, i neoconservatori repubblicani, fra i quali l'attuale vice presidente americano Dick Cheney, progettarono le linee guida della politica americana per il XXI° secolo. Il titolo è già tutto un programma: "Progetto per un Nuovo Secolo Americano". Che cosa dice? trascrivo alcuni stralci:
«In un 20esimo secolo che volge al termine, gli Stati Uniti rappresentano la principale potenza del mondo. Avendo guidato l’Occidente al trionfo nella Guerra Fredda, l’America si trova di fronte a un’opportunità e ad una sfida: Hanno gli Stati Uniti una visione costruttiva in virtù dei successi dei decenni passati? Gli Stati Uniti hanno l’intenzione di modellare un secolo nuovo che sostenga i principi e gli interessi americani?... Sembra che abbiamo dimenticato gli elementi essenziali del successo dell’amministrazione Reagan: Un esercito che sia forte e sempre pronto a far fronte a sfide sia presenti sia future; una politica estera che promuova i principi americani all’estero fermamente e con audacia... Ma non possiamo evitare in maniera sicura le responsabilità di un dominio globale e il costo di questo impegno» (Testo integrale in italiano - La sua storia). Questa è il programma che Bush, Cheney & C. stanno eseguendo alla lettera!
Notate alcune parole guida del documento: "principi" (ovvero, neoliberismo sfrenato e globalizzato), "interessi americani" (ovvero, tutto deve girare in funzione del centro, cioè gli Stati Uniti d'America), "dominio globale" (ovvero, la creazione di un impero globale americano). Non vi sembra che ci sia qualcosa di sinistro e totalitario in tutto questo anche per il futuro stesso della Chiesa Cattolica Romana, visto che anche l'attuale Papa ha affermato che «gli Stati Uniti promuovono ampiamente la protestantizzazione... e quindi il dissolvimento della Chiesa cattolica» (vedere qui), perché la Chiesa cattolica è sempre stata odiata dal mondo protestante. Infatti «Per più di 200 anni gli americani hanno basato la loro identità sulla opposizione al cattolicesimo: il cattolico veniva prima combattuto e poi escluso e poi discriminato e visto come opposizione» (vedere qui). Altro che portare la democrazia nel mondo... Solo gli sprovveduti e gli ingenui possono prestarvi fede!
Non ci credete ancora?! Allora sentite questa sincera testimonianza: «L'altruismo non è nella natura degli americani. Siamo interessati solo a noi stessi, alla nostra prosperità e la forma che abbiamo scelto per ottenerla è l'impero globale. Una volta dichiaravamo di combattere il comunismo, anche in paesi che non ne avevano mai sentito parlare. Adesso parliamo di lotta contro il terrorismo e se non ci fosse lo inventeremmo, per poi impegnarci in quella che chiamiamo guerra, ma non lo è». (È una considerazione di Gore Vidal, uno dei più grandi scrittori americani ancora vivente, citata in un articolo pubblicato sulla prima pagina del Corriere della Sera di domenica 12 settembre 2004). Come dire: all'impero globale ora serve il terrorismo, come serve farlo credere alla gente ingigantendolo attraverso i media e i giornalisti compiacenti, come Renato Farina, al soldo dei servizi segreti!
Per quanto riguarda il mondo islamico c'è da dire che esso vive
una crisi d'identità (tra tradizione e innovazione) da una parte e
l'aggressività dell'occidente, soprattutto quello a stelle a strisce,
dall'altra. Un esempio di questa aggressività è il tentativo di rimodellare il
medio oriente secondo gli interessi strategici americani e d'Israele, di cui la fame a
Gaza, la guerra d'aggressione preventiva su falsi pretesti in Iraq, lo
sfaldamento di intere società, i massacri in Iraq, l'uccisione di civili nei
bombardamenti NATO in Afghanistan (vedere
qui), la disperazione e la fuga di
migliaia e migliaia di iracheni, i cancri plurimi all'uranio impoverito delle armi
americane, i feti resi mostruosi dal conseguente inquinamento radioattivo, le esplosioni di
odio e follia, sono un tragico corollario della diabolica volontà di potenza di
chi oggi guida l'amministrazione americana.
L'islam, dal canto suo, non ha sviluppato la separazione tra individuo e società,
tra città dell'uomo e città di Dio. L'Islam è un tutt'uno, un corpo unico... Se
si tocca anche una minima parte di esso tutto il corpo ne risente! Questo spiega
tante cose: Spiega il perché gran parte dei kamikaze che si fanno esplodere in
Iraq provengano da altri paesi musulmani. Spiega il fenomeno della crescita di
gruppi armati e non che, appellandosi alla tradizione, accrescono il fenomeno
del fondamentalismo islamico come reazione all'occidente, compreso il terrorismo. Come
spiega soprattutto per noi europei la fatica di integrare l'Islam in società
dove la religione è una cosa mentre la società civile è un'altra cosa ancora. Noi ci siamo
arrivati, bene o male, da tre o quattro secoli mentre loro no!
Ecco allora la necessità di favorire un Islam europeo, tollerante e democratico. La strada per arrivare a questo traguardo passa necessariamente attraverso la formazione qui in Europa degli Imam e il loro finanziamento deve partire dai fedeli stessi o anche attraverso accordi con lo stato, come accade per la Chiesa cattolica italiana.
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La speranza è un Euro-islam liberale
Bassam Tibi con Nina Fürstenberg
“La nostra speranza è l’Euro-islam. “Euro-islam”,
Bassam Tibi scandisce la parola che rappresenta il suo concetto chiave, un
concetto con il quale è bene che cominciamo a familiarizzare. Perché, spiega, “o
si sviluppa un Islam di tipo europeo tra gli immigrati musulmani (capace di
imparare la tolleranza, il pluralismo, la democrazia) oppure dovremo vedercela
con la pretesa di islamizzare l’Europa”.
Bassam Tibi è un intellettuale liberale, musulmano, tedesco di origine siriana,
carriera accademica tra Göttingen, Harvard e Berkeley. Famoso in Germania per i
suoi libri, articoli e dibattiti in tv, sconosciuto o quasi in Italia (fa
eccezione un suo libricino sul Fondamentalismo uscito qualche anno fa da
Bollati Boringhieri). Su “Reset” compare un suo saggio in cui spiega che
l’Europa deve farsi attivamente “campo di addestramento alla democrazia” se non
vuole rimanere campo di addestramento per Al Qaeda.
“O l’Europa cambia l’Islam o l’Islam cambierà
l’Europa”. Parole forti, realistiche, con una vena di pessimismo, sulla bocca di
un musulmano liberal che conosce la sua religione, i suoi tratti illiberali, ma
sa anche che l’Islam può cambiare “sul terreno”, come è accaduto, e accade, in
Francia, in Senegal, e altrove.
Un momento, professor Tibi, ma sta nascendo questo Euro-islam? O è solo un
sogno?
In Italia e in Germania non ci sono imam che si preoccupino di valori
come la tolleranza, il pluralismo, la democrazia, i principi liberali, ma in
Francia per esempio sì, ci sono. A Parigi c’è l’imam Boubakir, a Marsiglia Bin
Scheich, e anche il filosofo Mohammed Arkoun. Sono presenze fondamentali. Queste
persone stanno costruendo le basi di un Euro-islam. Il problema è quello della
formazione degli imam, che deve avvenire qui. In Olanda è agli inizi un
esperimento di formazione che coinvolge lo Stato. E’ un processo difficile ma
decisivo.
La sua storia personale è quella di un musulmano immigrato, diventato un
pensatore liberale attraverso il confronto con i valori occidentali. Ci spieghi
dove vede punti di tensione tra il liberalismo e l’Islam.
La tensione, se la formuliamo secondo la moderna cultura europea, riguarda
soprattutto due ambiti: quello dell’individuo e quello dell’ambiente. Non è
stato sempre così: è solo a partire da Cartesio, dal XVII secolo dunque, che
nasce quello che gli europei chiamano principio di individuazione, in base al
quale l’essere umano viene concepito come individuo, come soggetto separato
dallo Stato e dalla società. Nell’Islam, invece, l’essere umano è parte
integrante della Umma (la comunita’ dei fedeli): come musulmano, sono
parte della Umma islamica, e senza la Umma non sono nulla. Ecco il primo punto
di attrito, quello che determina tante difficoltà nell’integrazione dei
musulmani in Europa: la mancata differenziazione nell’Islam tra individuo e
comunità.
E il secondo punto? Che cosa vuol dire quando parla di ambiente?
Voglio dire che l’Islam è una religione organica, che tende a creare con la
società una relazione organica, un ambiente in cui non si riesce a separare la
Chiesa dalla società come avviene per il Cristianesimo, per l’Ebraismo ed altre
religioni. Di fatto nell’Islam non c’e’ la Chiesa e senza Chiesa non c’e’
separazione tra Chiesa e società, tra Chiesa e Stato; senza Chiesa non c’e’
laicismo. Questo significa che i musulmani non devono soltanto seguire la fede
in Dio e i riti, ma anche molteplici prescrizioni che riguardano tutti gli
ambiti dell’esistenza. Questo aspetto è quello che deve essere mutato attraverso
una riforma dell’Islam.
Rispetto a quello che è l’Islam in Europa, lei invita a non minimizzare le
differenze. È paradossale, lei islamico liberale insiste sulla differenza. Ma le
sue idee non sono la dimostrazione che un incontro è possibile?
Certo, un Islam liberale esiste, è una possibile interpretazione dell’Islam, ma
essa non ha ancora preso piede in nessun paese europeo. Nel 1950, vivevano in
Europa 800.000 musulmani, soprattutto in Francia e in Gran Bretagna. Nel 2000
erano 15 milioni, e il 17 settembre di quest’anno 17 milioni. Ciò significa che
nel 2035 potrebbero diventare 40 milioni. Se in Europa non si riuscirà a
sviluppare e a diffondere un Islam liberale, tutte le tensioni che già esistono
potrebbero creare problemi molto seri. Perciò è interesse comune dei musulmani e
dell’Europa lavorare ad un’idea liberale dell’Islam, che permetta di trovare una
base condivisa. Se poi, un Islam liberale sia possibile anche nei paesi
islamici, è un altro problema. Su questo sono scettico.
Come determinare un’evoluzione dell’Islam in senso liberale? Pensa che siano
più utili azioni politiche, oppure iniziative inter-religiose, oppure programmi
economici, di studio, istruzione, educazione civica da parte dei governi
europei?
Il primo compito spetta ai musulmani, gli europei possono fare poco o niente.
Sono i musulmani che devono lavorare ad una nuova interpretazione dell’Islam,
che soddisfi le seguenti premesse: in primo luogo, separazione tra religione e
politica, e accettazione del laicismo. Se questo non è possibile, allora una
pacifica coesistenza di musulmani e non-musulmani in Europa non è possibile. Io
sono musulmano nella mia sfera privata, ma nella sfera pubblica sono cittadino,
citoyen. La seconda premessa è l’accettazione di tutti i diritti umani.
Nell’Islam esistono diritti umani collettivi, ma non individuali, come per
esempio l’uguaglianza tra uomo e donna, oppure la libertà di culto. E in terzo
luogo, il pluralismo religioso e culturale: nell’Islam non c’è alcuna posizione
pluralista anche se c’è più tolleranza che nel Cristianesimo.
Può chiarire meglio questo punto della differenza tra tolleranza e
pluralismo?
I musulmani sono tolleranti, nel senso che accettano i cristiani e gli ebrei
come minoranze; si sentono obbligati a tollerarli, ma non sono pluralisti, in
senso democratico, nel senso che non accettano il principio in base al quale i
fedeli delle diverse religioni - siano essi ebrei, cristiani, musulmani - oppure
gli atei, debbano tutti essere considerati esseri umani a pari titolo e di pari
valore. Questo tipo di pluralismo, nell’Islam, non esiste.
Lei si propone un compito arduo, la riforma dell’Islam in Europa. Ma sarà
possibile?
Ho formulato nel 1992 il concetto di Euro-islam, che è apparso su testi francesi
ed è entrato in circolo e ci sono religiosi islamici che lo sostengono a Parigi
o a Marsiglia. Essi sostengono un Islam europeo esattamente come io l’ho
descritto qui. Ma in Germania, in Italia e in Svizzera, tra i musulmani domina
una cultura opposta, quella della Lega delle comunità di moschea.
Quale ruolo gioca la sua idea della Leitkultur, della ‘cultura guida’?
Leitkultur corrisponde a quello che in italiano potete chiamare
“cultura di riferimento”. E la cultura di riferimento è quella della democrazia,
dei diritti umani, della società civile distinta dalla sfera religiosa. E non -
come erroneamente è stata interpretata da qualcuno in Germania - come cultura
“egemonica”. La parola migrazione nell’Islam è ‘hijra’ e nel Corano è
riferita al Profeta, che nell’anno 622 emigrò dalla Mecca a Medina per
diffondere l’Islam.
Ovunque un musulmano emigri, è suo dovere istaurare e diffondere l’Islam. Ma
questo per l’Europa non è accettabile. Personalmente, come musulmano, pretendo
dall’Europa tolleranza per noi, ma tolleranza non significa che noi possiamo
islamizzare gli altri. La formula che ho elaborato è: tolleranza e difesa.
Dialogo con un Islam tollerante e interpretato in chiave liberale. L’Europa si
apre per i musulmani che vogliono vivere in Europa anche da cittadini, ma se i
musulmani vogliono islamizzarla, allora l’Europa ha il diritto di dire no. L’Europa
ha una propria identità, che è occidentale e laica, e non islamica. E’
necessario mettere in atto una doppia strategia, e questa strategia consiste nel
dialogo e nella difesa.
Ma il dialogo con l’Islam è davvero possibile nei termini che lei propone,
per liberalizzarlo?
Dialogo significa, per i musulmani, chiamata all’Islam. La comunicazione è
molto difficile tra persone che provengono da culture così diverse, perché esse
con gli stessi concetti intendono cose diverse a seconda dei diversi casi. Ad
esempio, in Europa dialogo significa scambio intellettuale; nell’Islam esso
significa ‘da’wa’, chiamata all’Islam, e questo specie per gli ortodossi.
I cristiani non lo sanno e ci cascano. Ma l’Europa deve rifiutare questo genere
di dialogo. Esiste il dialogo menzognero, e questo non è certo il genere di
dialogo auspicato.
Gli emigrati della terza generazione in Germania si presentano a volte più
chiusi e tradizionalisti di quelli delle generazioni precedenti.
Quando persone di una cultura si trasferiscono in paesi che appartengono a
un’altra accade che o si adeguano - fosse anche nella seconda o nella terza
generazione - e diventano parte integrante della nuova società oppure si
rifiutano di farlo. In Germania, i turchi sono già alla terza generazione
dall’arrivo nel paese e vediamo che entrambi i casi sono possibili. Anche in
America si presentano le due vie: diventare americani o rimanere estranei e
alimentare la cultura della diaspora, gruppi che restano separati, le chiamano ‘gated
communities’, comunità chiuse in se stesse. In Germania, tra i Turchi ci
sono quelli che si sono integrati, che vivono in modo moderno e liberale, e che
non pregano più cinque volte al giorno, mentre altri non riescono a sopportare
questo stato di estraneità, e costruiscono comunità parallele, che sono poi una
sorta di ghetto.
Come Kreuzberg, a Berlino.
Che è un quartiere interamente turco; vi si vive come in Turchia. Non c’è
alcuna integrazione, né adattamento. Simili comunità chiuse esistono anche tra
gli iraniani o gli arabi in Germania. L’11 Settembre è stato programmato e
progettato per cinque anni proprio all’interno di una di queste comunità
tedesche. Qui non si tratta già più di tolleranza, ma di vero e proprio rischio
per la sicurezza.
Non c’e’ più allora una enorme differenza tra il paese del melting pot e l’Europa
delle differenze?
La società americana ha un’identità molto forte ed è molto capace di
facilitare l’integrazione. I miei fratelli e sorelle musulmani che vivono in
America, sono per la maggior parte diventati americani, e si definiscono di fede
islamica americana. La società europea non è altrettanto capace di favorire
l’integrazione. Ad esempio, io vivo da 40 anni in Germania, dove posso
considerarmi una persona di successo, e tuttavia la gente non mi considera
tedesco, sebbene io vorrei essere considerato tale. Ma ti chiami Bassam Tibi e
sei musulmano, e dunque non puoi essere tedesco, sei solo un siriano con un
passaporto tedesco.
L’Europa rimane allora meno capace di integrare?
Non ci si integra qui. Non sono, dunque, solo i musulmani a dover cambiare,
ma anche gli europei. Gli europei devono diventare più capaci di favorire
l’integrazione di coloro che la desiderano. E ci sono musulmani che lo vogliono.
So bene che non sono la maggioranza. Il che vale anche per l’Italia, dove si
sono individuati molti seguaci di Al Quaida. Io valuto che due terzi degli
islamici d’Europa non desideri affatto integrarsi, ma bisogna tener conto che
questo dipende anche dal fatto che le società europee non forniscono una forte
identità e non sono in grado di favorire il processo di integrazione. Diciamo
che le due parti si mettono i bastoni tra le ruote vicendevolmente. La capacità
di favorire integrazione produce desiderio di integrazione e il desiderio di
integrazione rafforza la capacità di integrare. E’ un processo di cui sono
responsabili entrambe le parti: francesi, tedeschi, italiani, belgi, alla stessa
stregua dei musulmani.
Lei ha lavorato ad Harvard con Samuel Huntington, che nel frattempo è
diventato celebre nel mondo, con la sua tesi del “Clash of Civilizations”.
Ma la mia posizione non è la stessa di Huntington, anche se abbiamo lavorato
insieme per cinque anni. Guardi, una posizione opposta a Huntington è quella di
Fukujama, il quale ha creduto invece che nel XXI secolo tutta l’umanità sarebbe
stata americanizzata e avrebbe mangiato da McDonald’s, con il che la storia
sarebbe finita. Io viaggio molto e constato invece che in ogni luogo gli uomini
sono diversi, hanno idee diverse e immagini del mondo diverse. Huntington ha
avuto ragione nel sostenere che le diverse civiltà hanno diversi punti di vista,
e che esse possono esplodere, appunto con un ‘clash’. (Attenzione lui non
parla solo di conflitto tra le culture, che c’è, bensì di esplosione delle
civiltà. Di questo parlo anch’io).
Ci sono conflitti di valori, e Huntington ritiene che alcune concezioni
occidentali - come la democrazia, i diritti umani - non siano trasportabili in
altre civiltà. E qui, la mia opinione è diversa; intendo dire che anche
nell’Islam è possibile sviluppare ed accogliere sia i valori umani occidentali,
che la democrazia. Il mio libro ‘Preventing the Clash of Civilizations’,
che ho scritto insieme all’ex Presidente della Repubblica federale tedesca,
Roman Herzog, è un libro critico di Huntington. Il dialogo può impedire il
clash e costruire ponti, ma è essenziale che sia un dialogo sincero non
menzognero, come accade oggi tra gli islamismi e la Chiesa cattolica.
La formazione degli imam,
dramma per l’islam europeo
di Samir Khalil Samir sj - 07-09-2006
Beirut (AsiaNews) - Nel continente europeo la situazione della formazione è molto negativa. Si può dire che i problemi delle comunità musulmane europee sono molto più gravi di quelli sofferti da musulmani in altri paesi islamici.
1. Il fatto : gli imam non si sono acculturati in Europa
Per i musulmani nati in Europa o per le loro
comunità islamiche, gli Stati europei vorrebbero avere degli imam europei.
Invece, la maggioranza degli imam d’Europa (circa il 90%) non sono per nulla di
formazione o di cultura europea: essi sono stati mandati dai Paesi arabi, dalla
Turchia, dall’Iran, o dal Pakistan, per occuparsi degli immigrati ed
islamizzarli.
Questi imam, educati al modo tradizionale, non riescono ad offrire una visione
armonica tra la cultura occidentale, nella quale i musulmani europei sono nati,
e la cultura musulmana che dovrebbero avere, mantenere o che dovrebbero
riacquistare. Tutto ciò crea molti conflitti interni. Alcuni imam – come è
evidente nella Gran Bretagna – riescono in questo modo a guadagnare dei giovani
alla tendenza islamista (cioè fondamentalista radicale) e talvolta ne emergono
veri e propri terroristi. E come potrebbe un imam, ignorante della cultura del
Paese europeo dove si trova, aiutare un giovane ad armonizzare la sua religione
con la cultura europea? L’unica cosa che gli può dire è che la cultura europea è
anti-musulmana, o peggio anti-religiosa.
D’altra parte i governi europei, pur cercando di organizzare la presenza
islamica nei loro Stati, non possono farlo in modo totale perché in Europa vi è
un principio di netta distinzione fra politica e religione. Per questo, ogni
soluzione che i governi europei tentano, è una soluzione temporanea, per nulla
stabile.
2. Assenza di rappresentanti ufficiali dell’islam
L’altro problema è che nell’Islam non vi sono
rappresentanti ufficiali. Per questo i diversi gruppi islamici, sostenuti da uno
o dall’altro imam, lottano fra loro per imporre ognuno la sua supremazia
ideologica, come si può notare in Italia, ma ugualmente in Francia e altrove.
Va notato che dietro ogni gruppo vi è un’organizzazione islamica internazionale
o uno stato musulmano. Il caso della Francia è evidente: la grande moschea di
Parigi risponde all’Algeria, che paga e sostiene il mantenimento. Vi sono poi
gruppi molto tradizionalisti che sono finanziati dal Marocco o dalla Turchia, e
gruppi finanziati da organizzazioni vicine alla tendenza dei Fratelli Musulmani
o all’Arabia Saudita.
Purtroppo, tutte le comunità sono sottomesse a queste organizzazioni, vere e
proprie lobby internazionali, i cui finanziamenti dipendono da gruppi islamici
fra i più tradizionalisti. E’ anche noto che le moschee in Europa diffondono un
islam più tradizionalista e arretrato delle moschee dei Paesi islamici stessi.
Ho personalmente incontrato parecchie donne in Italia che si sono “convertite”
all’islam più radicale, mentre nel loro Paese musulmano erano molto più aperte.
A questo si deve aggiungere la piaga degli imam europei convertiti all’islam. A
parte alcune eccezioni notevole, questi imam, anziché diffondere un islam che ha
integrato la cultura europea in ciò che ha di migliore (come ci si potrebbe
aspettare da loro), sono proprio quelli che diffondono un islam
anti-occidentale. Forse per giustificare il proprio cammino e la propria scelta.
I musulmani originali sono raramente attratti da questi imam; essi però fanno
tanti proseliti tra gli europei, rendendoli anche più chiusi di loro!
La situazione è drammatica perché gli Stati europei di fatto non hanno alcuna
autorità su questi gruppi; e d’altra parte, a livello di base, non c’è autorità
comunemente riconosciuta a cui riferirsi. La conclusione è che l’Islam in Europa
è allo sbando, alla mercé di qualunque predicatore fondamentalista straniero.
3. Creare delle facoltà di teologia musulmana ?
Alcuni Paesi, per far nascere un islam in
armonia con la cultura europea, vorrebbero aprire una facoltà teologica di studi
islamici. Ma il problema è: chi v’insegnerà? Degli studiosi laici o dei
musulmani? E di quale tendenza? La Francia sta pensando da anni a una Facoltà di
teologia musulmana integrata ad alcune università (per esempio in Alsazia o a
Parigi o a Marsiglia), ma non è arrivata a superare i conflitti interni tra
musulmani, né i problemi giuridici di separazione tra politica e religione. Il
modello del concordato che esiste in alcuni casi con il Vaticano è
irriproducibile con l’islam che non ha un autorità riconosciuta.
Attualmente l’università più rinomata nel mondo islamico è quella del Cairo di
Al-Azhar. Ma l’insegnamento che lì si da è talmente inadatto al pensiero
universitario che sarebbe catastrofico formare là gli imam per l’Europa. Anche
far venire in Europa professori da Al-Azhar, non è una soluzione. Il punto è che
anche là al Cairo, vi è una lotta intestina fra le tendenze liberali e radicali.
A differenza del Marocco, dove il re ha anche una funzione religiosa (i re del
Marocco sono considerati discendenti di Maometto e “luogotenenti di Dio” amīr
al-mu’minīn), l’Egitto è considerato uno stato laico e perciò rifiutato
dall’estremismo religioso. Per questo le correnti estremiste si appoggiano a
gruppi esterni, ai Fratelli Musulmani e all’Arabia saudita. D’altra parte
l’Egitto e la stessa università di Al-Azhar non può inimicarsi l’Arabia Saudita,
che distribuisce aiuti a valanga… L’Egitto, come l’Europa, riesce a dare al
massimo alcune indicazioni generali alle comunità e all’insegnamento, ma non
tocca il cuore della formazione.
La formazione degli imam è il punto fondamentale per la riforma del mondo
islamico perché sono essi a dare l’immagine dell’Islam a livello locale e
internazionale. Per far un paragone con il cattolicesimo, pensiamo al valore che
ha avuto per la Chiesa cattolica la riforma dei seminari dopo il Concilio di
Trento. Ed è stato circa 5 secoli fa. L’Islam invece non ha fatto nessuna
riforma, ma ha mantenuto il sistema tradizionale, mnemonico. È anzi andato
indietro: nei secoli IX-XI, l’Islam ha cercato di integrare le scienze, ma ormai
da secoli l’Islam è fuori del mondo moderno.
Secondo me, l’unica strada è d’integrare l’insegnamento islamico nel quadro
universitario europeo. Ma il problema rimane, ed è finanziario. Nel mondo
musulmano, gli imam sono impiegati dello Stato, pagati da lui. Chi pagherà gli
imam in Europa? Le comunità musulmane locali devono imparare a mantenere le loro
guida. Altrimenti c’è il rischio che essi siano finanziati da Paesi musulmani, i
quali vorranno imporre i loro imam. Resta una soluzione: stabilire accordi con i
Paesi musulmani moderati per scegliere insieme gli imam che sarebbero pagati dai
Paesi dei musulmani immigrati.
Questo significa che un controllo sulle moschee è assolutamente necessario. E’
una pratica ormai generalizzata in tanti Paesi islamici: il pensiero radicale
(che può facilmente sfociare nel terrorismo) nasce infatti dalle moschee e dai
discorsi (khutbah, non “prediche”) del venerdì a mezzogiorno. Una pratica
auspicabile sarebbe di esigere che gli imam tengano la khutbah nella lingua del
paese in cui predicano: in italiano, in francese, in tedesco, ecc. L’obiettivo è
comunque chiaro: gli imam devono aiutare i fedeli a sentirsi a casa nel Paese
dove vivono ed a superare gli eventuali conflitti tra la fede musulmana e la
cultura occidentale. La scelta di questi imam è dunque fondamentale, ed è un
diritto dello Stato controllare che non succeda il contrario, proprio per
aiutare gli immigrati e proteggerli.
APPROFONDIMENTO
4-09-2006
Islam sull’orlo dell’abisso, fra violenza e riforma (by Samir Khalil Samir, sj)
5-09-2006
La violenza delle fatwa preoccupa i governi musulmani (by Samir Khalil Samir, sj)
8-09-2006
Per uscire dalla crisi, l’Islam ha bisogno di un
rinnovamento (by Samir Khalil Samir sj)