UNA STORIA VERA
ERMANNO, IL MONACO DISABILE
CHE SCRISSE LA SALVE REGINA
(Introduzione a cura di Claudio Prandini)
In occasione della prossima Giornata per la Vita (5 febbraio) abbiamo pensato ad un articolo un po' speciale, che potesse prendere, come suol dirsi, due piccioni con una fava! Raccontare la storia dell'autore della Salve Regina e, nello stesso tempo, trasmettere qualcosa a proposito del valore della vita umana. E la provvidenza ha fatto quasi tutto lei e ci ha portato ad un giovane monaco disabile dell'XI secolo! Pochi forse, tra i milioni che ripetono la Salve Regina, si domandano chi sia l'autore, se mai ci fu, di quella commossa invocazione, e dove per la prima volta sia stata pronunziata, e quando. Come spesso accade per le preghiere più popolari, ripetute da secoli nella liturgia di ogni giorno, non le consideriamo più invenzione e composizione di un uomo. Ci sembrano anonime, e non perché impersonali, ma proprio perché appartenenti a tutti, e ad ogni tempo. Invece, la Salve Regina (e anche l'Alma redemptoris mater) è, diciamo così, una preghiera firmata. Ha un autore, un luogo di origine e una data di nascita. seppur approssimativa. Ermanno, il nostro monaco, era uno dei quindici figli del conte di Altshausen in Svevia (Germania) che ”in un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato morire all’atto stesso della nascita. I pagani d’oggi, ...dichiareranno che non avrebbe mai dovuto nascere; se poi diventano ancor più razionali, affermeranno che un simile aborto avrebbe dovuto essere eliminato senza dolore. E lo ripeterebbero con calore ancora maggiore quando aggiungerò che i competenti di novecento anni fa lo dichiararono anche deficiente... Che cosa fecero quei poveretti dei genitori ancor sommersi in quelle che abbiamo la faccia tosta di chiamare le ‘tenebre del medioevo’? Lo mandarono in un monastero e pregarono per lui.”. Ascoltiamo, dunque, la bella ed edificante storia di Ermanno lo storpio, "l’infimo dei poveretti di Cristo"... come egli amava definirsi!
Ermanno lo storpio - di Patrizia Solari
Scorrendo un calendario in tedesco, mi imbatto, il 24 di settembre, in Hermann
der Lahme, Ermanno lo storpio, che non penso molti conoscano.
È un monaco vissuto nella prima metà dell’XI secolo nel monastero di Reichenau,
sul lago di Costanza, quasi certamente compositore del Salve Regina, e siccome
mi appresto a scrivere questo testo nel mese di ottobre, quando il Papa ha
appena promulgato l’anno del Rosario e proposto i Misteri della luce, penso che
sia bello offrire all’attenzione dei lettori questa figura che ci insegna come
il dolore non sia necessariamente infelicità. Vediamo perché...
“Il 18 luglio dell’anno 1013 Eltrude, sposa di Goffredo, conte di Altshausen in
Svevia, diede alla luce un figlio maschio. Gli sposi appartenevano entrambi a
nobilissime famiglie e nomi di gentiluomini, di crociati e di alti prelati si
ripetono continuamente nei loro alberi genealogici. Eppure di nessuno di costoro
si è serbata durevole memoria, salvo che del piccolo essere che venne al mondo
orribilmente deforme. Fu soprannominato ‘il Rattrappito’, tanto era storto e
contratto: non poteva star ritto, tanto meno camminare; stentava perfino a star
seduto nella sedia che era stata fatta appositamente per lui; le sue dita stesse
erano troppo deboli e rattratte per scrivere; le labbra e il palato erano
deformati al punto che le sue parole uscivano stentate e difficili ad
intendersi.”
Questo è l’inizio della storia, che evidentemente mi colpì molto quando, alla
fine degli anni sessanta, ci fu proposta come riflessione in una vacanza di
studio. Ma ancora di più, il seguito suscita stupore.
”In un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato
morire all’atto stesso della nascita. I pagani d’oggi, soprattutto quando si
dica loro che il piccolo Ermanno era uno dei quindici figli, dichiareranno che
non avrebbe mai dovuto nascere; se poi diventano ancor più razionali,
affermeranno che un simile aborto avrebbe dovuto essere eliminato senza dolore.
E lo ripeterebbero con calore ancora maggiore quando aggiungerò che i competenti
di novecento anni fa lo dichiararono anche‚ deficiente.” Martindale scrive
intorno al 1950. E noi cosa diremmo?...
“Che cosa fecero quei poveretti ancor sommersi in quelle che abbiamo la faccia
tosta di chiamare le ‘tenebre del medioevo’? Lo mandarono in un monastero e
pregarono per lui.”
La salvezza
Considerata con occhi superficiali, questa decisione sembrerebbe assurda, ma
vediamo come prosegue la storia. Dobbiamo intanto tener presente che “erano
stati i monasteri a raccogliere e a sviluppare tutto quanto era stato possibile
dell’antica cultura. In Germania la cultura del passato veniva non soltanto dal
sud latino, ma anche dall’Inghilterra e, certamente dall’Irlanda. Inoltre essa
era largamente diffusa tra il popolo. (...) C’erano traduzioni in tedesco dei
vangeli, nelle chiese si predicava in tedesco e si può dire che tutti i grandi
nomi delle letterature latina e greca giungevano, attraverso il pulpito,
all’orecchio di tutti. Le fonti erano sempre (occorre dirlo?) i monasteri, -
quali San Gallo, Fulda, Reichenau, che raccoglievano grandi biblioteche, nonché
le scuole che seguivano l’imperatore. (...) Fu in uno di tali monasteri che
venne mandato il mostriciattolo deficiente.”
“Reichenau sorgeva in una deliziosa isoletta nel lago di Costanza, dove il Reno
corre impetuoso verso le sue cateratte.
Il monastero era stato fondato prima di Carlo Magno - esisteva cioè da più di
duecento anni. Sulla strada maestra, sulla riva di fronte, transitavano
continuamente viaggiatori italiani, greci, irlandesi e islandesi. Le sue mura
ospitavano dotti famosi e una scuola di pittura. (...) Qui il ragazzo crebbe.
Qui il ragazzo che poteva a mala pena biascicare poche parole con la sua lingua
inceppata, trovò, chissà in virtù di quale psicoterapia religiosa, che la sua
mente si apriva.
Neppure per un solo istante, durante tutta la sua vita, egli può essersi sentito
‘comodo’ o, per lo meno, liberato da ogni dolore: quali sono tuttavia gli
aggettivi che vediamo affollarsi intorno a lui nelle pagine degli antichi
cronisti? Li traduco dalla biografia in latino: piacevole, amichevole,
conversevole; sempre ridente; tollerante; gaio; sforzandosi in ogni occasione -
ah, ecco una parola di difficile traduzione - di essere galantuomo con tutti, mi
pare che sarebbe il nostro modo di esprimerci, oggi. Con il risultato che tutti
gli volevano bene.
Gli studi nel monastero: scienze...
E
frattanto quel coraggioso giovinetto - che, ricordate non era mai comodo, né
seduto su una sedia, né sdraiato su un letto - imparò la matematica, il greco,
il latino, l’arabo, l’astronomia e la musica. Scrisse un intero trattato sugli
astrolabi (...) e nella prefazione scrisse: ‘Ermanno, l’infimo dei poveretti di
Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una
lumaca (...) è stato indotto dalle preghiere di molti amici (già, tutti gli
volevano bene!) a scrivere questo trattato scientifico’. Aveva sempre cercato di
risparmiarsi lo sforzo, con ogni sorta di pretesto, ma, in realtà, soltanto a
causa della sua ‘massiccia pigrizia’; tuttavia finalmente poteva offrire,
all’amico al quale il libro è dedicato, la teoria della cosa, e aggiungeva che,
se l’amico l’avesse gradito, avrebbe cercato, in seguito di svilupparlo su linee
pratiche e più particolareggiate. E, lo credereste, con quelle sue dita tutte
rattrappite, l’indomabile giovane riuscì a fare astrolabi, e orologi e strumenti
musicali. Mai vinto, mai ozioso!
...musica ...
In quanto alla musica - magari i nostri coristi d’oggi leggessero le sue parole!
- egli afferma che un buon musico dovrebbe essere capace di comporre un motivo
passabile, o almeno di giudicarlo, e poi di cantarlo. In generale i cantori,
egli dice, si curano del terzo punto soltanto, e non pensano mai. Essi cantano,
o, per meglio dire, si sgolano, senza rendersi conto che nessuno può cantar bene
se la sua mente non è in armonia con la sua voce. Per tali cantanti da strapazzo
una voce forte è tutto ciò che conta. Il che è peggio di ciò che fanno i ciuchi
i quali, dopotutto, fanno assai più rumore, ma non alterano mai un raglio con un
muggito. Nessuno tollera, egli dice, gli errori di grammatica; tuttavia le
regole della grammatica sono artificiali mentre ‘la musica sgorga diritta dalla
natura’ e in essa non soltanto gli uomini non correggono gli errori che
commettono, ma giungono fino al punto di sostenerli... Come si vede, l’allegro
piccolo storpio sapeva, all’occorrenza, usare un linguaggio assai caustico! È
peraltro quasi certo che egli fu il compositore dello stupendo inno Salve Regina
(con quella sua caratteristica melodia in canto fermo che ancor oggi si canta in
tutte le chiese cattoliche del mondo), dell’Alma Redemptoris e di alcuni altri.
... storia.
Ma oltre a questo, Ermanno, dotato di un cervello straordinariamente
attivo e
vigoroso, e che era a conoscenza
di tutte le tradizioni delle più importanti famiglie del suo tempo ed aveva
accesso a molti libri antichi che noi non conosciamo a causa delle distruzioni
che in anni successivi dispersero e rovinarono le biblioteche degli antichi
monasteri, scrisse un Chronicon di storia del mondo, dalla nascita di Cristo al
tempo suo. Si sa che l’opera si meritò le lodi dei competenti del tempo, che la
giudicarono straordinariamente accurata, fondata naturalmente sulle tradizioni,
ma tuttavia obiettiva e originale. Eccovi dunque il monacello storpio, chiuso
nella sua cella, ma desto, vivo, con gli occhi spalancati a seguire la scena del
mondo esterno eppure non mai cinico, non mai crudele (è così frequente il caso
che la sofferenza generi crudeltà) e capace di tracciare un quadro completo
delle correnti della vita in Europa.”
Ci avviamo verso la conclusione di questa sorprendente storia, che racchiude in
sé il contrasto tra la concretezza e la sofferenza da una parte e la bellezza e
l’apertura verso l’infinito dall’altra: una vita reale.
Venne il momento di morire
Lascio al suo amico e biografo Bertoldo di parlarci di questo.
‘Quando alfine l’amorevole benignità del Signore si degnò di liberare la sua
santa anima dalla tediosa prigione del mondo, egli fu assalito dalla pleurite e
trascorse quasi dieci giorni in continue e forti tribolazioni. Alfine un giorno,
nelle prime ore del mattino, subito dopo la santa messa, io, che egli
considerava il suo più intimo amico, mi recai da lui e gli chiesi se si sentisse
un poco meglio: <
Ermanno morì, circondato dagli amici, dopo aver ricevuto il corpo e il sangue di
Cristo nella santa comunione, il 24 settembre del 1054 e fu seppellito - oscuro
monacello ch’egli era stato - ‘in mezzo a grandi lamenti’ nei suoi possedimenti
di Altshausen ai quali aveva rinunciato da così lungo tempo.”
E Martindale così conclude: “La prima volta che mi venne tra le mani questa sua
Vita in un veccchio testo latino tutto accartocciato, nella biblioteca di
Oxford, fu, per me, come se una ventata di aria purissima fosse penetrata a
disperdere l’atmosfera stagnante della stanza (...). Poiché la Vita, come la
scrisse Bertoldo, è così piena di vita pulsante, Ermanno ne esce veramente vivo!
Non perché sapesse scrivere sulla teoria della musica e della matematica, né
perché seppe compilare minuziose cronache storiche e leggere tante lingue
diverse, ma per il suo coraggio, la bellezza dell’anima sua, la sua serenità nel
dolore, la sua prontezza a scherzare e a fare a botta e risposta, la dolcezza
dei suoi modi che lo resero ‘amato da tutti’. (...) Senza dubbio allevare bene
il corpo è cosa importante, tuttavia subordinata; l’educar bene la mente è la
cosa principale - e questa educazione, credetemi, deve essere fondata su due
elementi essenziali: l’amore e la religione - e le due cose sono strettamente
unite. In questo povero, contorto ometto del medioevo, brilla il trionfo della
fede che ispirò l’amore e dell’amore che fu leale alla fede professata. Ermanno
ci dà la prova che il dolore non significa infelicità, né il piacere la
felicità”.
LE SUE PREGHIERE SONO DIVENTATE
PATRIMONIO DELLA CHIESA UNIVERSALE
Salve, Regína, mater misericórdiae, vita, dulcédo et spes nostra, salve. Ad te, clamámus éxsules fílii Hevae. Ad te suspirámus geméntes et flentes in hac lacrymárum valle. |
Salve, o Regina, Madre di misericordia; vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A te ricorriamo, noi esuli figli d'Eva; a te sospiriamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime. |
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Eia ergo, advocáta nostra, illos tuos misericórdes óculos ad nos convérte. Et Jesum benedíctum fructum ventris tui, nobis post hoc exílium osténde. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria. |
Orsù, dunque, Avvocata nostra, rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi. E mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del ventre tuo, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. |
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Alma Redemptóris Mater quae pérvia coeli porta manes, et stella maris, succúrre cadénti, súrgere qui curat, pópulo: tu quæ genuísti, natura miránte, tuum sanctum Genitórem, Virgo prius ac postérius, Gabriélis ab ore Sumens illud Ave, peccatórum miserére. |
O santa Madre del Redentore, porta del cielo sempre aperta, stella del mare, soccorri un popolo decaduto, che desidera risorgere, tu, che nello stupore della natura, generasti il tuo Genitore, tu, vergine prima e dopo, che dalla bocca di Gabriele udisti quell'Ave, abbi pietà dei peccatori. |